A Parma il convegno su Toscanini e Furtwängler qualifica il Festival Toscanini 2021
di Andrea Zepponi
16 Giu 2021 - Commenti classica
Importante convegno a Parma, nel contesto del Festival Toscanini. Toscanini e Furtwängler: due culture a confronto il titolo di quella che è stata una giornata densa di riflessioni anche sul ruolo e l’evoluzione di una figura centrale nell’interpretazione musicale. Coordinato da Simone Di Crescenzo, ha visto gli interventi di Alberto Triola, Martin Fischer-Dieskau, Paolo Russo, Carlo Augusto Lo Presti, Cesare Fertoniani, Maurizio Giani e Antonio Rostagno.
Il convegno internazionale di studi organizzato dalla Fondazione Toscanini di Parma dal titolo Toscanini e Furtwängler: due culture a confronto tenuto il 14 giugno 2021 dalle ore 9.30, presso l’Aula Magna della Università parmense è stato un momento centrale di incontro per la ripresa dei lavori del Festival Toscanini a Parma, dopo la pausa pandemica, le cui attività sono già in corso con inesorabile scansione di concerti e incontri dal 7 fino al 21 giugno dove “ogni appuntamento concertistico sarà preceduto da un preludio registrato e diffuso online: un incontro tra studiosi, artisti e musicologi, che accompagna il pubblico alla scoperta delle possibili liaisons tra musica e arte (o arti)” secondo l’approccio programmatico multidisciplinare delineato dal Sovrintendente e Direttore Artistico de La Toscanini, M° Alberto Triola che ha dato il via alFestival Toscanini, edizione Zero, dopo i suoi saluti istituzionali di prolusione al convegno. La successione di momenti di riflessione musicologica degli studiosi di fama internazionale sulla figura odierna del direttore considerata attraverso il confronto con i due enormi profili direttoriali del passato si configura come necessario e doveroso dibattito di opinioni diverse suffragate da approfondimento e ricerca. Diretti dal brillante coordinamento scientifico del M° Simone Di Crescenzo della Università “Sapienza” di Roma i lavori congressuali sono entrati subito in medias res con un tema che sembra centrale e attualissimo, quello esposto dal Direttore d’orchestra M° Martin Fischer-Dieskau dal titolo“Due culture in congruenza. Né Toscanini né Furtwängler volevano in principio diventare direttori. Come confrontarsi oggi con questa eredità”. Il musicologo tedesco, disquisendo sulla evoluzione del direttore d’orchestra, ha toccato un tema scottante nell’attualità del panorama internazionale della direzione d’orchestra di cui paventa il presunto declino in quanto coloro che dovrebbero essere gli eredi di figure ritenute eccelse, come Toscanini e Furtwängler, non sono più sottoposti alla doverosa expertise concernente le loro competenze di formazione che non può essere sottovalutata o tenuta fuori dal discorso specialistico. Tale denuncia proviene dalla conoscenza storicamente documentata di come si formava la figura del direttore tra ‘800 e ‘900 invariabilmente sullo studio strumentale e sulla composizione e non va dimenticato che nel XVIII secolo un musicista sceglieva di diventare direttore solo alla fine della propria carriera di compositore. Toscanini stesso componeva. Un maestro concertatore poteva passare a fare il direttore solo quando la sua autorità era riconosciuta dai colleghi. Oggi dovrebbe essere la stessa cosa. Innumerevoli osservazioni sulla pratica direttoriale toscaniniana e furtwängleriana illuminano la situazione di oggi indicando la strada per la riqualificazione della immagine del direttore d’orchestra: per esempio Toscanini inizialmente dirigeva da seduto come il M° Franco Faccio, che lo diresse quando era violoncellista, senza la ben nota componente “scenografica” cui oggi siamo abituati. Anche Furtwängler era un eccellente pianista, componeva e viveva il suo lavoro di direttore come un onere tanto gravoso da fargli confessare nel 1954 di voler smettere di dirigere. Oggi si guarda spesso al posto di direttore come a qualcosa di verticistico, complice certo esibizionismo spettacolare e finanche carismatico, mentre al tempo di Furtwängler il mestiere veniva considerato alquanto riduttivo, tanto che il padre archeologo gli rinfacciava di non dedicarsi a qualcosa di più sostanzioso. Le allarmanti osservazioni di Martin Fischer-Dieskaugettano luce sulla efficacia odierna del direttore dovuta soprattutto alla qualità della orchestra. Anche il pubblico ha la sua parte in ciò, con il suo grado di cultura e le sue attese che talvolta esulano dalla musica vera e propria. Oggi il monopolio della direzione orchestrale è nelle mani di due o tre agenzie mondiali che credono di disporre dei migliori artisti, ma in realtà si cominciano a notare gli effetti del declino delle prestazioni dei direttori che, a differenza degli orchestrali, i quali subiscono competizioni durissime tra di loro, sono spesso cooptati non sulla base di effettive competenze strumentali e compositive, ma per lo più su di una gestualità convincente che piace al pubblico, mentre invece un direttore veramente degno di questo nome, come lo furono i due grandi onorati nel convegno, dovrebbe essere un alacre operaio della musica. Si assiste attualmente al fenomeno di ulteriore dematerializzazione della funzione direttoriale che non proviene più dalla pratica strumentistica e purtroppo si avvale di una preparazione ridotta. Eccezioni del passato di compositori-direttori che confermano la regola sono quella di Berlioz che non suonava il piano, ma irrorava di sonorità strumentali le sue opere dirigendole, e quella di Kleiber, grandissimo dal podio, che tuttavia suonava assai male il pianoforte. Oggi basta che il nome di un direttore sia bene accreditato che al pubblico va benissimo. Nessuno vuole negare che nella gestualità di chi dirige si celi qualcosa di più di una semplice pantomima, ma i corsi di perfezionamento della direzione di orchestra oggi non sono all’altezza di ciò che dovrebbe costituire il magistero di un re della bacchetta. Fino a che dirigere non divenisse una professione strapagata era necessario saper comporre e avere una buona fama tra i propri pari. Troppi hanno creduto e credono di poter approfittare dell’alta reputazione di questa professione. Anche Franco Ferrara si espresse severamente a riguardo; l’odierno carrierismo dei giovani sarebbe plausibile solo se essi si adeguassero a una prassi che dovrebbe tendere al massimo risultato nella esecuzione autentica dell’opera di un autore, mentre oggi si tende a tenere in piedi il mito del raggiungimento della posizione direttoriale anche se il mercato è già saturo di direttori il cui carrierismo dovrebbe essere reso trasparente proprio in vista della origine ibrida di quel mestiere che derivava appunto dalla pratica degli strumenti ad arco, da quella pianistica e soprattutto dalla composizione. Sarebbe quindi proprio su questi requisiti che si dovrebbero vagliare i professionisti per evitare un appiattimento e un fraintendimento della tradizione che invece è fulgida sintesi di forza e volontà.
L’energia dirompente dell’intervento del M° Fischer-Dieskau, circoscritta all’esordio del convegno, è stata temperata dagli interventi più tecnici in senso musicologico di insigni studiosi di chiara fama sul tipo di repertorio affrontato nella propria carriera dai due grandi direttori del passato messi magistralmente a confronto e analizzati con ascolti e proiezioni delle stesse partiture dirette e interpretate; gli interventi sono stati diramati in tempo reale dalla storica Aula Magna della Università di Parma in streaming sul canale Facebook de La Toscanini e sul sito www.latoscanini.it e disponibili in rete, secondo questa successione dopo il succitato primo intervento cui è seguito quello di Paolo Russo dell’Università degli Studi di Parma con “L’incessante ruota di Toscanini”. La direzione del Coriolano”, poi, nella tarda mattinata è stata la volta di Carlo Augusto Lo Presti del Conservatorio di Musica “Arrigo Boito” di Parma, con l’intervento “Toscanini, Ferdinando Paër e le sinfonie d’opera di primo Ottocento: un retaggio della formazione presso la Regia Scuola di Musica?”, indi nel pomeriggio dalle ore 15.00 sono seguite le relazioni di Cesare Fertoniani dell’Università degli Studi di Milano Statale in “Toscanini, Furtwängler e la Sesta Sinfonia di Beethoven”, quella di Maurizio Giani dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna dal titolo “Culture chiuse” del suono? Toscanini, Furtwängler, i Meistersinger” e infine quella di Antonio Rostagno della “Sapienza”- Università di Roma sul tema “Toscanini e Furtwängler davanti all’Otello di Verdi: due culture senza punti di contatto”. Questo prezioso e autorevole esordio di riflessioni ben coordinate sulle ragioni della musica e della cultura, anche al di là delle figure dei suoi protagonisti, Toscanini, rappresentante dello spirito italiano, ben consapevole della cultura musicale tedesca, e l’eclettico Furtwängler, ha dimostrato che il festival toscaniniano può bene “accogliere e accompagnare il visitatore occasionale, il turista e anche il semplice cittadino di Parma alla scoperta di scorci preziosi e poco noti della città e dello spirito di un’epoca che ha sorprendenti analogie con la nostra, con le sue potenzialità, non solo con i suoi evidenti rischi” e che la sovrintendenza e direzione artistica del M° Alberto Triola stanno dando una delle loro prove migliori.