A Pesaro con la “La Gazzetta” ritorna a splendere il ROF di sempre


di Andrea Zepponi

14 Ago 2022 - Commenti classica

La seconda opera al Rossini Opera Festival 2022, La gazzetta, è stata riallestita con la produzione del 2015. Brillante messa in scena e una compagnia di canto al top. Si è respirata l’atmosfera esclusiva ed entusiastica del ROF di sempre.

(Ph Amati Bacciardi)

Con La gazzetta, il 10 agosto, è andato in scena il secondo momento della trilogia operistica rossiniana proposta dal ROF edizione 2022; l’opera, gustosissima quanto altre, se non in maggior misura, del genio pesarese, oggi si è arricchita dello straordinario quintetto Già nel capo un giramento che mancava dalle edizioni critiche allestite dal Rossini Opera Festival nel 2001 – 2005 e, ritrovato inaspettatamente a Palermo solo nel 2011, è indispensabile non solo ai fini della completezza drammatica dell’opera ma anche per appassionati e studiosi onde esprimere un giudizio aggiornato. La ricerca e i ritrovamenti di ulteriori brani rossiniani ancora sconosciuti sono comunque tuttora in corso.

Seppure la Gazzetta non abbia mai avuto la fortuna di opere più ardite e originali come la Pietra del paragone e Il turco in Italia, delle quali presenta vari autoimprestiti, l’interesse del pubblico interesse oggi consiste in gran misura nel sentir citare e anticipare capolavori passati e futuri della produzione rossiniana collocati in esilaranti situazioni che rendono ancor più intrigante il confronto con la loro ricorrenza in altre opere più note. Si dovrebbe tuttavia assumere con cautela il fatto che il compositore abbia meccanicamente fatto uso di auto imprestiti: anche Haendel – si sa – molto prima di Rossini, non esitava a usare pezzi già composti se riteneva che potessero avere una risonanza più vasta e comunque li arricchiva con nuovi materiali; il Nostro, da parte sua, non prende quasi mai in prestito un passaggio di sue opere precedenti senza ripensare la sua funzione in un nuovo contesto musicale drammatico in termini di tonalità e orchestrazione.

Il soggetto si basa su una commedia di Carlo Goldoni, scritta nel 1763, durante il suo soggiorno parigino, intitolata Il matrimonio per concorso e rappresentata per la prima volta nell’autunno del 1763 al teatro San Luca di Venezia. L’opera del compositore ventiquattrenne, ebbe la sua prima al Teatro de’ Fiorentini nel 1816 e presenta invenzioni musicali raffinate con accattivanti atmosfere, anche se la lunghezza dei recitativi (nessuno però scritto da Rossini) è dovuta in gran parte al plafond che si doveva fornire al cantante attore nel ruolo di Don Pomponio in dialetto napoletano e lo snodo dialogico risulta pertanto intelligente e gustoso, mai triviale e anzi perfetto per delineare ruoli brillanti, in special modo quello appunto del basso buffo che risulta ben diverso dalla stereotipata macchietta di altre opere. Insomma l’opera presenta una tale accuratezza che conferma la speciale attenzione del compositore per essa il cui gusto della sfumatura e il pieno controllo della struttura melodrammatica paiono essere ormai acquisiti in pieno. Come suddetto, diversi temi e arie provengono dal Turco in Italia e dalla Pietra del paragone ma anche da Torvaldo e Dorliska, da L’equivoco stravagante e da La cambiale di matrimonio. La sinfonia è quella che Rossini userà l’anno successivo per La Cenerentola. L’analisi dei singoli numeri dimostra inequivocabilmente l’interesse dell’autore per questa, che si può definire una “buffa opera”, acquisita ormai dal palcoscenico odierno nel repertorio e che oggi, finalmente completa, aspetta la definitiva consacrazione.

Chiarezza, eleganza e coerenza coronavano la regia di Marco Carniti e le scene di  Manuela Gasperoni che hanno riportato il ROF al Teatro Rossini, come nella produzione dell’opera del 2015, ai mitici antichi splendori con il riflesso intelligente e intrigante nei costumi di Maria Filippi e delle luci tecnologicamente maliarde di Fabio Rossi. Grazia, bellezza, civetteria, comicità brillante e coinvolgente, freschezza di soluzioni sceniche, regnavano ovunque per i due atti di certa innegabile prolissità, ambientati, negli anni ‘50 del ‘900, cronotopo ormai ineludibile per le attuali regie, a Parigi perché quelli – si legge nelle note di Carniti – « erano gli anni delle grandi novità culturali e Parigi era considerata la New York di oggi”; la novità consisterebbe nel fatto che un padre mette un’inserzione sul giornale per trovare marito alla bella e giovane figlia: uno scandalo e una modernità assoluta che nei fatidici anni ’50 sarebbero potuti ancora avvenire. E anche per questo la regia ha scelto “un’atmosfera poetica rarefatta volutamente leggera, a volte surreale”. Tutto ruotava intorno al banco mobile e multiforme della reception di un hotel, funzionale allo spazio scenico con divisioni e moltiplicazioni di esso dato che lo stesso banco si trasformava in passerella di moda, indi, opportunamente diviso, in postazioni elevate per i singoli personaggi e divisori individuanti spazi e ambienti diversi. Davvero surreali, alla Magritte, erano le nuvole che sovrastavano le scene finali. Di tutta piacevolezza e proprietà le comparse e figuranti impiegati.

A questa brillante messa in scena corrispondeva una compagnia di canto al top della maturità scenica e vocale: il Don Pomponio Storione di Carlo Lepore, attore cantante strepitoso, cui non si sa se attribuire maggiore grandezza all’uno o all’altro, ha concentrato come sempre l’attenzione di tutti su di sé e la sua vena fluviale di voce e di comunicativa scenica fin dalla prima apparizione: Co sta grazia e sta portata; la Lisetta del soprano Maria Grazia Schiavo ha reso il personaggio qualcosa di più della ragazza costretta a un matrimonio che non vuole, tipo comune di tante farse rossiniane, e ne ha fatto un personaggio volitivo e spiritoso che crede più nella propria iniziativa che alle convenzioni e agli obblighi socioculturali. Con una vocalità raggiante di colorature stagliate in ottima proiezione ha irradiato il pubblico fin dalla prima apparizione nell’aria Presto dico; non meno brillante il mezzosoprano acuto Martoniana Antonie in Doralice; notevole il mezzosoprano Andrea Niño in Madama La Rose con i suoi exploit nella caratterizzazione parigina dell’opera, e, per venire alla parte maschile, bisogna notare la straordinaria tecnica di emissione e di agilità nei sillabati del baritono Giorgio Caoduro in Filippo, la qualità elevata dal punto di vista scenico e vocale del basso Alejandro Baliñas nel ruolo di Anselmo,  quella diPablo Gàlvez, baritono in Monsù Traversen e infine la vivacità attoriale di Ernesto Lama nella partedi Tommasino, perfetta e geniale maschera della napoletanità. Una sorpresa particolare e speciale è stata quella di ascoltare Pietro Adaini nel ruolo di Alberto che, da tenore rossiniano, pur non esteso nella zona più grave, ha esibito una emissione filologica nel registro acutissimo e sovracuto corredata da bel fraseggio e bel portamento scenico.

A qualificare ulteriormente l’esecuzione erano la puntuale direzione di Mirca Rosciani, Maestro del Coro del Coro del Teatro della Fortuna di Fano e la frizzante tenuta dei tempi del Direttore M° Carlo Rizzi che ha fatto emergere delle sonorità timbriche inaudite negli autoimprestiti dall’Orchestra Sinfonica G. ROSSINI.  Alla fine forti e caldi applausi per tutti in una serata dove si è respirata l’atmosfera esclusiva ed entusiastica del ROF di sempre.

Teatro Rossini
10, 13, 15 e 18 agosto, ore 20.00
Dramma per musica di Giuseppe Palomba
Direttore CARLO RIZZI
Regia MARCO CARNITI
Scene MANUELA GASPERONI 
Costumi MARIA FILIPPI 
Luci FABIO ROSSI

Interpreti
Don Pomponio Storione CARLO LEPORE
Lisetta MARIA GRAZIA SCHIAVO
Filippo GIORGIO CAODURO
Doralice MARTINIANA ANTONIE
Anselmo ALEJANDRO BALIÑAS
Alberto PIETRO ADAÍNI
Madama La Rose ANDREA NIÑO
Monsù Traversen PABLO GÁLVEZ

CORO DEL TEATRO DELLA FORTUNA
Maestro del Coro MIRCA ROSCIANI
ORCHESTRA SINFONICA G. ROSSINI 
Produzione 2015, riallestimento
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One response

  1. Marco carniti ha detto:

    Grazie mille bellissima marco carniti

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