Attesa per l'Anrea Chènier di “Pizzi”
19 Lug 2005 - News classica
Un doppio evento. Il ritorno allo Sferisterio, dopo 35 anni, di Andrea Chènier. L'arguzia del regista Pier Luigi Pizzi per la prima volta a confronto con un'opera verista.
Sabato 23 luglio va in scena la prima del capolavoro di Umberto Giordano (1867-1948), che è stato uno dei compositori più rappresentativi del primo Novecento musicale italiano con alcune opere di successo (Fedora, 1898; Madame Sans-Gene, 1915; La cena delle beffe, composta nel 1924 su libretto di Gioacchino Forzano, tratto dal celebre dramma di Sem Benelli). La sua opera più popolare resta, comunque, Andrea Chènier, composta nel 1896 su libretto originale di Luigi Illica, un dramma storico amato non solo da un vasto pubblico, ma da alcuni grandi tenori che hanno legato ad esso la loro fama, in particolare marchigiani Beniamino Gigli e Franco Corelli, Gianni Lauri Volpi e Mario Del Monaco.
La vicenda è costruita intorno al personaggio storico di Andrea Chènier, il maggiore poeta neoclassico del secondo Settecento francese. Formatosi nei circoli illuministici, egli aveva aderito alla Rivoluzione, militando nel partito moderato sostenitore della monarchia costituzionale. Per aver criticato duramente e condannato gli eccessi commessi durante il periodo del Terrore, egli venne condannato e giustiziato nel 1794, poco prima che fosse abbattuto Robespierre e il suo governo.
Il libretto di Illica, che tratta soprattutto il tema dell'amore fra Andrea Chènier e Maddalena di Coigny, sposa dal punto di vista politico la tesi della Rivoluzione che “divora” i suoi figli migliori, tanto che il rivoluzionario Gerard grida di fronte al tribunale che sta giudicando Chènier “La tua Giustizia ha nome Tirannia/L'amore della patria?! No, è un orgia/ di sangue e di vendette/ La patria è là /ove si muore con la spada in pugno!/Non qui ove le uccidi i suoi poeti!”. Nell'opera, accanto a personaggi di fantasia, sono citati personaggi storici come Robespierre, Marat, Barras e Demouriez, il pubblico accusatore Antoine Fouquier-Tinville e Dumas, presidente del Tribunale rivoluzionario. Nella partitura si possono inoltre individuare alcune citazioni di celebri canti rivoluzionari come la Marsigliese, il à a ira e la Carmagnola.
Al di là del contesto storico e dei suoi risvolti politici, la vicenda resta tuttavia incentrata sulla storia d'amore dei due protagonisti, uniti da un sentimento che va oltre la morte e che coinvolge anche l'antagonista Gerard preso in un groviglio di amore e odio, gelosia e generosità . La popolarità di questo melodramma è stata infine determinata da alcune celebri romanze come Son sennt'anni, o vecchio, Un dì nell'azzurro spazio, Credo ad una possanza arcana, La mamma morta, Nemico della patria, Sì, fui soldato e Come un bel dì di maggio.
L'opera sarà diretta dal Maestro Pier Giorgio Morandi e sarà interpretata, nei tre ruoli principali, dai tenori Marcello Giordani e Steven Harrison, dal soprano Raffaella Angeletti e dal baritono Marco Di Felice.
La regia, le scene e i costumi sono di Pier Luigi Pizzi, che ritorna allo Sferisterio dopo il successo riportato nelle stagione precedente con Les contes d'Hoffmann e in apertura della presente stagione con le due opere Le bel indiffèrent e Les Mamelles de Tirèsias. Affermato interprete dell'opera barocca e del melodramma romantico, Pizzi affronta per la prima volta quest'opera di area verista, accettando la sfida artistica di produrre uno spettacolo di grande spessore, nonostante le ristrettezze economiche imposte dalla difficile situazione economica.
Il maestro darà a di quest'opera una sua particolare “lettura”, come si può desumere da questa intervista rilasciata poco prima di iniziare l'ultimo turno di prove sul palcoscenico dello Sferisterio. L'orario d'inizio degli spettacoli è alle 21.30. Repliche il 5, 10 e 12 agosto.
ANDREA CHà NIER – CONVERSAZIONE CON IL REGISTA PIER LUIGI PIZZI
Nonostante le straordinarie messe in scena di opere sei-settecentesche, del grande Ottocento e contemporanee, per sua scelta non si era mai misurato con quelle veriste, quest'anno invece è impegnato con Gioconda a Verona e Andrea Chènier a Macerata. Cosa ne pensa, da regista?
Sia La Gioconda che Chènier sono melodrammi ricchi di teatralità , il primo ha un libretto mascalzone, un pedaggio pesante pagato alla scapigliatura, pieno di orrori e di effetti macabri fino al grottesco, difficile da prendere sul serio senza cadere nella parodia. Ho cercato, forse a torto, di nobilitarlo dando più importanza al confronto dei personaggi che al contesto pseudo-storico in una cornice oleografica di Venezia.
L'Andrea Chènier però è diverso, molto più influenzato dal grand-opèra
Mi sono convinto sempre più che la strada della semplificazione potesse anche per Chènier, che ha un respiro, a mio parere, maggiore e personaggi sono meglio definiti. Anche qui ho scelto di bandire le immagini più convenzionali di una improbabile rivoluzione francese, adottando un linguaggio più allusivo e simbolico. Una semplice struttura architettonica, serra nei giardini della Contessa, diventa successivamente caffè dei rivoluzionari e delle merveilleuses, tribunale, carcere, in una progressione di movimenti che dilatano via via lo spazio fino al vuoto, quasi assoluto.
Tutto scompare allora, un po' come il Poeta, e la Poesia stessa, sembrano destinati a scomparire, vittime della Rivoluzione
In questa logica ho ovviamente abolito tutta la paccottiglia rivoluzionaria: la arriva come un'eco inquietante; è presente solo attraverso gli elementi che sono essenziali allo svolgimento della vicenda, in una evocazione che passa attraverso il simbolismo, non il verismo.
Sembra di capire che alla fine queste opere l'hanno coinvolta più di quanto si aspettasse
Andrea Chènier è un melodramma che continua sedurre il pubblico e alla fine anch'io mi sono lasciato trasportare dalla spinta emotiva della musica.
Si privilegia l'aspetto spettacolare della Rivoluzione Francese perchè tutto sommato è quello più superficialmente appagante
Non ho visto che poche volte quest'opera sulla scena, ma mi è sempre sembrato che l'aspetto dominante fosse quello illustrativo, anche se la vicenda non mi pare così inestricabilmente legata all'aneddoto storico, ai riferimenti specifici a personaggi che magari non cantano come Robespierre, che non necessariamente devono comparire in scena. Queste convenzioni rischiano di soffocare i valori musicali. In sede di progettazione ho subito trovato più interessante la parte musicale di quella drammaturgia, sommaria e abbastanza scadente.
à per questo che mi sono concentrato sui tre protagonisti, comunque con più fiducia nella loro vocalità che nel loro spessore psicologico.
Pensa che lo Sferisterio sia il luogo più adatto per una ripulitura così radicale dell'Andrea Chènier, e sbalzarne i suoi valori di dramma musicale?
à uno spazio molto anomalo e difficile, ma al mio debutto con Les Contes d'Hoffmann, opera apparentemente inadatta allo Sferisterio, mi sono sentito come poche altre volte completamente libero di inventare. Non credo che ci siano opere più adatte ad un luogo che ad un altro: o almeno ciò è vero solo teoricamente, perchè nella pratica quel che conta è mettersi al centro dello spazio, interrogare l'opera, crearsi delle motivazioni valide, sfidare i pregiudizi, non tradire mai i propri principi, non temere il rischio di esporsi al giudizio critico o di non riuscire a cogliere l'unanimità di consensi. Credere nelle proprie scelte. Lavorare, lavorare, lavorare.