Al Regio di Torino una favolosa “Donna serpente” di Casella
di Andrea Zepponi
2 Mag 2016 - Commenti classica, Musica classica
Torino. Un’opera favolosa sotto tutti gli aspetti, La donna serpente di Alfredo Casella (1883-1947), cui ho assistito nella sua ultima recita – la quinta con due generali aperte – al Regio di Torino il 24 aprile scorso. L’edizione di quest’opera si iscrive nel più vasto ambito del revival caselliano organizzato dal direttore artistico Gastón Fournier-Facio che ha infatti creato un inedito Festival Casella con le maggiori istituzioni musicali e culturali cittadine attorno al mondo musicale di questo compositore italiano del 900 dal respiro internazionale. L’esecuzione ha riscosso un pieno successo perché la sala del Regio era gremita da un pubblico attento e incuriosito che ha espresso i suoi consensi anche a scena aperta. Unico titolo operistico di Casella, di cui è ben più noto il divertimento Scarlattiana ispirato dalle musiche di D. Scarlatti, La donna serpente si colloca pienamente in quella fase di rinnovamento dell’operismo italiano dopo l’esperienza verista, quella liberty-deco di Puccini, il teatro wagneriano e straussiano, in un’epoca in cui era all’avanguardia l’impressionismo di Debussy. Di fronte a questo panorama della musica europea, Casella, esponente della cosiddetta generazione dell’80 e quasi cinquantenne, decise di rinnovare la scrittura operistica in modo personale, allontanando il suo stile da eccessive connotazioni, rendendo tuttavia il proprio linguaggio novecentesco ed internazionale sotto tutti gli aspetti. Poi il musicista sceglie un argomento fiabesco, elemento che non era mai entrato programmaticamente nell’opera italiana (espunto persino nella pucciniana Turandot dove non è presente alcuna forza magica mirabolante) ed invece accolto nella trama de La donna serpente dal dramma omonimo del veneziano Carlo Gozzi (1720 –1806) da cui il librettista Cesare Vico Lodovici ha ricavato un libretto fedelissimo al testo originario. Frutto di tre lunghi anni di lavoro, intervallati da una fitta attività concertistica in giro per il mondo, La donna serpente debutta in prima assoluta all’Opera di Roma nel 1932. Poche furono invero le riprese: a Mannheim (1934), all’allora Eiar (1941), alla Scala (1942), alla Rai (1967), a Palermo (1982) e, infine oggi, la coproduzione del Festival della Valle d’Itria di Martina Franca e del Regio con il nuovo allestimento firmato da Arturo Cirillo. La trama riprende il tipico percorso iniziatico dei personaggi (vedi lo Zauberflote mozartiano), al termine del quale la fata Miranda riceverà in premio il dono di un’esistenza mortale a fianco dell’amato Altidòr, re di Téfis e dei loro figlioletti dopo aver subito una trasformazione in serpente. I tre atti e il prologo rispettano le forme tipiche dell’opera con arie, duetti, numeri d’insieme. L’andamento della trama è apparentemente lineare, ma in realtà è fitto di rimandi e di continue trasposizioni temporali e spaziali con un linguaggio librettistico arcaizzante ed effuso di elementi stranianti e mescidati. In ambito musicologico l’opera ha avuto una sua definitiva sistemazione grazie agli apporti critici di D’Amico, M. Mila, G. Gavazzeni, M. Castelnuovo Tedesco, L. Colacicchi e G. Confalonieri che hanno delineato la particolare posizione de La donna serpente nel panorama musicale italiano ed europeo. La lontananza dei suoi personaggi fiabeschi dal mondo contemporaneo e dallo spettatore, evitando ogni immedesimazione, mette in primo piano i valori musicali con i quali il neoclassicismo caselliano rimanda alle radici italiane dell’opera (da Monteverdi a Puccini come i due estremi di una parabola operistica durata ben quattro secoli), ma poi va oltre, fino a Rimskij – Korsakov ed a Stravinskij. Fondamentale e protagonistico quindi il ruolo dell’orchestra anche nei vasti momenti di danza la cui posizione centrale nell’opera contribuisce a collocarla in pieno ‘900 e a far parlare addirittura alcuni di “melodramma sotto le spoglie di balletto”. A questo riguardo bisogna dire che in questa edizione dell’opera il carattere coreografico della partitura è stato correttamente sottolineato dalle smaglianti e ricercate coreografie di Riccardo Olivier che hanno animato i numerosi passi sinfonici; meravigliosa, a questo riguardo, la performance della danzatrice che ha rappresentato in modo mirabile la donna serpente nel lungo e icastico prologo strumentale del terz’atto. La messinscena, già collaudata al festival di Martina Franca, anche sul palcoscenico del Regio ha funzionato alla perfezione: i costumi dai colori vivaci di Gianluca Falaschi che evocavano un decorativismo futurista nelle forme e nei colori, soprattutto le maschere Albrigor – Tartagil – Pantul con costumi decorati all’aerografo secondo un design anni ‘30-’40, splendido anche il costume iridescente da serpente piumato di Miranda, e sono stati ben evidenziati dalle luci di Giuseppe Calabrò. La scenografia era costituita da quattro enormi strutture concave, che mutavano disposizione nelle singole scene ed erano praticabili per danzatori e cantanti, seguendo una sensibilità, quella dello scenografo, Dario Gessati, volta a creare un’atmosfera essenziale, varia ed efficace nel narrare la magica vicenda. Anche la regia di Arturo Cirillo, ha assecondato pienamente la dimensione fiabesca con le suggestive movenze dei personaggi più rappresentativi: in particolare Armilla, sorella di Altidòr, e con le masse corali ben mosse da un certo impeto fluviale. Il tutto accompagnato ed esaltato dalla trascendente direzione orchestrale del M° Gianandrea Noseda alla testa di una superlativa Orchestra del Regio. Il maestro, da sempre impegnato nel promuovere la musica italiana del Novecento e in particolare quella di Casella, ha restituito appieno la potenza melodica e ritmica di una partitura a dir poco complessa la cui concertazione era particolarmente curata nelle nuances di imitazione cameristica e polifonica. Gran parte del merito del successo dell’esecuzione va alla presenza vocale e scenica del soprano Carmela Remigio nel title-rôle: perfettamente calata nella parte, ha dato una lettura magistrale di Miranda, personaggio dalla tessitura estesa e impegnativo per l’importanza data alla parola soprattutto nei brani che hanno ascendenza monteverdiana: nel lungo e arduo monologo Vaghe stelle dell’Orsa maggiore, intonato a cappella, in responsione con un coro fuori scena e soprattutto in posizione distesa quando la metamorfosi della protagonista in serpente è già avvenuta, la Remigio ha dimostrato sovrana padronanza dei mezzi vocali affinati dalla sua assidua frequentazione del belcanto e del recitar cantando. Il cast era comunque eccellente, fornito di comprimari di alto livello (da cui anche si riscontra la particolare eccellenza di un’esecuzione): il tenore Piero Pretti ha centrato il carattere effusivo del ruolo di re Altidòr con una vocalità ampia e generosa, è stato costantemente un ottimo partner vocale e scenico per la Remigio-Miranda; il soprano Erika Grimaldi in Armilla, la sorella guerriera di Altidòr, ha spiccato un colore brillante e una recitazione sorprendentemente in linea con la dimensione fiabesca, tanto da apparire quasi cantante-danzatrice. La presenza dell’elemento comico, che contamina la vicenda drammatica ed è di derivazione gozziana, era rappresentato dalle tre maschere (residuo della commedia dell’arte) sapidamente interpretate dal tenore Fabrizio Paesano (Tartagìl), dal baritono Marco Filippo Romano (Albrigòr) e dal baritono Roberto De Candia (Pantùl), tutti ottimi vocalisti e ben coordinati scenicamente; indi il baritono Francesco Marsiglia (Alditrùf), anche lui ben allineato sul versante comico. Speciale menzione va fatta per il basso Fabrizio Beggi (Tògrul) che ha messo in campo una vocalità piena e un timbro notevole. Il baritono Sebastian Catana nella parte di Demogorgòn, re delle fate, ha cercato di dare autorevolezza vocale e scenica ad un personaggio che richiede una notevole presenza. Precisione e pertinenza hanno caratterizzato tutto il resto del cast costituito dal soprano Francesca Sassu (Farzana e Corifea) dalla vocalità un po’ umbratile ma dal gesto carismatico, il soprano Kate Fruchterman (fata Smeraldina), il baritono Donato Di Gioia (Badùr e Corifeo), il baritono Emilio Marcucci (Primo messo e Voce del mago Geonca), il tenore Alejandro Escobar (Secondo messo), il mezzosoprano Roberta Garelli (seconda fatina), baritono Giuseppe Capoferri (una voce interna) fra cui spiccano in particolare per doti e colore vocali il mezzosoprano Anna Maria Chiuri (Canzade) e il soprano Eugenia Braynova (prima fatina). Il Coro del Teatro Regio era splendidamente diretto dal M° Claudio Fenoglio. Di fronte alla qualità e al livello di questa edizione de La donna serpente di Casella, che rimarrà a mio giudizio difficilmente superabile per le sue riprese future e sarà comunque un modello imprescindibile, il pubblico ha risposto con grande entusiasmo e grande stima per Noseda e per tutti i componenti del cast.