“Boris Godunov” inaugura la Stagione alla Scala di Milano
di Alberto Pellegrino
15 Dic 2022 - Commenti classica
Il Boris Godunov di Modest Musorgskij apre la nuova stagione della Scala con 13 minuti di applausi. Un’edizione possente con qualche discontinuità registica.
(ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala)
Il Teatro alla Scala ha aperto il 7 dicembre 2022 la stagione lirica con Boris Godunov, il capolavoro di ModestMusorgskij nella sua versione originaria del 1869, rappresentato per la prima volta nel 1909 con la direzione di Arturo Toscanini e poi andato in scena per altre 25 volte. Questa scelta ha suscitato alcune polemiche connesse alla guerra russo-ucraina, ma il sovrintendente Dominique Meyer ha dichiarato: “Tre anni fa abbiamo pensato di uscire un po’ dalle abitudini “italiane” e di aprire la stagione 2022/2023 con Boris Godunov di Modest Musorgskij. Perché cancellarlo oggi? Ci dobbiamo forse nascondere se leggiamo Dostoevskij? Non facciamo propaganda a Putin, non c’è niente che vada contro l’Ucraina. Basta sfogliare il libretto: non rappresenta l’apologia di un regime politico, semmai il contrario”.
Dopo il successo del Macbeth 2021, al quale hanno assistito oltre due milioni di telespettatori, la grande opera è ritornata anche quest’anno in televisione grazie alla Rai che ha affidato la ripresa audio e video al Centro di Produzione TV di Milano, con l’impiego di 11 telecamere in alta definizione, 45 microfoni nella buca d’orchestra e in palcoscenico, 15 radiomicrofoni dedicati ai solisti. L’opera è stata trasmessa in diretta su Rai Uno, Rai 1 H canale 501, RaiPlay e Radio 3. Il servizio pubblico ha permesso la visione del capolavoro di Musorgskij in 40 sedi organizzate dal progetto “Prima Diffusa”del Comune di Milano, che ha collocato anche un maxischermo nella Galleria Vittorio Emanuele II. La prima della Scala è stata trasmessa in diretta dalla Rai anche inFrancia, Belgio, Germania, Svizzera, Portogallo, Repubblica Ceca, Giappone ed è stata proiettata in 60 sale cinematografiche in Europa, America Latinae Australia.
Gli avvenimenti storici
Secondo gli studi storici, nel 1584 muore Ivan il Terribile, lo zar che ha liberato la Russia dal giogo mongolo e che ha governato il paese con pugno di ferro. Ivan ha lasciato due eredi: Dmitrij, il figlio di tre anni avuto dall’ultima moglie e Fedor fragile, malaticcio, molto religioso che, divenuto zar, si è rivelato incapace di governare. Al suo fianco Boris Godunov (1551-1605) è un abile e astuto cortigiano che diventa il reggente e che per 15 anni si pone alla guida della Russia, stabilendo un periodo di pace. Nel 1591 muore lo zarevic Dmitrij con la gola squarciata da un pugnale. Un incidente o un omicidio? Prevale questa seconda ipotesi e si sparge la voce che il mandante sia Boris, una tesi che è stata rimessa in discussione dalla recente storiografia, poiché Boris non avrebbe avuto alcun vantaggio da questa morte, dato che lo zar Fedor era ancora in vita e poteva avere dei figli.
Nel 1598 Fedor I muore senza lasciare eredi, per cui si apre un periodo di lotte, congiure e intrighi da parte dei boiari che aspirano al trono. Alla fine, Boris Godunov accetta la corona e diviene il nuovo zar della Russia. Dopo qualche anno, presso la corte polacca, compare un misterioso personaggio che dichiara di essere il sopravvissuto Zarevic Dmitrij e che sostiene di essere il legittimo erede del trono moscovita. Si tratta sicuramente di un impostore, ma il re polacco, tradizionale nemico dei russi, fornisce un esercito al pretendente, il quale marcia su Mosca scatenando una guerra che incide negativamente sulla popolarità di Boris, che muore improvvisamente nel 1605, lasciando il trono al figlio Fedor II che, dopo pochi mesi, viene ucciso dai boiari. Si apre così un periodo di congiure e di scontri sanguinosi, un “Periodo dei torbidi” che si chiude nel 1613 con l’elezione da parte dell’assemblea dei boiari dello zar Michail Romanov, il primo di una dinastia che regnerà sulla Russia fino al 1917, quando lo zar Nicola II sarà deposto dalla Rivoluzione d’Ottobre.
La tragedia di Aleksandr Sergeevič Puškin
Questa pagina di storia, così drammatica e tormentata, attrae molti artisti, tra cui Schiller che nel 1804 scrive il dramma Demetrio. In Russia Puskin, uno dei maggiori tra poeti, narratori e drammaturghi del Romanticismo russo, nel 1825 scrive la tragedia Boris Godunov nella quale parla di quella torbida epoca di congiure, tradimenti e uccisioni. Puškin, per creare un’opera che incarni lo spirito della nazione e del popolo russo, fa riferimento alla Storia dello Stato russo di Karamzin e prende a modello le tragedie di Shakespeare, scegliendo come protagonista la discussa figura di uno zar che ha regnato in un drammatico periodo della storia russa. Nasce pertanto un dramma caratterizzato da una grande rigore morale che Ettore Lo Gatto considera una delle opere più alte della letteratura russa “sia per il suo nucleo ideologico, sia per la perfetta realizzazione artistica del conflitto psicologico, sia per la compiutezza del quadro storico, sia infine per la perfetta fusione tra i caratteri rappresentati e il linguaggio che li rivela”.
Puskin porta sulla scena le sofferenze delle masse popolari, il potere che si afferma attraverso il sangue, il trionfo e il successivo annientamento di Boris Godunov, lo zar prima amato e osannato dal popolo, poi maledetto per le nefandezze e le catastrofi di cui è ritenuto responsabile. Lo stesso Boris vive una condizione drammatica, perché è divorato dai rimorsi per essere salito al trono grazie all’omicidio dello zarevic Dmitrij, un fantasma che lacera e sconvolge la sua coscienza: “Sento avvicinarsi il tuono celeste, la sciagura l’anima brucia, il cuore si riempie di veleno, negli orecchi martella il rimorso, mi assilla la visione di bimbi insanguinati… vorrei fuggire, ma dove? Sì, misero colui che ha la coscienza impura”. Puskin contrappone alla figura dell’usurpatore quella del monaco Pimen, un uomo moralmente integerrimo, mosso da una limpida fede, il quale nella solitudine della propria cella scrive la vera storia di una sanguinosa e barbara vicenda: “Oh, sciagura terribile, senza pari! Abbiamo provocato lo sdegno di Dio, abbiamo peccato prendendoci a sovrano un regicida”. Saranno proprio proprio una serie di sciagure e di violenza a portare Boris alla follia e alla morte.
Il melodramma di Musorgskij
Modest Petrovic Musorgskij nel 1868/69 scrive il libretto di un melodramma, prendendo a modello la tragedia di Puskin. Successivamente compone uno spartito particolarmente complesso che anticipa la stagione musicale del primo Novecento, rifiutando l’influenza delle scuole operistiche tedesca e italiana, traendo ispirazione dalla musica popolare che riflette l’anima più profonda del suo paese: “È il popolo che voglio descrivere, lo vedo anche quando dormo, penso a lui quando mangio e quando bevo l’ho davanti agli occhi, nella sua interezza, grosso, grezzo e senza il minimo appello: e quale ricchezza spaventosa di possibilità e di immagini musicali esiste nel linguaggio popolare, quale inesauribile miniera rimane da scavare per portare alla luce ciò che è vero nella vita del popolo russo”.
L’autore sceglie come protagonista lo zar Boris Godunov che, dopo avere a lungo rifiutato la corona, accetta di salire al trono con il favore del popolo, ma avendo sulla coscienza il peso della misteriosa morte dello zarevic Dmitrij, figlio di Ivan il Terribile. Boris cerca di governare la Russia con umanità e con giustizia, ma perde rapidamente il favore del popolo, quando il paese precipita nel caos, nella povertà e nella tragedia della guerra scatenata dal giovane monaco Grigorij che, fuggito in Polonia, si fa passare per lo zarevic Dmitrij e convince il re polacco a dargli un esercito per invadere la Russia. Boris Godunov, assillato da sensi di colpa e in preda ad allucinazioni, precipita nella follia e muore, designando il proprio figlio Fëdor come successore, mentre il popolo continuerà a soffrire e a subire le angherie del potere come profetizza un folle mendicante: “Sgorgate, sgorgate lacrime amare. Sventura, sventura sulla Russia! Pianti, piangi, popolo russo”.
La trama dell’opera
Nel 1598, morto lo zar Fëdor, il popolo prega affinché il boiardo Boris Godunov accetti di ascendere al trono. Superate indecisioni e paure, Boris accetta di diventare lo zar e l’incoronazione avviene con una cerimonia fastosa cerimonia e solenne. Tuttavia, l’un uomo tormentato dai dubbi e dai rimorsi (La mia anima si rattrista), mentre nel monastero di Čudov il monaco Pimen scrive una cronaca sulla storia della Russia e sull’assassinio del legittimo erede al trono, lo zarevič Dmitrij, ucciso per ordine di Boris. Il novizio Grigorij decide di farsi passare per lo zarevič assassinato, pronto a guidare una rivolta contro Boris, ma deve fuggire in Polonia, dove convince il sovrano a dargli un esercito per abbattere il tiranno. Nel 1604, negli appartamenti privati dello zar, la figlia adolescente Ksenija, manifesta il suo dolore per la morte del fidanzato (Dove sei, mio promesso sposo?), mentre la nutrice e il fratello Fëdor e lo stesso Boris cercano invano di consolarla. Lo zar si ferma a parlare con Fëdor che è intento a consultare la carta dell’immenso impero russo, sul quale un giorno dovrà regnare. Il padre lo incoraggia a proseguire gli studi per divenire un giorno il nuovo zar, ma esterna anche la sua angoscia per avere conquistato il trono per mezzo di un delitto (Ho raggiunto il potere supremo). Una terribile carestia si è abbattuta sulla Russia e il popolo ritiene lo zar colpevole di tutte le sventure. Il principe Šujskij, il suo scaltro consigliere, annuncia a Boris che un pretendente (il falso Dmitrij) è apparso in Polonia e si prepara a marciare sulla Russia per conquistare il favore del popolo. Scosso da questa rivelazione, Boris chiede la conferma della morte di piccolo zarevic a Šujskij, il quale rievoca i particolari del delitto e il ritrovamento del cadavere del fanciullo. Boris non regge al macabro racconto; è tormentato dai rimorsi e cade in preda a terribili allucinazioni: gli appare il fantasma del defunto Dmitrij e vede i fantasmi dei suoi figli che presto saranno a loro volta assassinati. In quel momento muore, dopo avere supplicato Dio di aver pietà della sua anima.
La messa in scena della Scala
È stata senz’altro una scelta coraggiosa quella di mettere in scena un’opera complessa e difficile come Boris Godunov, ma possiamo dire che l’operazione è in gran parte riuscita prima di tutto per merito del Maestro Riccardo Chailly, dell’Orchestra e del Coro della Scala che hanno fornito una interpretazione appassionata e profonda della possente musica di Musorgskij, dando il giusto rilievo al protagonista, al ruolo del popolo russo, alla presenza del monaco Pimen che, chiuso nella sua umile cella, ha cercato di contrapporre al potere la verità storica, battendosi in nome della libertà.
In un cast formato da interpreti di alto livello, si è imposto il basso Ildar Abdrazakov che ha incarnato in modo splendido il personaggio di Boris, fornendo una prova di grande preparazione tecnica, d’intelligenza interpretativa e di forza drammatica. Al suo fianco hanno brillato sia il tenore Dmitry Golovnin, che ha conferito particolare spessore al personaggio del monaco Grigorij, sia il basso Ain Anger che ha interpretato il monaco Pimin.
Molto belli i costumi, sia quelli fastosi della corte, sia quelli delle masse popolari ispirati alla tradizione culturale russa, concepiti secondo una rigorosa cifra storica che è partita dal Cinquecento per passare attraverso l’Ottocento del compositore, per arrivare ad alcune commistioni del Novecento a sottolineare una continuità storica che ha attraversato il filo della Storia fino ai nostri giorni. Affascinante ed elegante la scenografia con la scena iniziale dominata da una grande pergamena bianca colma di parole e disegni, un’onda di carta dal grande impatto visivo sulla quale è stata scritta una storia che parla della brutalità del “potere che manipola il popolo” e della “ricerca della verità opposta alla censura”. Si passa poi alla sontuosa e scintillante scena della incoronazione; quindi, alla ruvida semplicità del Monastero che ospita il monaco Pimin. Nella seconda parte dell’opera l’azione si svolge nell’elegante salotto privato dello zar che ha come parete la carta geografica dell’immenso impero russo, per ritornare infine alla scena iniziale, dove si compie la tragica morte di Boris.
Elegante ma non sempre convincente è stata la regia del danese Kasper Holten che non ci è sembrata all’altezza delle precedenti e straordinarie regie scaligere di Attila, Tosca e Macbeth,firmate da Davide Livermore. Per questa opera il regista ha scelto una chiave interpretativa a metà strada tra Naturalismo e Simbolismo, finendo per dare una sensazione di discontinuità. Dopo aver individuato come parole-chiave il Potere, la Crudeltà, l’Infanticidio, la Maledizione e il Rimorso, la regia è rimasta sempre divisa tra ricerca intellettualista e volontà di rappresentare l’anima popolare. Per voler dare visibilità alla violenza e alla crudeltà del passato e per creare un legame di continuità con la crudeltà e la violenza dell’attuale momento storico, si è finito per eccedere con la presenza dei fantasmi insanguinati del piccolo Dmitrij e dei figli di Boris (destinati a diventare tali in un prossimo futuro secondo le premonizioni dello zar), con corpi insanguinati dei tanti bambini innocenti trucidati dalla guerra. Forse si è caduti in un eccesso di crudezza realistica con figure che avrebbero dovuto apparire più evanescenti, con il pericolo di arrivare a effetti da Grand Guignol, tanto più incoerenti se inseriti in un elegante contesto scenografico spesso simbolico. La regia con la continua presenza di questi fantasmi vittime del potere ha voluto ricordare a Boris il suo destino di morte; ha voluto rendere estremamente visibile il senso di colpa e infine la follia del protagonista con una evidente citazione di personaggi shakespeariani consumati dal potere come Macbeth e Riccardo III. Il regista ha espresso la lodevole intenzione di proporre allo spettatore la lezione di una Storia dominata dal sangue e dalla ferocia, una Storia che si ripete ciclicamente per arrivare fino a oggi: “Questa è una storia di vittime innocenti, di uomini che vogliono il potere con cinismo, e che sono gli stessi all’epoca di Boris, di Puskin e forse anche nella nostra”. Purtroppo, non sempre le lodevoli intenzioni riescono a riprodursi con coerenza stilistica sulla scena.