Ado Brandimarte al Navitas CoWorking


di Flavia Orsati

15 Giu 2023 - Arti Visive

“Tutto ciò che non appare, è”: la nuova personale di Ado Brandimarte presso gli spazi del Navitas CoWorking di Civitanova Marche.

(Fotografie di Anastasiya Berestovska)

Fa che la tua vita
sia nel ritrarsi
attento dell’esistenza;
questo puoi farlo.
Ripetere il tempo
di ogni cosa
senza mostrarlo.
A. Santori, Infinita.

Sabato 10 giugno, presso gli spazi del Navitas CoWorking di Civitanova Marche, lo scultore ascolano Ado Brandimarte ha inaugurato una personale con una selezione di opere, visitabile fino al prossimo 25 giugno, a cura di Benedetta Monti e sotto la direzione artistica dell’architetto Nicoletta Centioni.

Lo spazio espositivo, che si trova nella zona industriale della cittadina marittima marchigiana, ben si presta ad eviscerare un focus che si pone tra i motivi fondanti alla base della mostra stessa: il parallelismo tra la realizzazione artigianale e la fascinazione per la modernità e i processi produttivi industriali.

Fra le arti, la scultura è forse quella che più delle altre, per lo meno nell’immaginario comune, rimanda alla classicità e alla fisicità del processo artistico. Tutta la scultura è, in effetti, impregnata di una sorta di magia creatrice dal sapore demiurgico: oggi ci si sta, pian piano e con l’ausilio delle nuove e sempre maggiormente imperanti tecnologie, distaccando dalla sacralità della ritualità artigianale tradizionale, prestando attenzione al prodotto finito piuttosto che alla produzione e alle tecniche che lo hanno forgiato. Prendendo le mosse da tali considerazioni, la poetica dello scultore ascolano si propone proprio di sovvertire questo rovesciamento, riportando l’arte alle radici, e di evidenziare le antinomie del nostro tempo, palesando ciò che dovrebbe essere nascosto, ovvero le fasi della creazione, mentali e fisiche, che conducono al “prodotto” finito.

Sebbene, ad una prima analisi, lo scopo di Ado sembrerebbe essere meramente quello di mostrare le varie fasi del processo creatore, in realtà il suo sguardo, consciamente o meno, è inverso: egli si propone invece di tenere insieme tali fasi tramite il loro attraversamento, creando unità a partire da una disaggregazione che, si badi, non è una disgregazione. Come tutte le parti di un corpo, in effetti, rubando una similitudine ad un conosciutissimo apologo latino, inscindibili e comunicanti ma, contemporaneamente, autonome, servono a fondare una unità funzionante, lo stesso avviene con le sculture. La sospensione sta, al contrario, nella non affermazione dell’unità ma che non coincide affatto, al di là della logica occidentale aristotelica, nella sua negazione.

Le tre direttrici che segnano la ricerca dell’artista in mostra sono tre: l’analisi del processo produttivo, la de-composizione strutturale di parti di corpi e, infine, come legante supremo delle prime due istanze, il tempo. Nelle opere, infatti, si vanno a condensare residui psichici della volontà fautrice del processo creatore, in un immaginario che è sia infracorporale sia infratemporale e che, proprio in virtù del tempo, restituisce la conoscenza del valore che c’è dietro l’opera d’arte conclusa, a livello quantitativo e, soprattutto, qualitativo. Mentre i primi due campi attengono a quello della gnoseologia, è proprio con l’introduzione del flusso temporale che si può passare ad un dominio più profondo, proprio di ogni esperienza estetica vissuta in maniera viscerale che oltrepassa se stessa, quello dell’ontologia. Tale processo conoscitivo e analitico palesa una realtà segreta insita in ogni opera, intuibile solo cerebralmente: le forme di Ado si fanno spazio, perciò si inscrivono nel tempo, contemplando il loro prosieguo, esprimendo la loro concreta adesione al flusso dell’essere e al tempo della materia. In una suggestione intuitiva e psicologica più che artistica, astrarre il processo scultoreo di un’opera d’arte ancora, potenzialmente, in fieri, equivale a sublimarla nel sottile al rango dell’assoluto, liberandola dai limiti definitivi di una forma canonicamente conchiusa e conclusa. Ed è così che i negativi dei calchi in gesso e le giunture atte a tenere insieme i “pezzi” analizzano il meccanismo che, in scultura, ricompone il caos e crea l’unicità dell’opera indivisibile: si parlava prima di un’operazione intellettuale e prettamente gnoseologica perché, in effetti, “la scultura non è che un involucro che esclude il soggetto perché ne è la forma, cioè lo spirito del soggetto. La forma non è che il caos che si compone volta per volta come un grembo materno” scrive quello che, probabilmente, è stato il più grande scultore dello scorso secolo, Arturo Martini.

Esponendo come opere a sé stanti momenti di scultura e geografie corporee, esplorando e attraversando le due categorie a priori kantiane dell’intelletto umano, l’artista ricrea una statuaria non più imprigionata e rinchiusa in una forma, ma libera, fluida e, conoscitivamente, illimitata, proprio perché sganciata dal servilismo meccanicistico. Allora, in questo senso, tutto ciò che non appare, è: non si tratta affatto di rinunciare all’immagine o alla tradizione, ma, forti di esse, imprimere, ai pigri tempi moderni, uno sforzo o, se si preferisce, un momento intellettivo che passa, necessariamente, attraverso l’atomizzazione, spaziale e temporale, e attraverso l’inversione causale. Se tempo e spazio sono espressioni di un principio di individuazione, che fa sì che gli enti siano singoli e, al contempo, partecipi di una natura universale, sarà proprio la causalità ad attenere all’essere, ad essere disvelata nelle opere presenti in mostra, come movimento dialettico che dà essenza alla materia.

Proprio così, allora, la realtà esiste per come la intende Schopenhauer, solo come nascosta, al di là della rappresentazione, nell’attesa di un qualcosa che resta sospeso, relegato all’ambito dell’ideale e alla potenzialità della sua espressione, di cui si possono, tuttavia, ritrovare corrispondenze analogiche nel sottile. Il livello conoscitivo del reale, dunque, grazie alle opere dello scultore si fa più profondo, scavando fino al principio costitutivo ed essenziale delle cose, a quello che potrebbe essere individuato come, parafrasando René Guénon, il lato qualitativo della manifestazione.

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