Civitanovadanza giunge al termine della XXIII edizione
di Elena Bartolucci
20 Set 2016 - Commenti danza, Danza
Civitanova Marche – Sabato 6 agosto si è conclusa la XXIII edizione del festival Civitanovadanza con il secondo e ultimo Festival nel festival, iniziato al Teatro Cecchetti con l’anteprima italiana di R.OSA di Silvia Gribaudi, il primo capitolo di una trilogia sul corpo femminile e il virtuosismo che si svilupperà nel 2017.
La serata è poi proseguita al Teatro Rossini con la prima assoluta di WE273’’ di Blucinque, la compagnia diretta dalla regista e coreografa Caterina Mochi Sismondi, in un percorso di ricerca personale, in equilibrio tra tradizione e sperimentazione, teatro di parola e movimento, attraverso diversi settori della creatività contemporanea: teatro, danza, letteratura, arti visive, produzione musicale e performance.
WE273” è un omaggio all’opera controversa 4’33” del compositore John Cage, che si è tradotto in un lavoro che, a quanto pare, avrebbe dovuto analizzare il suono e la sua relazione con lo spazio, con la voce e con il corpo, ma il cui racconto onirico è stato difficili da comprendere a pieno durante l’intera esecuzione di questi circensi non troppo ballerini
L’attrezzo circense diventa strumento musicale, che vibra e risuona e il corpo sempre in disequilibrio si muove con fatica nel tentativo di accordarsi non solo alla musica elettronica, della radio o del violoncello.
Già entrando in teatro si comprende che lo spettacolo ha avuto inizio perché la violoncellista, che in un primo momento sembra accordare lo strumento, è già parte della messa in scena, in cui il brusio di suoni di sottofondo sono i rumori ambientali e le voci degli spettatori, che stanno ancora prendendo posto, amplificati.
Prendono vita diversi personaggi in un narrazione quasi non-sense attraverso un tempo scandito, preciso, creano un ritmo, si interrompono, presentano frammenti della loro personalità, danzano le loro storie scandite anche dal silenzio, senza mai seguire una perfetta sincronia.
Si sono esibiti sul palco Giulia Lazzarino, Jonnathan Rodriguez Angel, Kevin Lukas Vaca Medina, Andrea Cerrato e Raffaele Riggio con Luisa Franchin al violoncello.
Il sound design è stato curato da Albert Fratini con il supporto di La Cascade.
Spostandosi poi al Teatro Annibal Caro, il pubblico era davvero in fibrillazione e in attesa della nuova creazione di Cristiana Morganti, la quale ha debuttato al festival al termine di una residenza nell’ambito del progetto Civitanova Casa della Danza.
La Morganti, storica danzatrice di Pina Bausch, ha presentato come coreografa e regista (esilarante e ironico il suo modo di irrompere sulla scena) una prima italiana che debutterà il 22 e 23 ottobre al Festival Aperto di Reggio Emilia.
Il titolo è ancora in via di definizione per questo lavoro che ha davvero regalato un continuum di emozioni.
L’idea di partenza per la ricerca del materiale è stata investigare l’emozione della “rabbia”: le libere associazioni mentali su questo tema conducono immediatamente al concetto di alterità, di doppio, di confronto/scontro e di ogni accesso di collera. Ecco che allora prende vita una coreografia attraverso una miriade di gesti, scenari visivi e sonorità contrastanti (con gran disinvoltura si passa da Bach al rock-punk con Walla walla degli Offspring, Don’t di Dinosaur jr. o ai suoni più elettronici di Pitbull Terrier di Die Antwoord).
La rabbia può essere manifesta o sotterranea, a volte è travestita da dolcezza, cura, dissimulata da un sorriso, può abitare apertamente il corpo generando movimenti di grande potenza, danzati e non, ma può anche logorare il fisico dall’interno, nel tentativo di non farla esplodere, di domarla.
La rabbia è forza vitale, creatrice quanto motore di distruzione, si associa comunemente al colore rosso che è simbolo di passione, sessualità oppure di furore, nella sua accezione degenerativa. E in scena ci sono proprio due donne dai capelli rossi, alte, pallide, simili ma diverse, soprattutto nei movimenti, che, anche se in apparenza molto uguali, permettono di cogliere le minime sfumature.
A volte sembrano amiche e complici, altre volte sono due acerrime nemiche. Una è strega e una è fata? Ognuna con la propria storia, il proprio bagaglio culturale e i propri sogni nel cassetto.
In un imprevedibile collage coreografico, in una scenografia del tutto disadorna e completamente bianca (dove fanno capolino delle piccole sedioline, quasi a omaggiare le sedie del Café Müller usate dalla Bausch nelle sue coreografie), le due interpreti si alleano, si scontrano, si affrontano e si mimetizzano, anche dietro due maschere da volpi (un animale dalla pelliccia fulva dall’ambivalente simbologia, che incarna il male per i Cristiani, ma viene venerata in Giappone e associata a seconda delle latitudini alla sessualità, all’avarizia, alla capacità di dare buoni consigli, all’astuzia o alla disonestà).
La rabbia esiste, lo si scopre con estrema chiarezza fin da bambini con le favole, ma dove sta il limite fra un savio contenimento di questa emozione primaria, detta “l’emozione rossa”, e l’insalubre soffocamento di una delle più grandi spinte che animano la civiltà.
Come affermato dalla stessa Morganti, “l’inattesa deviazione del senso è per me parte fondante del gioco teatrale. Confondere realtà e finzione, investigare il dentro e il fuori, in maniera a volte ironica a volte poetica, sono caratteristiche importanti del mio lavoro”.
Le due danzatrici Breanna O’Mara e Anna Fingerhuth (in sostituzione di Anna Wehsarg) sono state davvero fenomenali, regalando non solo un eccellente performance di danza contemporanea, ma hanno dimostrato di essere delle vere danzattrici (come insegna la scuola di Pina Bausch), con un’espressività e una mimica facciale davvero invidiabili.
Il disegno luci porta la firma di Jacopo Pantani, l’ottimo editing musicale è di Bernd Kirchhoefer mentre il video è stato curato da Sabine Riviere.