Cesare Catà autore e attore sulla “singletudine” per TAU


di Elena Bartolucci e Chiara Bartolozzi

30 Lug 2020 - Commenti teatro

“Sono single perché l’universo è un’aporia ontologica”: un monologo di cabaret letterario sul tema della “singletudine” a cura di Cesare Catà, a Matelica, per la Rassegna Teatri Antichi Uniti. Connubio felice tra filosofia e cabaret, citazioni e dialetto, riflessioni e sorrisi.

Matelica (MC) – Lo scorso 19 luglio, presso il cortile di Palazzo Ottoni, in occasione della rassegna teatrale TAU (Teatri Antichi Uniti) è andato in scena uno spettacolo sui generis dal titolo “Sono single perché l’universo è un’aporia ontologica”. Un monologo scritto e interpretato da Cesare Catà, filosofo, attore e performer teatrale molto noto al pubblico marchigiano.

Alla base dello spettacolo ci sono i dubbi e le perplessità di chi si ritrova “’rmasto o ‘rmasta” (“solo/a” in dialetto marchigiano con l’accezione negativa del non sposata/o) intorno agli “anta” e che trovano una possibile risposta nella letteratura e nella filosofia. Infatti, scavando tra le varie difficoltà e i pregiudizi sull’essere single, il monologhista risale sin ai tempi dei Greci, citando le figure di Aristofane e Socrate ne il Simposio di Platone per spiegare come non sia indispensabile avere qualcuno a fianco. Proseguendo lungo questo fil rouge, Catà chiama a raccolta i miti greci e i suoi personaggi – che si basano su degli archetipi, cioè su modelli prestabiliti, in cui la collettività può rivedersi calandosi in uno o più dei ruoli giocati da ognuno di essi. Ad esempio, li utilizza per affrontare i temi legati al fidanzamento e al matrimonio per cui invoca coppie famose della letteratura greca come Prometeo e Pandora, Giasone e Medea, Teseo e Arianna e ancora Orfeo ed Euridice. Illustra magistralmente come le dinamiche all’interno di una coppia abbiano origine da un obiettivo comune, ma mutino col mutare delle condizioni esterne, dei propri desideri, delle scelte che si fanno quotidianamente. La verità è che uomo e donna hanno lo stesso desiderio intrinseco, ma non parlano la stella lingua e psicologicamente viaggiano su binari diversi, per cui non riescono a incontrarsi sebbene si illudano di farlo quando si innamorano. In fondo, è proprio Eros che si diverte a lanciare le sue frecce per far unire individui che tra loro non avrebbero mai (forse) provato attrazione verso l’altro. Ed ecco il paradosso. Il mistero dell’amore.

La follia presentata da Catà risiede infatti in come tutti questi miti – basati sulle relazioni tra i vari protagonisti – abbiano immancabilmente un finale amaro nonostante le premesse idilliache. La promessa di un amore perfetto o di un’unione basata sul reciproco rispetto che si tramuta spesso in abbandono e tragedia. Una considerazione agrodolce su come l’amore con le sue illusioni possa non reggere il passo con la realtà di ognuno.

Nel finale, Catà ha poi preso in prestito le parole di Bernard-Marie Koltès per spiegare come chiunque cerchi in realtà “un angelo in mezzo all’immenso bordello della vita” che sia in grado di riconoscerci per quello che siamo davvero, al di là dell’archetipo e delle convenzioni sociali.

Tutti aspiriamo infatti a sentire la bossa nova in testa innamorandoci all’istante di qualcuno, e a volte succede anche inaspettatamente, ma non è sempre così semplice trovare un grande amore evitando di far prendere il sopravvento alla propria obiettività.

La domanda che sornionamente il filosofo cerca di instillare in ognuno di noi è se in fin dei conti il mondo non vada letto al contrario; se questa strana storia delle relazioni umane non vada davvero analizzata a testa in giù, valutando la nostra unicità e mettendola al primo posto, permettendoci insomma di essere felici.

Particolarità dell’intero monologo è l’uso del dialetto marchigiano attraverso il quale Catà è riuscito a strappare innumerevoli sorrisi alla platea, rendendo più leggeri alcuni dei passaggi più malinconici e riflessivi. Quello che in apparenza vorrebbe sembrare solo un semplice spettacolo sulle vicissitudini della bistrattata categoria dei single in realtà va ben oltre.

Traendo spunto dalle proprie vicissitudini personali e familiari, l’autore/attore ha saputo usare con sapienza le tecniche dello storytelling e della stand-up comedy intrecciando con maestria pillole di filosofia e cabaret per raccontare la sua idea sull’amore e l’essere single oggigiorno. Un ottimo spettacolo dai ritmi ben serrati che con ironia e acume ha saputo far ridere e riflettere sulla storia antica per raccontare in realtà l’impossibilità per un maschio di non riuscire a [re]stare senza una compagna e senza cadere in un completo stato di abbandono al contrario delle donne che riescono sempre a cavarsela benissimo da sole. Un cliché? Forse, ma la vera forza femminile risiede proprio nella capacità di riuscire a ballare una forma personalissima di bossa nova e, magari, un giorno creare insieme a qualcuno una personale coreografia seguendo lo stesso ritmo.