Canto … ergo sum


di Bruno De Simone

28 Dic 2024 - Approfondimenti classica

Pubblichiamo un’interessante e approfondita riflessione di Bruno De Simone sulla situazione in diversi contesti, in Italia, della lirica, che pur riconosciuta patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO rischia il ruolo di “archeologia musicale”.

(Per gentile concessione di https://www.lesalonmusical.it/)

Bruno De Simone (ph A. Bofill)

Da che mondo è mondo, non c’è premio, riconoscimento o promozione che non renda sempre più responsabili i suoi destinatari, persone fisiche o giuridiche che siano: quello dell’UNESCO al canto lirico italiano, quindi all’opera lirica, era cosa auspicata da tempo ed è arrivato in un periodo alquanto critico per il comparto, per molteplici motivi.

Nonostante gli sforzi di categorie (deboli…), la persistente precarietà normativa dell’inquadramento professionale degli artisti lirici come liberi professionisti, che continuano ad accusare l’assenza di un albo professionale che li qualifichi, è ormai causa endemica di precariato che lascia disarmata la categoria, cosa che grava molto sull’inserimento di tanti giovani talenti.

La realtà di firme associative è insufficiente a tutelare il mondo artistico giovanile, data l’assenza di legittimazione attiva ai tavoli di confronto con le parti, non essendo organizzazioni sindacali: e dire che qualcosa si era tentato…

Il proliferare di Accademie e Concorsi di canto lirico è ormai fuori controllo: il problema è che non vi sia nessuna iniziativa a monte che possa definire i criteri di opportunità e di qualità della loro corretta nascita, garantendone trasparenza e valutazioni competenti da parte di professionisti qualificati selezionati sulla base di solidi curricula o per chiara fama.

I giovani artisti lirici lamentano criteri selettivi originati da giudizi non propriamente sereni: essi rischiano di demotivarsi e frenare i rispettivi percorsi di formazione… già, ed è proprio questo il problema all’apice.

Fino ad una ventina di anni fa, si contavano non più di una decina di concorsi di canto lirico che vantavano eccellenze del campo teatrale e musicale, presenze più che legittimate a poter giudicare liberamente i concorrenti: tra i vincitori di tali competizioni, facile poi sarebbe stato constatare l’inizio di una carriera artistica solida ed affidabile. Ma si sa… il mercato, di qualsiasi genere si tratti, ha da sempre i due concetti agli antipodi, qualità e quantità: più si satura la seconda e meno si garantisce la prima.

Oggi capita purtroppo che ai giovani talenti accolti nelle numerose istituzioni didattiche di formazione, si chieda di esibirsi nelle varie stagioni liriche, impegnandoli in numerose prove di scena atte a costruire lo spettacolo e, con ciò, distraendoli talvolta dallo studio di perfezionamento del delicato organo vocale che consenta di individuare il repertorio più consono da seguire e sviluppare. Intendiamoci: nella formazione di tali giovani artisti, la pratica del palco è cosa buona e giusta, nonché auspicabile: non esiste miglior maestro del palcoscenico perché è lì che si verifica il livello di preparazione del singolo artista. Ma tale pratica non dovrebbe assumere priorità sullo studio in sala con rinomati coaches che possano arricchire il bagaglio tecnico ed artistico dei discenti, fondamentale per una carriera longeva e senza incidenti di percorso…

L’individuazione del giusto repertorio è diventata cosa alquanto problematica ed eccessivamente soggettiva: si trascura in modo imperdonabile che da ciò possa dipendere l’avvenire di un giovane artista e lo sviluppo della sua carriera.

Ecco che la responsabilità di dare giuste e produttive indicazioni è molto pregnante ed occorrerebbe che i vari docenti, temporanei e non, se ne facessero carico anche alla luce di proprie esperienze in materia, facendo tesoro anche degli errori determinati da scelte sbagliate: con i mezzi informatici di cui disponiamo non è gran sforzo prendere atto di ciò che dicevano i grandi del passato, anche prossimo, al fine di accrescere le proprie cognizioni in una materia così delicata.

E, a questo proposito, la realtà dei fatti ci segnala una preoccupante carenza di voci nostrane di una certa consistenza, assistendo ad un loro indebolimento con conseguente scarsa competitività nei più svariati concorsi di canto: nella fase finale dei più blasonati si segnalano a volte uno o due cantanti italiani su venti, trenta provenienti da tutto il mondo.

Anche recenti esibizioni commemorative in luoghi topici confermano che ormai le voci più strutturate e di peso appartengano ad altra parte del nostro continente o del mondo: il perché dovrebbe essere oggetto di attenzione di organi, didattici e produttivi, che possano individuare le cause di questo indebolimento delle voci nostrane che contrasta non poco con i riconoscimenti all’opera italiana, da sempre oggetto di massimo apprezzamento internazionale.

Che cosa ne è stato della gloriosa scuola del belcanto italiano? Quella, per intenderci, che si rifaceva ai preziosi dettami del Lamperti o della Llopart, ma anche di tanti altri validi maestri?

Sappiamo che dalla riforma del 2022 esistono 73 Conservatori di musica attivi nella nostra nazione: ma noi, addetti ai lavori con carriere longeve, sappiamo anche che tre anni di frequenza per la laurea, per imparare a gestire il delicato organo vocale sono davvero troppo esigui.

Ecco che è venuto il momento di pensare seriamente a ristrutturare il settore della didattica canora in tutti gli istituti italiani. Già solo il fatto che in tanti paesi dell’est europeo e di altri continenti, si pratichi musica come materia formativa dalla prima età scolare ed in Italia sia a stento prevista un’ora alla settimana che spesso viene considerata come ora ricreativa, la dice molto lunga, facendoci comprendere il divario incolmabile tra la nostra realtà e tante altre.

Il principale vulnus che esiste ormai da sempre nel garantire la qualità delle nostre istituzioni didattiche è la precarietà se non addirittura la mancanza di controlli di qualità a cui vengono sottoposti i docenti musicisti in altri paesi, come quelli anglosassoni in cui le verifiche riguardano finanche gli orchestrali facenti parte di compagini anche blasonate: tutto ciò, per garantire uno standard di qualità soddisfacente ed ancor di più nel campo della didattica musicale dove il delicato ruolo del docente dovrebbe essere valutato sulla base dei risultati ottenuti.

È chiaro che alcune iniziative serie vadano assunte per tutelare le nostre nuove generazioni che rischiano seriamente di trovarsi senza lavoro, data la concorrenza di altri paesi per altro più che legittima: contrastare la tendenza in atto per evitare che la qualità diventi una variabile del tutto secondaria mettendo a repentaglio ogni criterio meritocratico.

Sembra anche opportuno auspicare che le competizioni tornino ad essere preziose occasioni di individuare veri talenti più che essere autoreferenziali per chi le organizzi e gestisca.

L’esigenza di tornare ad avere un vivaio è la stessa di quella che si avverte in altri ambiti come quello sportivo: le recenti ed umilianti performances della nostra nazionale di calcio trovano motivazione proprio nella penuria di giovani talenti allevati nei vari centri giovanili delle nostre squadre, così come si usava fare non più di una ventina di anni or sono.

A conferma che in questa materia non ci siano compartimenti stagni, alla formazione si aggancia il problema della divulgazione mancante dell’opera lirica di cui la maggior parte dei giovani studenti non ha alcuna cognizione.

Ricordo che qualche anno fa, presenziai ad un ricevimento in una grande città dove, in prossimità del debutto in un ruolo importante del mio repertorio, conobbi l’assessore alla cultura in carica a cui rivolsi il suggerimento di usufruire di noi artisti lirici di lungo corso per poter programmare qualche incontro con gli studenti di scuola e di università; ciò per stimolarli a porci domande sulla nostra arte e più specificamente sull’opera da rappresentare nel teatro della loro città, cosa in uso da tempo in tante città europee, e non solo capitali.

Rassicurandolo che nulla sarebbe stato dovuto a noi per eventuali tali incontri, rimasi attonito quando l’assessore mi disse: “ma sa che è una bella idea!?”.

Nessuna denuncia di scarsa sensibilità istituzionale, ma la conferma che i responsabili politici (affinché ciò non costituisca un ossimoro…) vadano stimolati ed informati su discrepanze ed incongruenze del nostro comparto: come mi diceva un importante politico di una regione del nord, essi non possono sapere tutti i malfunzionamenti e le dovute migliorie da poter apportare al buon funzionamento delle strutture deputate alla cultura. E della cultura, la nostra, l’opera lirica oggi patrimonio dell’UNESCO è probabilmente la Cenerentola, sperando che non si debba aspettare qualche mago… Alidoro per rivitalizzarla! Ristabilire un codice etico, per dare sicurezza e dignità a tutti i lavoratori, a cominciare dalle masse delle Fondazioni, dovrebbe essere in cima ad ogni restyling.

A questo proposito, la riforma Veltroni del ’96 che istituiva le Fondazioni lirico-sinfoniche sostituendole agli Enti Lirici non ha dato gli effetti sperati: nonostante il carattere privatistico da statuto delle stesse, esse continuano ad avere al 99% sovvenzioni dallo Stato e quindi restituire a quest’ultimo il naturale controllo e supervisione apparterrebbe ad una scelta etica sicuramente auspicabile.

Il pericolo incombe: o si dovrà procedere ad una radicale rivisitazione del comparto lirico-sinfonico assegnando i ruoli apicali ad affidabili economisti della cultura (se ne ravvisano uno o due di italiani…) anche di altre provenienze nazionali, sempre che non abbiano lasciato macerie nel loro paese di origine, oppure l’opera e con essa la musica classica rischierà di essere relegata ad una sorta di branca di archeologia. E da questo punto di vista, affinché ciò non accada, speriamo che la generosa attenzione dell’UNESCO possa avere effetto rivitalizzante su tutto il comparto: arrivare ai successi ed ai riconoscimenti è appagante ma ben più arduo è dimostrare di continuare a meritarli!

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