Campanella super a Ravello


Anna Indipendente

7 Ago 2011 - Commenti classica

Ravello (Sa). Il 17 luglio in una limpida e calda serata di mezza estate su un palco che sembrava sospeso tra cielo e terra nella scenografica cornice del Belvedere di Villa Rufolo, si è esibito il M Campanella, eccezionale Conductor dell'ottima orchestra Giovanile “Luigi Cherubini”. Certo non è usuale vedere un direttore d'orchestra che suona e dirige contemporaneamente, ma lì dove alcuni musicisti ci hanno abituato a questa doppia funzione il napoletano Michele Campanella ha voluto fare di più, lasciando il pubblico letteralmente a bocca aperta: ha interpretato l'intero programma a memoria, in perfetto pendent con la musica di Listz (1811-1886), di cui quest'anno ricorre il bicentenario della nascita e a cui questo concerto vuole essere un omaggio. Le composizioni del definitivo applicatore del moderno recital pianistico, interamente a memoria, sono state eseguite a mente da un direttore in perfetta simbiosi con “la sua” orchestra, come se il suo pensiero passasse da lui al grande insieme senza soluzione di continuità in perfetta ed equilibrata unitarietà d'intenti; orchestra, il pianoforte, nell'orchestra: furono Listz e Thalberg i primi musicisti, intorno agli anni 30-40 dell'Ottocento, a differenziare i diversi timbri pianistici: nel 1837 il musicista ungherese scrisse: “Noi possiamo suonare gli accordi come un'arpa, cantare come strumenti a fiato, staccare, legare, eseguire sullo stesso pianoforte migliaia di passi…prima…possibili…su molti differenti strumenti” (Rattalino, Da Clementi a Pollini, Milano, Ricordi, 1984, p. 31). à forse un caso che anche il maestro di Campanella, il cortoniano Vincenzo Vitale, didatta di ascendenza thalberghiana, che amava profondamente Listz, fosse dotato di una memoria prodigiosa? Dunque non d' istrionismo si tratta, ma dell'esigenza di un controllo capillare della qualità del suono, della precisione degli attacchi-stacchi, delle agogiche frase per frase, in perfetto stile vitaliano, capace di arrivare ad un'interpretazione mai tanto profonda, unitaria e passionale del dettato listziano, quanto quella di questa sera, pari se non superiore a quelle di un Brendel o di un Benedetti Michelangeli. Non a caso il maestro Campanella risulta uno dei più accreditati interpreti del repertorio listziano.
Quale modo migliore per appassionare i neofiti e nello stesso tempo far rivivere le note di uno dei più importanti protagonisti del romanticismo strumentale mitteleuropeo?
Il programma monografico è stato interamente incentrato, compiendo un'impresa quasi titanica, sulla produzione per pianoforte e orchestra, per la verità poco eseguita, del compositore ungherese (manca solo Malediction del 1840). Le caratteristiche di questa produzione sono: un perfetto equilibrio tra la parte pianistica e quella orchestrale e il trattamento cameristico di quest'ultima, perfettamente rese evidenti dall'esecuzione di questa sera.
La Fantasia ungherese in fa min. del 1853 raccoglie un pot pourris di suoni e colori d'Ungheria, in particolare domina il motivo famoso della rapsodia n 14 per pianoforte solo di cui questa composizione può considerarsi una versione estesa all'orchestra. Il tema principale, pare sia ispirato alla canzone popolare ungherese Il campo di Mohac, cui segue una sezione in la minore, Allegretto à la Zingarese, caratterizzata da un indiavolato ritmo puntato che termina quando vengono presentati altri motivi melodici fino al ritorno del tema iniziale che come in una vampata incendiaria chiude il brano.
Il Concerto per pianoforte e orchestra n 2 in la magg. secondo un critico americano, tale Apthorp, potrebbe essere descritto come un poema sinfonico col pianoforte, recante il sottotitolo Vita e avventure di una melodia. Lo stesso Listz lo denominò concerto sinfonico nella partitura originale proprio perchè non presenta alcuna attinenza col concerto classico: c'è sempre la concezione ciclica, come nel primo, nel senso che le varie parti sono collegate tra loro, ma qui siamo in presenza di un unico movimento, anche se è possibile rintracciare in esso ben sei sezioni, in base al concetto di trasformazione tematica. Funambolico lo stretto finale dell'ultima sezione sul ritmo di marcia della sezione precedente.
Quando fu eseguito per la prima volta a Weimar il 17 febbraio 1855 il Concerto per pianoforte e orchestra n 1 in mi bem. Magg. con l'autore al pianoforte e Berlioz sul podio dai detrattori di Listz, come Hanslick, fu definito molto sprezzantemente “un concerto per triangolo” per il risalto dato in orchestra a tale strumento nello scherzoso Allegro vivace. Ma così si difese il musicista ungherese in una lettera al cugino Eduard Listz: “Per quel che riguarda il triangolo, io non nego che esso possa arrecare offesa, specialmente se colpito con troppa forza e senza precisione. Prevale una pregiudiziale idiosincrasia… per gli strumenti a percussione…..io continuerò a farne uso e credo che otterrò da essi effetti che sono finora ignoti“. Sul pianoforte ottave da cardiopalma, trilli da brivido nell'Allegro maestoso iniziale e melodismo preannunziante il cromatismo wagneriano.
Atmosfera completamente diversa, lugubre e travolgente per quello che a ragione viene denominato Terzo Concerto: Totentanz, parafrasi sul Dies Irae, danza macabra sulla famosa sequenza gregoriana forse erroneamente attribuita a Tommaso da Celano che descrive il giorno del Giudizio. Fu suggerita a Listz nel 1838 dalla visione dell'affresco del pittore Andrea Orcagna, nel cimitero di Pisa, raffigurante, appunto, il Trionfo della Morte. Virtuosismo all'ennesima potenza per evidenziare il clima drammatico del brano.
Un plauso va anche all'orchestra giovanile “Luigi Cherubini”, fondata nel 2004 da un progetto di Riccardo Muti, perfettamente amalgamata, formata di giovani sì, ma di alto livello professionistico; è stata capace di seguire con sensibilità , rigore ed equilibrio il pensiero del direttore-pianista, restituendo tutto il vigore e l'energia della lettera listziana.
Unico rammarico: una perla musicale così rara avrebbe meritato un pubblico di gran lunga più numeroso, se non il tutto esaurito, anche se gli astanti non hanno fatto mancare entusiasmo e applausi calorosi agli esecutori.
(Anna Indipendente)


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