A Montefiore Conca “La traviata” a cielo aperto
di Andrea Zepponi
18 Lug 2024 - Commenti classica
Successo del primo appuntamento del Montefeltro Festival all’Arena Raciti di Montefiore Conca (RN) con “La Traviata” di Verdi. Da elogiare tutti i comparti dell’operazione, a cielo aperto, organizzata dalle associazioni Voci nel Montefeltro e La Musica Lirica USA.
Il canto lirico italiano è diventato patrimonio dell’UNESCO: un evento che riferisce la gloria attuale del belcanto o piuttosto la sua prossima fine? Nella storia ciò che viene protetto da un riconoscimento di tale prestigio ottiene certo una buona salvaguardia, ma proprio perché è in pericolo di estinzione come alcune specie protette dal WWF.
Eppure, assistendo al primo appuntamento del Montefeltro Festival all’Arena Raciti di Montefiore Conca con alle spalle del pubblico la maestosa rocca malatestiana la sera del 13 luglio alle 21, si direbbe, anzi, che il canto lirico è quanto mai amato e visitato dalle nuove generazioni, soprattutto da giovani stranieri, che ambiscono a praticarlo, spendono le loro energie per impararlo e vengono in Italia a ritrovare la terra del bel canto come vuole il mito secolare. Giovani voci accolte da maestri di sicuro spessore ed esperienza attivi in associazioni quali Voci nel Montefeltro, diretta nel settore artistico dal Mº Ubaldo Fabbri e in quello organizzativo da Aldona Grzesiukiewicz, in coproduzione con La Musica Lirica USA che ha per direttore generale e artistico Brigida Bziukiewicz Kulig e la direzione amministrativa di Julie Maurer.
L’aspetto laboratoriale dell’operazione di accoglienza e di istruzione nel canto lirico italiano per giovani stranieri è evidente, ma lo è altrettanto l’ottima riuscita della scuola di canto in cui le lezioni di dizione italiana, di interpretazione lirica e di arte scenica danno il loro frutto. Il banco di prova dell’operazione e della produzione non è solo per musicisti e cantanti ma anche per i tecnici di scena, la regia, la scenografia e la sartoria teatrale.
A Montefiore, La traviata di Verdi ha avuto un allestimento si direbbe di tipo basic, con ambientazione funzionalista negli anni ‘20 del ‘900, credibilissimo perché la vicenda morale dell’opera può essere situata molto bene fino agli anni ‘60 del secolo scorso, prima della cosiddetta rivoluzione sessuale del ‘68, ma il suo pregio maggiore era quello di portare in primo piano le voci grazie alla regia di Travis Sherwood che pure ha rivisitato la tradizione scenica dell’opera usando mezzi molto semplici ed efficaci. I costumi sontuosi e ricercati nella loro uniformità stilistica erano di Audrey Hamilton.
Chi nel mondo lirico di oggi, nell’odierno marasma delle vivisezioni registiche operate sulla viva carne delle opere liriche, non vorrebbe trovare rispetto per le indicazioni didascaliche del libretto per la scena, quelle che ha voluto Verdi per un Rigoletto, con la sua deformità, per un Otello con la sua etnia africana e per un Falstaff con il suo sovrappeso e i favolosi folletti e le fate del quarto atto? Ebbene a Montefiore c’era la Traviata di Verdi con tutti i suoi ingredienti scenici e dinamici: il calice di cristallo infranto del primo atto, lo schiaffo di Germont ad Alfredo nel secondo, le risate dei convitati nel terzo e altri momenti scenici osservati con cura e osservanza del dettato librettistico.
La semplicità essenziale del palcoscenico allestito con le scene di Tom Burch era corroborata dalle luci di sicura valenza tecnica a opera di David Navalinky, dagli schermi su cui scorrevano le parole del testo, dalla discreta amplificazione necessaria per non disperdere i suoni nella vastità immensa della vallata faceva il resto per la soddisfazione e il compiacimento di un pubblico fluviale che ha apprezzato il tutto ritrovando una immagine dell’opera verdiana in tutto consona alla tradizione e aderente alla immagine concettuale della trama.
Si è apprezzata anche l’apertura dei tagli delle cabalette di Alfredo e di Germont nel secondo atto, “O mio rimorso” e “No, non udrai rimproveri”, brani di valenza belcantistica che fungono da sicuro esercizio vocale per i giovani interpreti.
La parte corale è stata ampiamente onorata dal Coro La Musica Lirica, formato da voci curate ed educate all’estetica vocale italiana di cui si apprezzava in particolare la sezione maschile con i suoni vocali “coperti” come si dice in gergo.
Tutti i componenti dello spettacolo andrebbero nominati in quanto hanno partecipato alle lezioni formative di canto lirico e di resa scenica: le Zingarelle erano Mabel Tyler, Charlotte Eirich, Alayna Watkins, Olivia Davis-Eagan e, visto che la scena danzante dei Matadores è stata tagliata, emergeva il profilo scenico moderno di Baristi e Camerieri: Nick Montgomery, Sophia Bogdanovitch ed Henry Courtney.
Doveroso anche nominare gli altri soggetti che hanno collaborato alla messa in scena come paritari ai cantanti nel compito di apprendere dalla prospettiva delle loro varie qualifiche come si fa l’opera lirica: il Mº collaboratore e pianista Mijin Choi, il Mº ai sottotitoli, Luca Fraternali, la Direttrice scenica, Liz Haynes, la Direttrice di sartoria, Annie Wilkinson, le attrezziste, Hannah Gilbert e Alex Woo, le assistenti ai costumi, Sylvie Lefebvre, Kerry Whitton e Hannah Powels, l’assistente alle luci, Morgan Long, gli assistenti alla tecnica Azel Solomon e infine la direttrice dello sviluppo studenti, Julie Maurer.
Balzava inoltre all’orecchio la pregnanza vocale dei giovani interpreti prima fra tutti la protagonista Mariah Shaumberg, appena ventenne e dotata di una vocalità da lirico di coloratura ben proiettata e ben estesa (ha sfoggiato il mi bemolle sovracuto alla fine del primo atto). Il fraseggio era ben scolpito, di una chiarezza molto superiore al livello “scolastico” atteso, ottima la dizione italiana. La presenza scenica ben misurata.
Più nell’ottica di un buon avvio nella formazione del canto lirico le voci e la presenza scenica degli altri interpreti, ben centrati nel contesto del laboratorio didattico come vuol essere il Montefeltro Festival; certo tutte vocalità vere e ben scelte per i ruoli affrontati, in particolare il baritono Patrick McNally in Germont che ha dato la misura dell’impegno nel cantare in una lingua non sua: rendeva evidente che anche l’italiano ha una sua componente idiomatica la quale non si esaurisce nella pronuncia corretta di vocali e consonanti, ma si sostanzia nella giustezza degli accenti e nella tenuta del fraseggio dove il detto librettistico si combina con il suono musicale adeguato allo stile dell’autore, Verdi in questo caso.
L’Alfredo di Mark May ha evidenziato le sue doti tenorili da affinare con un sorvegliato appoggio sul fiato, ma si tratta di un ragazzo che ha affrontato una parte di tutto rispetto per un debuttante il cui giudizio va inscritto in un contesto didattico e laboratoriale di alto livello.
Era inoltre rilevante l’attenta preparazione delle voci comprimarie, Flora Bervoix (Tanvi Thatai), Annina (Charlotte Lovaas-Haynes), il Barone Douphol (Matthew Carlson), Gastone di Letorières (James Pendergast), il Marchese d’Obigny (Morgan Wehling) e il Dottore (Wonho Shin), Giuseppe (Victor Manuel Briseno), il domestico di Flora (Andrew Massey) e il Commissionario (Matthew Carlson), fatto che in genere viene disatteso dalle produzioni poco accurate. Ma non in questo caso. Anzi l’aderenza al dettato didascalico del libretto ha dimostrato in questa occasione quanto sia indispensabile seguire le didascalie e la volontà concertata del librettista con il musicista come originaria unità organica delle movenze e dinamiche sceniche con la musica e il canto, fatto che oggi viene bellamente trascurato e vilipeso da sedicenti regie d’opera troppo spesso risultato di incompetenza musicale e operistica. In questa produzione invece si è riaffermata didatticamente quella organicità originaria e indispensabile di canto scenico e musica drammatica quando si vuole ottenere una esecuzione autentica.
Importante e ricercata la direzione sul podio dell’Orchestra Città di Ravenna da parte del prestigioso nome di Joseph Rescigno, nipote del grande Nicola, che ha tenuto una speciale tempistica volta ad adeguare le diverse vocalità dei giovani interpreti con la disposizione scenica all’aperto i cui gli spazi sono ben diversi da una esecuzione al chiuso.
Non da sottovalutare l’apporto economico profuso in termini di tecnologia e di organizzazione che ha reso possibile il festival e i diversi allestimenti a seguire, come da programma, nei diversi centri della zona dal Montefeltro a Ravenna: si tratta di RIVIERABANCA, Gruppo Bancario Cooperativo Iccrea, il cui Presidente Dr. Fausto Caldari ha proluso alla serata di Montefiore con un intenso discorso illustrativo delle varie competenze dell’istituto bancario che finanzia pregevoli iniziative, oltre quella del Festival, con una prodigalità così naturale quando si promuove la cultura e si valorizzano le risorse artistiche del territorio. Il presidente ha parlato inoltre di sostegno allo sport, al turismo, alle strutture e attività di valore sociale (ospedali e volontariato) della zona con uno stanziamento di cifre di tutto rispetto: il bilancio dell’anno passato segna che è stato investito più di un milione di euro per le strutture sanitarie di Rimini, Riccione e Cattolica. La forza economica prodotta in seguito alla fusione della ex BCC Banca di Gradara e della Banca di Rimini viene irradiata in 46 filiali e in comitati territoriali che operano e fanno presenti esigenze di ogni tipo per cui investire – questa la parola sottolineata da Caldari – il budget destinato alla valorizzazione culturale nella certezza che si avrà un ritorno di vario tipo nel territorio esteso per gran parte della Romagna, fino a Sant’Arcangelo e oltre. Alla fine, applausi sentiti e soddisfatti per tutti conditi da una speciale simpatia per i giovani interpreti.