Ascanio Celestini e il trionfo dell’uomo in “Laika”
di Lucia Gallucci
2 Giu 2017 - Commenti teatro
Civitanova Marche (MC) 03.05.2017. L’odore del teatro, mi ha sempre affascinata.
E l’atmosfera creata per l’occasione, era di quelle intrise di logica illogica.
Sul palco, un piccolo siparietto rosso, nasconde una catasta di casse di plastica colorata, simbolo del lavoro di fatica. L’atmosfera visiva caricata di intensità dalle note di fisarmonica con cui Gianluca Casadei entra nel dialogo, nella scena.
E poi Lui. Ascanio Celestini, padrone indiscusso del palco, della platea, le sue sono come le piccole abat-jour sparse sulla scena, aumentano l’intensità del buio, mentre inizia il suo racconto di racconti.
Laika, un gioco di parole tra, “Laika” la cagnolina spedita dai russi nell’orbita, od anche “la creatura che è stata più vicina a Dio”, e l’aggettivo “laica”, non legato ad alcuna religione.
Il suo recitare incalzante, in un romanesco verace, lascia sempre col respiro sospeso, come a dire, “e poi? E poi cosa succede?”
I personaggi, si aprono a ventaglio dal suo parlare, ognuno dirà di sé in prima persona, in un fare pulito chiaro e dinamico: la donna con la testa impicciata, la vecchia che non crede, la prostituta, i facchini del supermercato, sono emarginati che vivono lo stesso angolo di quartiere e innescano relazioni a partire dalla propria differenza, da ciò che li distingue e li separa dalla più larga comunità. Sono dei perduti, come la cagnetta Laika lanciata nello spazio da una capsula spaziale, di cui nessuno ha più avuto notizia.
Con un crescendo ininterrotto dei personaggi, rappresentati idealmente da Laika, una cagnetta cresciuta in strada, e quindi più resistente e forte, ad uno ad uno, vengono raccontati, i racconti, di tutti i personaggi. Ed in ogni racconto emerge l’obiettivo ben preciso di tenere al centro l’uomo.
In più di un passaggio, Celestini ci pone davanti a delle domande, se questo è il mondo dell’indifferenza, dell’uomo verso l’uomo, dov’è lo sguardo di Dio?
E l’argomento fulcro in Laika, è proprio l’inammissibile esistenza di Dio, in una società inadatta a contenerlo e soprattutto a farne a meno come entità agente, affermando poi, che l’unico miracolo possibile è quello dell’uomo che salva un altro uomo.
Alla fine dello spettacolo, il miracolo avviene. Di notte, mentre la polizia sgombera il picchetto di operai che avevano trincerato la fabbrica per protesta, un cieco, una vecchia e una donna dalla testa impicciata, un esercito davvero inverosimile per quanto sgangherato, scendono in strada per difendere un barbone nero dalle percosse.
Per tutto lo spettacolo, lo spettatore sprofonda progressivamente nella narrazione, con l’accompagnamento incalzante, tanto quanto Celestini stesso, delle note di fisarmonica di Gianluca Casadei.
Uno spettacolo “diverso”, veloce e coinvolgente, ed a tratti divertente, dove è impossibile non entrare nei panni della donna con la testa impicciata, della vecchia che non crede, della prostituta, dei facchini del supermercato.
Uno spettacolo senza giri di parole, senza remore, ed ora ci non resta che capire, se scendere in strada o meno; se farli i nostri piccoli miracoli quotidiani. Oppure, come fa Dio, lassù, restare a guardare.