Io non appartengo più


Alberto Pellegrino

19 Nov 2013 - Dischi

Cover cdInvecchiare evidentemente fa bene ai nostri cantautori come hanno dimostrato con due magistrali lavori Enzo Jannacci con L’uomo a metà (2003) e Francesco Guccini con L’ultima Tule (2012). Ora Roberto Vecchioni celebra i suoi settant’anni con il disco Io non appartengo più uscito, dopo sei anni di silenzio, l’8 ottobre scorso con 12 nuove canzoni non a caso chiamate round, fornendo come chiave di lettura l’immagine di copertina, dove al centro di un ring c’è l’autore, seduto in una poltrona e illuminato da una lampada, con ai piedi una simbolica pila di libri. “Il ring fotografato in copertina – dice Vecchioni – è il simbolo della mia resistenza a questa società, ma attenzione: non sono un passatista, anzi, ma proprio non sopporto questa democrazia ormai diventata demotrofia, demomania, ossessione di far sapere a tutti la propria opinione tramite Twitter o Facebook. Parafrasando Voltaire, dico che non difenderò quello che dici, se tutto quello che hai da dire sono idiozie. Vedo gente trascorrere ore sui social network a raccontare fatti che non interessano a nessuno e mi chiedo che Paese sia mai quello in cui tutti coltivano il proprio orticello e se ne fregano delle responsabilità che comporta una democrazia”.
Il cantautore, pur rimando fedele al suo stile, ha voluto dare un forte spessore musicale alle composizioni passando dal folk al melodico, dalla ballata alla canzone musicalmente impegnata fino a sfiorare un andamento sinfonico, sorretto da un valido apparato musicale costituito da un’orchestra di sei elementi, un coro e un trio formato da Massimo Germini (chitarra classica e acustica), Roberto Gualdi (percussioni) e Lucio Fabbri (pianoforte, tastiere, chitarra classica, basso, violino, viola, mandolino), il quale ha curato tutti gli arrangiamenti.
L’intera raccolta si presenta come un’alta prova di poesia per merito dei testi che rappresentano quanto meglio Vecchioni abbia finora scritto per intensità e profondità di sentimenti, per spessore intellettuale e per coerenza tematica. E’ sufficiente fare riferimento alla composizione d’apertura Esodo dove dialoga con l’Edipo a Colono di Sofocle; all’omaggio per la poetessa polacca, Premio Nobel per la letteratura 1996, Wislawa Szymborska; alla ballata Stelle, nella quale racconta la storia di un inguaribile viaggiatore che affronta il mare aperto deciso a violare il mistero dell’universo; alla canzone Due madri dove affronta il tema sociale di due donne che hanno scelto la maternità, avendo il coraggio di sfidare una società che non accetta il loro amore “diverso”.
Vecchioni non rinuncia a trattare il tema degli amori e degli affetti familiari nelle canzoni Le mie donne e Sei nel mio cuore, nelle quali cita Simone de Beouvair e Rosa Luxemburg, Madonna e Lady Gaga, Botticelli e Beethoven, il film Casablanca e il giallista statunitense Jeffrey Deaver celebre per Il collezionista di ossa, fino al Teorema di Fermat, lasciato volutamente insoluto nel 1637 e considerato una metafora dell’insolubile mistero della vita. Il tema dell’amore ritorna in Come fai? Un omaggio alla donna che gli ha donato l’amore in ogni occasione, di fronte a qualsiasi dolore: “dimmi come fai a rispettare i miei silenzi, al leggere i miei pensieri prima che li pensi? Ma come fai dimmi come fai ad essere e non avere”.
Vecchioni cresce ancor più di spessore quando imbocca la strada della memoria (Sui ricordi), affermando che non vuole essere ricordato per essere stato giovane e vincente, nel pieno del successo e dell’amore (“Io sono l’ultimo ad amarmi,/per cosa scrivo e cosa sento”), perché non vuole “celebrazioni né comitati di memoria/ l’ultima delle mie intenzioni/è di passare alla storia”, ma vuole essere ricordato quando era in un angolo “come un pugile suonato”, quando pensava di avere “un’armatura da gigante” e dentro era solo “un piccolo guerriero”, quando viveva senza una direzione, commetteva “sbagli senza scuse”, ma vuole invece essere ricordato per i biglietti d’amore, le manie e le indecifrabili ironie, “quando mi hai tenuto/appeso al mondo con un dito”. Vecchioni scrive, recitandola con perizia d’attore, una grande elegia sulla sofferenza umana (Ho conosciuto il dolore), con l’amarezza ma anche la forza di chi l’ha conosciuta, l’ha vista in faccia, infine ha sconfitto il dolore “a colpi di canzoni e parole/per farlo tremare e impallidire/per farlo tornare nell’angolo” e farlo saltare fuori dal ring. Ha visto il dolore nei figli malati, nel tumore che l’ha colpito, nelle ragazze perdute sulla strada, nei sogni strozzati dall’indifferenza del mondo, nella fame e nella povertà, quando si sentiva il bisogno di un “Dio che non c’era e giurava di esserci”. “Ho conosciuto il dolore – dice Vecchioni – e ho avuto pietà di lui,/della sua solitudine,/delle sue dita di ragno,/di essere condannato al suo mestiere,/condannato al suo dolore”, l’ha guardato negli occhi in una notte d’inverno e gli ha detto “in mezzo alle stelle invisibili/e spente/io sono un uomo/e tu sei un cazzo di niente”.
Non poteva mancare in questo contesto una profonda riflessione sulla fine dell’esistenza, sull’addio al mondo che il cantautore fa in Il miracolo segreto, una canzone ispirata a un racconto tratto dalle Finzioni J. L. Borges, nella quale chiede alla morte solo il tempo per finire di riempire la memoria con tutti i dettagli raccolti in “settant’anni di cammino”, per poter ritornare indietro “per ritrovare le cose che lo lasciato chissà dove”, per compiere l’ultimo miracolo di scrivere “la più bella canzone/ che ti nasce dal silenzio”. Ancora una meditazione sulla morte in Così si va, sapendo che bisogna  prepararsi a chiudere gli occhi “in un incanto/nel tempo come eternità…driblando Dio/ con una finta,/con un esame di coscienza”, baciando le proprie figlie e le persone amate prima “di questo solitario viaggio/di paura e di coraggio” con la consapevolezza che alla fine resta l’amore, perché “ci si innamora dell’amore/e non si torna indietro mai…ci si innamora dell’amore/che è stato tutto e niente sai/la sola scusa di vivere che hai”.
Il cd si chiude con la ballata-invettiva Io non appartengo più scagliata contro il nostro tempo che sembra “una nave senza rotta/già segnata dal destino”, contro i borghesi e gli “inciuciai”, contro il “delirio digitale, il pensiero orizzontale, la democrazia totale”, contro la stupidità di uomini che “corrono ad oriente/e non c’è stella cometa,/e moltiplicano il niente/per chiamarlo ancora vita”, contro “un tempo/che non mi ha insegnato niente,/tranne che puoi essere uomo/ma non diventare gente”, affermando di essere fuori moda ma che il suo non è nichilismo, perché rimane intatta la sua fede nell’umanesimo.

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