Bella edizione di “Les contes d’Hoffmann” a Jesi
di Alberto Pellegrino
13 Dic 2014 - Commenti classica, Musica classica
JESI (AN). La 47^ Stagione Lirica della Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi ha chiuso in bellezza con una elegante e convincente messa in scena dei Contes d’Hoffmann di Jacques Offenbach su libretto di Jules Babier e Michel Carrè tratto da un dramma degli stessi autori. L’opera, che è approdata per la prima volta sul palcoscenico del Teatro Pergolesi, è nata da una coproduzione della Fondazione jesina con i Teatri del Circuito Lirico Lombardo e con l’Opéra de Rouen Haute Normandie. Per l’occasione è stata allestita una compagnia di giovani cantanti, affiancata dal Coro del Circuito Lirico Lombardo e dall’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, diretta dal M° Christian Capocaccia, direttore della Filarmonica di Stamford Young Artists nel Connecticut, il quale ha tenuto a sottolineare che “l’incantamento è la vera dimensione in cui si svolgono Les contes d’Hoffmann, moltiplicando in un mirabolante, borghesiano gioco di specchi l’incantesimo primo che sta alla base di ogni finzione teatrale e operistica. Il protagonista è, nelle mani di un Offenbach buon incantatore, lo strumento della creazione di una dimensione altra… Una dimensione dove, in una sorta di caleidoscopio felliniano, nella finzione generale s’inanellano, una dentro l’altra, le finzioni dei vari racconti”.
Quest’opera, che è senz’altro il capolavoro del compositore francese Offenbach fino a quel momento affermatosi come autore di operette di grande valore, trae spunto da una serie di racconti del poeta tedesco E. T. A. Hoffmann, uno dei maggiori rappresentanti della cultura romantica europea, il quale è costantemente impegnato nella ricerca della donna perfetta da amare che identifica progressivamente nella cantante Stella, nella bambola meccanica Olympia costruita dallo scienziato Spalanzani, nella cortigiana Giulietta e nella giovane Antonia, un’aspirante cantante dalla fragile salute. Hoffmann si trova sempre di fronte all’impossibilità di realizzare il vero amore anche a causa della persecuzione cui lo sottopone una moderna incarnazione del demonio che veste in successione i panni di Lindorf, Coppelius, Dapertutto e Dottor Miracle, portandogli sempre via la donna del momento con ogni mezzo (tutti gli anni terminano con la morte delle tre donne), per cui il protagonista viene condannato alla solitudine e alla disperazione. A soccorrerlo sarà ancora una volta l’intervento dell’amico Nicklausse che, smesse le vesti umane, mostra il corpo femminile della Poesia, gli ricorda che solo l’Arte potrà donargli pace e serenità (“Con le ceneri del tuo cuore/riscalda il tuo genio,/nella serenità/sorridi ai tuoi dolori!/La Musa placherà/la tua santa sofferenza”).
In pieno accordo con il direttore anche il regista Frédéric Raels ha scelto la chiave di lettura di “un’illusione invadente che costringe l’occhio e distorce la realtà, un delirio continuo in cui ogni personaggio è il doppio di un altro”. Per questo la scena è dominata da un’enorme scatola, un oggetto scenico che fa da contenitore dei desideri dei vari personaggi caratterizzati da precisi simboli scenici che ne definiscono la personalità ma che assicura un legame di continuità tra un personaggio e l’altro, tenuti insieme dall’ossessiva presenza di un essere demoniaco dall’aspetto multiforme. Hoffmann, ossessionato da questa continua ricerca della donna perfetta, finisce per identificare le quattro donne della sua vita in una sola creatura incontrata in luoghi e momenti diversi della propria vita. Il regista ha scelto l’edizione del 1907 perché l’ha ritenuta la più efficace sotto il profilo drammatico e la più fedele allo spirito di Offenbach, anche se contiene alcuni elementi apocrifi come il bellissimo sestetto della fine del secondo atto Scintille, diamanti. Raels ha inoltre invertito il secondo e il terzo atto, collocando nel finale dell’opera il drammatico personaggio di Antonia e la sua tragica fine. L’opera è stata valorizzata dalla scenografia sempre elegante e cromaticamente efficace di Bruno de Lavenère, dai raffinati costumi primo Novecento di Lionerl Lesire che ha saputo conferire unità stilistica e cromatica a tutti gli abiti di scena in un sapiente dosaggio tra realtà e fantasia; molto efficace e significativo è stato il progetto luci di Laurent Castaingt che ha sempre sottolineato tutti i passaggi della vicenda, conferendo spessore ai vari personaggi.
Tutta la compagnia di canto è stata all’altezza di questo allestimento scenico interpretando con naturalezza i vari ruoli. Una menzione a parte merita il basso Lauren Kubla che ha interpretato con eleganza le varie incarnazioni diaboliche; altrettanto valide sono le tre giovani e belle interpreti femminili, non a caso vincitrici del 65° Concorso As. Li. Co. per Giovani Cantanti Lirici d’Europa: l’Italiana Bianca Tognocchi che ha vestito i panni di Olympia, la kazaka Maria Mudryak (di soli 20 anni) che è stata un’affascinante Giulietta e la tedesca-svizzera Larissa Alice Wissel che è stata una splendida Antonia.