Presentiamo “Il contrario dell’amore”, l’ultimo disco di L’Aura
a cura della Redazione
26 Set 2017 - Dischi
LA PRESENTAZIONE
“Il Contrario dell’Amore” è un melodramma pop contemporaneo in tre atti, un racconto fatto di tredici canzoni e tre racconti brevi che narrano le vite di tre personaggi:
-Mary Jane (come l’omonima canzone di Alanis Morissette, manifesto dell’Alt Rock al femminile anni ’90)
– Lucy (come la canzone-simbolo degli Anni ’60 “Lucy in The Sky With Diamonds” dei Beatles)
– Lisa (da quello splendido ritratto Anni ’70 che è “Sad Lisa” di Cat Stevens)
Ho creato tre alter ego che potessero narrare in mia vece i momenti cruciali che ho vissuto negli ultimi anni.
Mary Jane, con tutta la sua carica di rabbia e malinconia.
Lucy, che racconta di un passato fatto di fughe dalla realtà.
Lisa, la “ragazza magica”, che narra di come solo l’amore possa curare le ferite del passato.
MARY JANE – “Mary Jane” di Alanis Morissette, tratta da “Jagged Little Pill”, 1995.
LUCY – “Lucy In The Sky With Diamonds” dei Beatles, tratta da Sgt.Pepper’s And The Lonely Hearts Club Band, 1967.
LISA – “Sad Lisa” di Cat Stevens, tratta da “Tea For The Tillerman”, 1970.
Per cominciare, amo questi tre brani e gli artisti che li hanno ideati. Ho scelto queste canzoni e questi personaggi perché rappresentano rispettivamente i tre periodi della musica da cui sono partita per il sound delle canzoni del disco.
Lisa, Lucy, Mary Jane. Storie diverse, che tratteggiano tuttavia il ritratto di tre donne assolutamente non convenzionali, squisitamente folli nella loro fragilità.
È un melodramma perché spesso quando scrivo tendo ad esagerare un pochino. Chiedo venia: sono del segno zodiacale del Leone!
L’Opera Lirica un tempo veniva definita “commedia melodrammatica” o “melodramma”. Certo, qui non stiamo parlando di musica classica, però le storie che amo narrare sono così, romantiche e melodrammatiche tanto quanto quelle della nostra antica tradizione classica. Come non essere influenzati da quelle antiche melodie così squisitamente italiane!
Parallelamente alla scrittura dell’album, ho elaborato dei veri e propri racconti, costituiti da tanti capitoli quante sono le tracce del disco (più qualcuna esclusa). Questi racconti nero su bianco sono la mia “carbon copy” emozionale. Sono la spiegazione di ogni verso, di ogni motivazione profonda celata dietro a quest’album.
Il contrario dell’amore cos’è? È “puro amore dietro una canzone d’odio”. Il concetto attorno al quale ruotano tutti i brani è proprio questo. Quel lato oscuro dell’amore di cui sono impregnati molti dei nostri rapporti umani. Quel “brutto” interiore che solo chi amiamo veramente è in grado di tirare fuori da noi. È questo che mi ha affascinata tanto da elaborare un intero album. In molti tendono a vedere il lato luminoso delle cose. A me fa gola il lato ombra, quello che nessuno vuole vedere. Scrivere di ciò che si pensa, ma non si ha il coraggio di dire.
Il fatto di costruire pazientemente queste canzoni e questi racconti mi ha permesso di lenire qualche ferita del passato, e di prendere coscienza di qualche altra più recente.
(L’Aura)
- Another bad rainy day
- La Meccanica del cuore
- I’m an alcoholic
- Cose così
- Il Pane e il vino
- Unfair
- L’Amore resta se c’è una fine
- Quest’estate finirà
- What makes you a man
- Portami via (feat Gnu Quartet)
- The Fear
- The Bad side
- Apologize
Produced & Arranged by Simone Bertolotti
Executive Producer: L’Aura
Recorded by Raffaele Stefani & Simone Bertolotti @ WhiteStudio (Cremona), WhiteStudio 2.0 (Milan), Sam Recording Studio (Lari-PI) & Next Officine Meccaniche (Milan)
Studio Assistants: Marco Gorini, Andrea Ciacchini, Mattia Bonvini & Lorenzo D’Ambrosio
All Songs Written by L’Aura and Simone Bertolotti except for:
Tracks 1 / 6 / 9 written by L’Aura, Simone Bertolotti and Miriam Jones.
G.T. written by L’Aura and Miriam Jones
Track 7 written by L’Aura, Adriano Pennino and Niccolò Agliardi
Track 2 written by L’Aura
LA BIOGRAFIA
A sei anni, una tastierina rossa.
A otto, una grande, molto più grande.
A nove un vero e proprio piano a muro! Comincio a (ri)comporre i primi pezzi (del puzzle).
A undici, un violino cinese alato.
A diciotto il violino si rompe, uccidendo il mio primo amore.
Fino all’età di dodici anni, non pensavo che cantare potesse sortire qualche effetto sugli altri. Poi qualcosa di insolito accadde, e cambiai idea. Mi fu chiesto di esibirmi davanti ad un pubblico vero.
Qualcosa che mi riuscisse bene. Cantai una canzone tratta dal film Disney “La sirenetta”. Perché la sirenetta ero io. Metà donna, metà qualcos’altro. Ci misi il cuore intero e la gente capì, e il loro applauso mi terrorizzò e mi diede una scossa. Fu lì che cominciai ad avere fiducia in me stessa, e nelle mie possibilità.
Così, a tredici, cambio casa, la mia testa e la gente che mi circonda.
Mi sposto dal buco di culo dell’universo al buco del vuoto del niente. Il mondo è terribile.
Mi iscrivo al liceo artistico e due mesi dopo la scuola viene occupata dagli studenti.
Il mio quattordicesimo non poteva andare meglio; sono sbocciata come un fiore, gettandomi a capofitto nella musica, nella scrittura, nell’arte.
Forse il mondo non è così male.
A quindici, mentre chatto nella sezione “metal” della prima chat di MTV Italia, conosco il mio manager, che mi convince a non avere paura delle mie piccole creature musicali. Entro pochi mesi registriamo su un piccolo quattrotracce una marea di canzoni. Roba dark, canzoni lunghe ed emotive.
Incontro un ragazzo che rivoluziona il mio modo di ascoltare musica e che mi introduce a generi musicali che non conoscevo, e che al tempo rifiutavo per partito preso. Cose come i King Crimson.
Syd Barrett, Brian Eno. A quei tempi ero una romantica metallara. Mixavo Kate Bush con gli Slayer. PJ Harvey con i Pantera. Le Spice Girls con gli Opeth.
A sedici quelle confuse canzoncine deliranti raggiungono le orecchie di un produttore (Corrado Rustici) che vive negli States e lui e il suo manager decidono di finanziare il mio viaggione di due anni verso la California, per imparare a scrivere e a pensare in lingua inglese. Prima di compiere i diciassette, mi trasferisco a Berkeley. Il primo anno è un inferno: non capisco un acca e rifiuto di comunicare con l’esterno. Farcisco le mie canzoni di suoni terrificanti e oscuri. Tanta gente stanca, sporca e disperata si trascina per le strade di Berkeley. Gente che è stata sbattuta fuori dai manicomi a malo modo. Il bellissimo e crudele orizzonte californiano mi guarda dall’alto della sua calma stoica, in questo incredibile spettacolo di uomini che si isolano dal mondo. Mentre socializzano e creano. Dividono e distruggono.
Il secondo anno, grazie alla folk-singer Rita Weill Bixby, entro a contatto con artisti e culture di diversi paesi del mondo, alcuni lontanissimi nello spazio-tempo. Parlo della musica folk Armena. Delle canzoni Afghane. Della poesia Sufi e Rumena. Del Flamenco. Della musica brasiliana, delle ballate irlandesi, dei cori bulgari.
Ad un music camp, mi innamoro di Dan Fries, che mi aiuterà a scrivere il mio primo album.
A diciotto la mia piccola label collassa.
Ritorno mestamente a Brescia, la mia città natale.
Visioni stregonesche riempiono le strade.
Lavoro qui e là, mi nascondo e divento fredda come un sasso.
Resto sasso fino all’età di diciannove anni, e dopo molti saliscendi, molte canzoni e molti produttori (sbagliati), Andrea (Bariselli, il manager) decide di portarmi in studio. Dice che le canzoni sono tutte lì, che hanno un’anima tutta loro. Produttore e musicisti mancano all’appello. Enrique, un produttore di Berkeley di origini Venezuelane, è il produttore designato.
Una buona parte dei musicisti appartengono al gruppo alt-rock Mistonocivo. E, come per magia, il sogno comincia a prendere forma…
A venti, in piena maturità, l’agenzia Barley Arts sente alcuni demo piano e voce e decide, senza disco finito di farmi aprire i “concertini” di Renato Zero. Negli stadi.
Le mie precedenti esperienze live consistono in qualche concerto acustico (senza impianto, da artista di strada) in giro per il mondo e qualche cantatina in gita al liceo.
Quando salgo sul palco con gli ex componenti dei Mistonocivo riesco a malapena a muovere le dita sul pianoforte. L’emozione è estrema.
Qualche concerto dopo, precisamente il 22 Aprile del lontano 2005, esce il mio primo disco, “Okumuki”. Prende il nome da una strana parola trovata su un sito di arredamento giapponese.
Significa “Parte più interna della casa”. Per i giapponesi diolibenedica l’Okumuki è il cuore della casa, la zona dove invitare le persone più gradite, i famigliari. Okumuki era esattamente questo: un disco intimo, quasi sussurrato, dedicato alle persone più care, quelle da invitare proprio nel mio cuore.
Contrariamente ad ogni aspettativa, la bambina scatenata di “Radio Star” scala le classifiche (top 10 in Italia, anche grazie al supporto di MTV Italia e a Radio DeeJay, due importanti network italiani), ma il suo cuore è ancora deluso ed insoddisfatto. Il successo non mi rende granché felice. Cerco di riempire il vuoto buco altrove, nei volti negli amici. Nei viaggi fisici o mentali. Spesso mi chiudo a riccio, anche nelle interviste, che piovono come grandine. Forse non riesco ad essere me stessa, o forse lo sono troppo.
In quegli anni apro anche i concerti di Lenny Kravitz, The Ark, Ligabue, Claudio Baglioni.
Quando non sono in viaggio con Alberto, Danzi, Davide, Antonio, Luca e Linda, vivo a casa dei miei.
Malgrado il luogo dove vivo sia bellissimo, pieno d’amici e circondato dagli alberi che tanto amo, non vedo l’ora di fuggire. Il desiderio di fuga è qualcosa che mi accompagna da sempre, come una specie di microchip inserito sottopelle.
Con “Radio Star”, e successivamente, “Today”, cominciano le televisioni, i programmi radiofonici, le ospitate. Bevo (mica acqua minerale, eh?!), e mi nutro assai nervosamente. Spesso ho l’impressione di non essere all’altezza delle responsabilità che porto sulle spalle, ma ce la metto comunque tutta.
Un anno dopo la casa discografica decide di mandarmi al Festival di Sanremo, “LA” competizione canora in Italia.
Sanremo è la fiera dell’assurdo: tutti smaniosi di avere un pezzo di te. Tutti ti amano o ti odiano a seconda del piede con cui si sono svegliati al mattino. Nel saliscendi emotivo che caratterizza quella folle settimana passata in Liguria, il mio brano “Irraggiungibile”, che partecipa alla gara con risultati più che dignitosi, spicca il volo. Sale su, su, su per le classifiche, finalmente anche quelle di vendita. “Okumuki” vince il titolo di “disco d’oro”, insomma, un bambino bello per mamma sua.
La mia vita sentimentale nel frattempo è una frana: colleziono piccoli flirt con uomini che mi fanno solo soffrire, amandomi e abbandonandomi. E così scrivo. Faccio tesoro di ogni lacrima versata.
Il 6 Maggio del 2006 Barley organizza un concertone in double-billing con Ivan Segreto, il quale si è preso cura di quei pochi miei nervi ancora intatti durante Sanremo. Che talento, Ivan! Quel concerto rimarrà nella mia memoria come uno dei più belli. Quella stessa sera faccio un incontro che cambierà profondamente la mia vita a venire. Un incontro romantico, che porterà la mia musica a cambiare nuovamente.
E poi ancora concerti, concerti, concerti! Prendo lezioni di canto e comincio a sentirmi più sicura. Il cuore si apre e piano piano, la musica ritorna a fluire normalmente. Mi diverto un sacco a suonare, ecco!
La tournée è lunghissima, intensissima. Durante tutto questo tempo ho scritto poco, ma studiato molto. Sony è ansiosa di far uscire un nuovo disco, ma i pezzi non sono ancora pronti. La pressione è alta. Scrivo in tre sul due. Brani nervosi e ritmici. Suono canzoni difficili per le mie braccia da pianista sognatrice, e conduco vita un po’ dissoluta. Nessuno si accorge di nulla, ma mi sto velocemente autodistruggendo. I demoni si fanno prepotenti e mi invitano a conoscerli. Ci sto.
Volo nuovamente verso gli Stati Uniti, sono contenta di poter riabbracciare Enrique Gonzalez Muller, che ha prodotto il mio primo disco, e qualche altro amico che non vedevo da tempo. I brani non assomigliano a quelli di Okumuki. Sono molto più scuri, complessi.
Durante le registrazioni del mio secondo disco, “Demian”, soffro di allucinazioni mostruose, alcune delle quali vengono impresse su disco. Per dormire uso ansiolitici, ma ho almeno smesso di bere.
Dopo un giorno di registrazioni quasi perdo l’uso delle braccia, causa tendinite. Subentrerà Floriano a registrare le mie parti; sarà l’insegnate di pianoforte che ho sempre sognato di avere, e che mi permetterà di affinare la tecnica e prevenire future infiammazioni ai tendini.
Litigo molto durante quegli anni. Con Enrique, con il mio manager. Mi ritrovo spesso da sola ad affrontare tutto quello che ruota attorno al disco, anche a gestire i budget. Tutte cose che fanno parte dell’essere grandi. Ma io sono ancora piccola piccola e ogni tanto faccio qualche cazzata. Ma sono grata a mamma Sony per avermi permesso di farle, quelle cazzate così fottutamente importanti.
Nonostante tutto, il disco è finito in tempo. Non è pop, non è rock, non è jazz, non è musica da film, non è elettronica, non è dream pop, non è goth-rock, non è un musical. E’ tutte queste cose insieme.
“Demian” è un bambino stronzetto e dispettoso, ma comunque in cerca d’amore.
Escono due singoli, “Non è una favola” ed “E’ per te”, e per motivi vari, dopo pochi concerti decido di far riarrangiare a Stefano degli Gnu Quartet gran parte del repertorio. Ricomincio pian piano a suonare il pianoforte e la veste delle nuove canzoni si confà alle mie esigenze, ovvero fare tanti concerti, acustici e poco confusionari, dove posso giocare con la voce e sentire perfettamente ogni strumento. Dove posso interagire col mio amato pubblico. Comincio seriamente a divertirmi e a sentirmi sicura di me. La bambina Laura allegra ed esuberante torna, dopo anni e anni, ad affacciarsi alla finestra.
Sony mi ripropone di partecipare a Sanremo, ma questa volta decido di abbandonare il tema dell’amore e, indignata per quello che accade fuori dall’Italia (tempi di guerra contro l’Iraq), scrivo una canzone pacifista, “Basta!”. Scrivo tante altre cose, ma non abbastanza per far uscire un nuovo disco.
Così esce una raccolta di brani tratti dai miei primi due dischi. Firmo un contratto con Live Nation e fra le varie date, apro i concerti di Alanis Morissette, Ben Harper e R.E.M. Poi collaboro con Disney. E anche con Gianluca Grignani, per un duetto super strappa lacrime di cui vado molto fiera. Durante lo stesso anno, rompo con il manager che mi ha lanciata.
Subito dopo, nel 2009, conosco Dado Parisini, storico produttore di Laura Pausini e Irene Grandi.
Cominciamo a lavorare su un nuovo progetto. Il suo è un modo di lavorare molto diverso da quello a cui ero abituata, ma mi butto testa e cuore per cercare di dare il meglio di me. Nel 2010 esce l’EP “Sei come me”. Il mio disco di Italian-pop. Diciamo che è stato un ottimo punto di partenza per imparare a scrivere su commissione. Un po’ come i pittori del passato.
Nel 2011 preparo un rifacimento in Italiano del super lentone da limoni che piovono (per limonate…) “A Total Eclipse Of The Heart” di Bonnie Tyler, ribattezzato prontamente “Eclissi del Cuore”, certificato platino. Collaboro con Enrico Ruggeri, faccio pochi eventi e poi mi ritiro. Sento che la strada che ho intrapreso non è quella giusta per me. Sia lodato il Latin Pop! Ma io sono Latina come un norvegese trapiantato ai Caraibi, quindi mollo il colpo.
Mi innamoro. Il mio uomo mi trae in salvo dall’egemonia dei miei demoni. Mi sposo a Miami con il produttore/musicista Simone Bertolotti e nel 2013 nasce nostro figlio Leonardo. Un evento di rara e impagabile gioia. Una ragione per ripartire a tutta birra. Dal 2012 al 2014 scrivo canzoni nuove. Canto con la superstar internazionale Laura Pausini nel suo successo televisivo “Stasera Laura”, in prima serata su Rai 1. Finito il contratto con Sony scelgo la strada dell’autoproduzione. Mio marito Simone Bertolotti, che già aveva scritto e prodotto brani per Laura Pausini, Eros Ramazzotti ed Elisa, mi aiuta a realizzare un progetto ambizioso, il più ambizioso che abbia mai immaginato. Un album fatto di tre storie. Tre EP. Tre donne. Tre parti di me. Presente, passato e… chissà.
Ad agosto del 2014 ci dirigiamo a Lari, un piccolo borgo medioevale sui colli toscani, per incidere una buona parte del disco in presa diretta. Proprio come si faceva una volta. Basta con questa schiavitù nei confronti delle macchine. Per questo disco, vogliamo solo strumenti reali, suonati da veri musicisti.
Coinvolgiamo una sezione fiati e ottoni, poi lo Gnu Quartet. A Ottobre voliamo a Budapest per farci un regalo grande: 3 pezzi con la Budapest Art Orchestra, composta da un organico di ben 33 elementi.
A gennaio del 2015 voliamo in quella New York dei famigerati ELECTRIC LADY STUDIOS per mixare l’intero album con Michael Brauer, ingegnere del suono pluri-vincitore di Grammy Award, già con Coldplay, John Mayer, Paul McCartney e Bob Dylan.
Realizziamo un disco completamente in Inglese e un disco con un mix di italiano e Inglese, come in passato. Un bellissimo caos che non vedo l’ora di portare in capo al mondo!
NOTE
Dal 22 settembre L’AURA sarà impegnata in un instore tour per presentare “Il Contrario dell’Amore”, queste le date: il 22 settembre al Mondadori Megastore di Piazza Duomo a MILANO (ore 17.00), il 23 settembre al Mondadori Megastore di TORINO (ore 17.00 – Via Monte di Pietà 2 ang. Via Roma), il 25 settembre alla Discoteca Laziale di ROMA (ore 18.30) e il 26 settembre al Mondadori Bookstore di NAPOLI (ore 18.30 – Piazza Vanvitelli, 10).