“Bianca e Falliero” ha aperto il ROF 2024


di Andrea Zepponi

13 Ago 2024 - Commenti classica

Al nuovo Auditorium Scavolini di Pesaro “Bianca e Falliero” apre il ROF 2024 con successo per la parte musicale. Discutibile la messa in scena.

(Foto di Amati Bacciardi)

Quel “bell’ingegno che sembra destinato a segnare una nuova epoca dei fasti della musica italiana”, come scriveva La Gazzetta del 29 dicembre 1819 dopo la prima assoluta del 26 alla Scala di Milano di Bianca e Falliero, non fu accolto dall’ambiente musicale milanese con il successo che la sua opera avrebbe meritato se fosse stata meglio compresa e non segnata da ingiuste critiche. Come al solito si rimproverò a Rossini gli autoimprestiti che sono davvero pochi nell’opera, anzi essa contiene parecchia musica originale di raffinata orchestrazione. Bianca e Falliero fa parte di quei melodrammi di soggetto veneziano a costituire un topos che avrà fortuna nel corso del secolo, con I due Foscari di Verdi per finire con La Gioconda di Ponchielli: l’ambientazione storica della città lagunare, i suoi foschi intrighi politici, gli interessi famigliari, la suggestiva cornice artistica di un quadro dal contenuto drammatico, anzi tragico e una costante, l’elemento femminile che invade a buon diritto quello maschile, fatto presente anche dei Due Foscari. Eh sì, perché è Bianca a presentarsi (non si sa come in quanto confinata nelle sue stanze dal padre) al severissimo tribunale del “consiglio dei tre” per far valere la sua testimonianza e scagionare l’amato Falliero che il padre Contareno vorrebbe condannare a morte per darla forzatamente in sposa a Capellio. L’opera è forse la più virtuosistica e flamboyant dal punto di vista vocale del repertorio rossiniano prima di Semiramide e richiede vocalità decise, fortemente differenziate, soprattutto per rendere i vari momenti insiemistici come lo straordinario Quartetto del secondo atto.

Il libretto di Felice Romani traspose il soggetto tragico francese di A. V. Arnhault (dove il povero Falliero, muore strangolato) e lo diede in pasto ai milanesi in uno dei momenti più incandescenti della querelle tra Classicisti e Romantici, con un finale lieto; insomma Romani, classicista inossidabile, aveva stuzzicato la temperie romantica che già circolava abbondantemente nella capitale lombardoveneta e non aveva certo favorito l’accoglienza felice di un’opera a cui Rossini teneva molto.

Il discredito successivo della critica alla prima scaligera la fece sempre più scomparire dal repertorio fino a riaffiorare trionfalmente solo nel secolo scorso, nel 1986, all’Auditorium Pedrotti con le eclatanti voci di una Horne, di una Ricciarelli, di un Merrit e di un Surjan. Pertanto, è difficile a chi, come il sottoscritto, ha ancora negli orecchi e negli occhi quella ripresa straordinaria del gioiello rossiniano, assestare un giudizio sulla recita in nuova produzione che ha aperto il ROF 2024 il 7 agosto inaugurando l’Auditorium Scavolini con l’edizione critica della Fondazione Rossini a cura di Gabriele Dotto.

Difficile, anzi impossibile non notare le differenze sostanziali soprattutto dal lato vocale. Ci voleva un soprano lirico capace di far valere la tessitura Colbran dell’aria finale (la stessa della Donna del lago) e un vero contralto capace di dare a Falliero il peso vocale e lo spessore che assommano il lirismo di un Tancredi e il lato eroico di un Arsace, un baritenore capace di far sentire i diversi registri e un basso timbrato in senso belcantistico.

Nella fattispecie gli interpreti di questa edizione non possono essere confrontati in nulla con la fatidica ripresa del 1986: il soprano Jessica Pratt in Bianca è impareggiabile nella coloratura sfogata sul crinale sovracuto che l’ha impegnata incessantemente sul palco per tre ore; meriti indiscussi, non c’è che dire, qualora si fosse potuto sentire lo spessore vocale anche della zona media dove l’espressività emerge di più. Invece si è vista la “luna nel pozzo” che accade, come diceva Rossini quando, si percepisce la tessitura del soprano troppo spostata nel registro acuto proprio come ha fatto la Pratt concludendo l’opera con uno Mi bemolle sovracuto assolutamente fuori stile e fuori luogo. Una prodezza applauditissima.

Di Aya Wakizono (Falliero en travesti) al debutto nel ruolo si può dire che non è un contralto e neppure un mezzosoprano ma semmai un soprano secondo che ha brillato soprattutto nei duetti dove la mano direttoriale di Roberto Abbado ha sempre tenuto sonorità soffuse tanto da evocare gli arcaici bicinia della tradizione polifonica quando le due voci delle protagoniste erano appaiate a distanza di terza o di sesta. L’aria struggente del secondo atto Lasso, cessar di vivere e relativa cabaletta hanno trionfato soprattutto per gli sbalzi di puntatura acuta opportunamente ritagliata dalla parte originale. Complice l’acustica comprovata e migliorata dello Scavolini, si sentiva tutto, anche i passi degli interpreti sul palco e i fastidiosi evitabilissimi rumori extramusicali.

Applauditissimo il tenore Dmitry Korchack (Contareno), tenore ormai accreditato al Rof, ha onorato la parte con sicurezza anche se è un tenore di chiaro stampo donizettiano che non fa percepire cambi di registro. Uguaglianza apprezzabile ma non in linea con lo stile rossiniano.

Molto apprezzati per giustezza vocale anche Giorgi Manoshvili (Capellio), basso timbrato e di notevole profilo scenico, Nicolò Donini (Priuli), Carmen Buendìa (Costanza), Claudio Zazzaro (Ufficiale/ Usciere) e Dangelo Diaz (Cancelliere).

Per quanto riguarda la scenografia e i costumi di Rudy Saboughi, la regia di Jean-Louis Grinda mi permetto di tacere in merito perché ogni elemento dello spettacolo sembrava scollato dalla vicenda e ambientazione originali, inoltre non sono in grado di capire come siano correlate le note di regia con quello che è stato lo spettacolo effettivo.

Le luci di Laurent Castaingt soffondevano molto bene l’atmosfera notturna che improntava il più della resa scenica.

L’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI ha dato il meglio di sé sotto la bacchetta di Abbado: chiarezza e trasparenza timbrica anche nella tempistica più spinta per sostenere i cantanti e il loro virtuosismo altrettanto spinto.

Ottimo il Coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno diretto da Giovanni Farina.

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