“Andrea Chènier” al Teatro Pergolesi


Alberto Pellegrino

22 Ott 2004 - Commenti classica

Andrea Chènier, il capolavoro di Umberto Giordano, mancava da diversi anni dai palcoscenici regionali, per cui l'inserimento dell'opera nel cartellone 2004 del Teatro Pergolesi ha certamente suscitato l'interesse degli appassionati marchigiani di lirica. Infatti il lavoro di Giordano è considerato un monumento del melodramma dal momento in cui trionfa al Teatro della Scala il 28 marzo 1896. Fino ad allora Giordano non aveva avuto molto successo, ma egli ha la fortuna di trovare in Luigi Illica un autore capace di scrivere per lui un libretto molto ben strutturato sotto il profilo drammaturgico e caratterizzato da passaggi di chiaro lirismo. Il compositore sceglie la strada del verismo che in quel momento storico sembra obbligata, anche se è difficile (dopo Cavalleria e Pagliacci) pensare ad un'ambientazione che si allontana dal “contemporaneo” e dagli strati sociali più poveri per spostarsi in ambienti aristocratici e intellettuali. Rimane rispetto alle opere citate il finale cruento, ma siamo lontani dall'uso del “coltello plebeo”, poichè la ghigliottina rappresenta un topos di morte eroica segnato da una forte connotazione ideologica. Siamo di fronte quindi ad una verismo “dissimulato” (Giordano sarà più legato al verismo in costume con la Madame Sans-Gene del 1915 e con La cena delle beffe del 1924), in cui l'autore segue il modello settecentesco della Manon pucciniana, dove la descrizione ambientale è collocata nel secondo atto, mentre Giordano descrive l'ambiente aristocratico nel primo quadro (collocato nel 1789) con gavotte, minuetti e le reminiscenze arcadiche del coro “Pastorelle, addio!”, per affrontare poi nei tre quadri successivi il clima storico della Rivoluzione arrivata al bivio fatale del 1794. L'opera ruota intorno al personaggio affascinante di Andrea Chènier, che l'immaginario collettivo vuole giovane e bello e che Illica presenta nelle sue tre “arie” come un poeta preromantico. Nella realtà egli è stato, al contrario, l'ultimo dei grandi poeti neoclassici francesi ed è stato anche un autore politicamente impegnato sul fronte girondino, quindi moderato, con un'intensa attività di polemista satirico, della quale nell'opera si fa appena un cenno nell'arringa difensiva (“Sì, fui letterato, ho fatto di mia penna arma feroce contro gli ipocriti”). Andrea Chènier viene giustiziato il 7 termidoro 1794, appena due giorni prima della caduta di Robespierre, del quale era diventato avversario tanto che il grande rivoluzionario scrive a Gèrard in risposta alla domanda di grazia: “Anche Platone bandiva i poeti dalla sua Repubblica”. Al di là dello sfondo politico, il melodramma rimane uno storia d'amore triangolare che vede come “oggetto del desiderio” la giovane Maddalena pronta alla fine a sacrificare la propria vita come prova suprema d'amore verso il poeta “della Rivoluzione figlio”. Lo scontro amoroso vede coinvolti il protagonista Chènier e l'antagonista Gèrard, più nobile e generoso di ogni altro “cattivo” dell'opera, perchè in nome dei propri ideali rivoluzionari non accetta l'idea che Rivoluzione possa divorare i propri figli e trova la forza di scagliarsi contro la giustizia rivoluzionaria (“La tua Giustizia ha nome Tirannia! Qui è un'orgia di odi e di vendette”, “E' là la patria ; ove si muore con la spada in pugno! Non qui dove le uccidi i suoi poeti”).
Purtroppo la messa in scena jesina ha risentito di una regia di vecchio stampo, male assecondata dalla mancanza di un preciso progetto-luci e da una scenografia fissa di enormi dimensioni, che ha influito negativamente sul movimenti degli interpreti e delle masse corali senza creare particolari suggestioni, fatta eccezione per il quarto quadro quando la scena (finalmente spoglia di orpelli) assume i connotati della drammatica “nudità ” di un carcere. Eleganti invece i costumi dei protagonisti, a cui non ha sempre corrisposto un'altrettanta qualità degli abiti dei figuranti. Per quanto riguarda gli interpreti, un sincero apprezzamento va al soprano Maria Pia Ionata che, dopo qualche incertezza iniziale, ha saputo disegnare in tutta la sua drammatica passionalità e generosità il personaggio di Maddalena di Coigny; al suo fianco il baritono Genaro Sulvarà n ha dato potenza vocale e intensità interpretativa a Carlo Gèrard con qualche standardizzazione gestuale di troppo da attribuirsi probabilmente alla regia; il tenore Ignacio Encinas ha preferito affrontare il ruolo di Andrea Chènier affidandosi alla potenza della sua voce a scapito tuttavia dell'intensità interpretativa richiesta dallo spessore poetico del personaggio. Di notevole suggestione è risultato comunque il duetto finale (“Vicino a te s'acqueta l'irrequieta anima mia” – “Per non lasciarti son qui; non è un addio!”.

(Alberto Pellegrino)


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