“Confessioni di una mente pericolosa”, la recensione
di Manuel Caprari
11 Ago 2013 - Commenti cinema
Cinema: Recensioni
Confessioni di una mente pericolosa
(Confessions of a dangerous mind, USA 2002)
Distr: Eagle Pictures
Regia: George Clooney
Scenegg: Charlie Kaufman
Fotogr: Newton Thomas Sigel
Cast: Sam Rockwell, George Clooney, Drew Barrymore,
Julia Roberts, Rutger Hauer
Per prima cosa bisogna dire che Confessioni di una Mente Pericolosa, che segna l’esordio alla regia di George Clooney, è un film. Non è un pastrocchio, non è un corpo estraneo; è un film, che può legittimamente pretendere di essere visto, discusso, analizzato. Non era così scontato. Per seconda cosa bisogna dire che non è un film molto bello, e dispiace. Clooney si dimostra capace come regista, ma sbaglia strategia. La storia di Chuck Barris è bellissima, bizzarra e drammatica, problematica perchè non si sa se sia vera o no; Clooney però cade nel tranello di calcare la mano, di voler fare l’estroso, il brillante a tutti i costi, e rende il tutto a livello di una barzelletta sofisticata. E sì che la regia sembra dare invece il suo meglio quando si tinge di toni drammatici, sui quali bisognava puntare di più, invece di affogare il tutto in una melassa pseudo-kitsch e in stilizzazioni ironiche ma con la puzza sotto il naso di generi popolari come la spy-story. La biografia di Barris presenta già un problema di fondo: prenderla per vera o no? Clooney sceglie, ai fini drammaturgici, di ammettere che sia tutto vero, ma con qualche precauzione: la scritta iniziale che ci avverte che il film è tratto dalle memorie del protagonista e da ore di conversazioni registrate, e qualche intervista sparsa qua e là a delle persone che lo conoscevano. Quello che gli interessa non è fare un film inchiesta, bensì spargere dei ragionevoli dubbi: ci sta raccontando quello che quest’uomo dice di aver fatto, cioè il killer per la CIA in incognito. Non può assicurarci che sia la verità . Prendetela col beneficio del dubbio. Però è una storia affascinante, e dà il la per una serie di considerazioni interessanti. La principale è questa: Chuck Barris è un uomo che da una parte, con le sue trasmissioni televisive basate sul concetto del concorrente che si umilia pur di dare spettacolo per cinque minuti, ha contribuito all’instupidimento del pubblico televisivo. Certo, non è stato il solo, e i suoi concorrenti se non proprio complici vanno considerati vittime consenzienti. Fatto sta che ha dato il suo bel contributo. Dall’ altra parte, prestandosi ad uccidere per ordine della CIA i “cattivi” senza fare nessuna domanda, si pone come simbolo di un’accettazione passiva ed acritica della politica e della società . A questo discorso Clooney sembra piuttosto interessato, sia su un piano di critica sociale che sul piano del
dramma personale di un uomo che si guarda alle spalle e prova ribrezzo per la sua stessa vita; e dimostra di saperlo fare, questo discorso, senza retorica e senza facili schematismi, ma è un discorso che va ricercato col lanternino tra le pieghe del film, perchè si perde nell’ esigenza ( esigenza di chi? di Clooney o dei produttori?) di fare un film di “intelligente e gradevole intrattenimento”,uno di quei film che si rivolgono ad uno spettatore intelligente ma poi però lo trattano un po’ da stupido, solleticandone il senso estetico e dandogli qualcosina su cui riflettere ma senza fargli fumare troppo il cervello. Con scenografie meno colorate, trovate stilistiche più essenziali, e maggiore approfondimento del lato oscuro di questa storia ( che tra l’altro ne avrebbe, per contrasto, accentuato anche il lato buffonesco e grottesco); insomma con una regia più seria e rigorosa, Confessioni di una Mente Pericolosa sarebbe stato un film portentoso. Il problema è: si tratta di errori correggibili o di una filosofia cinematografica derivata da cattivi modelli? Questo lo capiremo soltanto all’opera seconda, se ci sarà .
(Manuel Caprari)