Gli scenari immaginari di Franco Cecchini


di Alberto Pellegrino

17 Ott 2016 - Altre Arti, Eventi e..., Arti Visive

1-MusiculturaonlineFranco Cecchini, laureato in sociologia con indirizzo in discipline delle arti e dello spettacolo, ha lavorato per 32 anni nel mondo del teatro e nel campo delle attività culturali. Per diverso tempo ha coltivato in privato la passione per le arti visive e “il piacere dello sguardo” (come lui stesso confessa) quando, a partire dal 2014, ha tirato fuori dal cassetto le sue fotografie e, visto che quelle già fatte gli piacevano, ha cominciato a farne di nuove con un impegno e una passione quasi “professionale”. È nata in questo modo la prima raccolta Riflessi condizionati, nella quale è emersa chiaramente la voglia di ricollegarsi alla grande tradizione marchigiana del “racconto fotografico”, voglia che è emersa ancora più chiaramente nella raccolta formata da sei racconti in video-immagini intitolata Residui (2014).
In seconda battuta sono arrivati i foto-racconti BailaLaHabana (2015), le immagini Interior/Exterior (2015) inserite nel racconto L’appartamento di Gilberto Marconi, la foto-sequenza Segnali di resistenza (2016), esposta nella mostra dell’ANPI FotoResistente. Si tratta quindi di un percorso che ha superato il triennio con opere che hanno messo in evidenza, oltre ad un’encomiabile unitarietà stilistica e qualità t2-Musiculturaonlineecnica, una notevole capacità “narrativa”.
Arriva ora, quasi alla fine del 2016, una nuova raccolta che rappresenta una sfida particolarmente ambiziosa, perché Cecchini questa volta ha voluto confrontarsi con una realtà monotematica a differenza degli altri lavori che, pur nella loro unitarietà, presentavano aspetti plurivalenti, anche se in essa si riscontrano evidenti richiami a Riflessi condizionati e a Residui.
Franco Cecchini, per i suoi Scenari Immaginari (catalogo Affinità Elettive, Ancona, 2016) ha composto alcuni trittici fotografici che fanno venire alla mente per prima cosa un richiamo a una tipica forma rappresentativa propria della pittura medioevale, ma si tratta di un elemento puramente compositivo, perché le opere di questo autore richiedono, anzi impongono, una lettura più complessa che è difficile decodificare se non si tiene presente del suo passato professionale e “passionale”: il Teatro.
Nel loro insieme le immagini di Cecchini richiamano alla mente quella fondamentale ideologia teatrale propria del Rinascimento italiano, secondo la quale il teatro è lo “specchio della vita”, una imago mundi capace di trasmettere modelli culturali e di comportamenti propri di una società urbana.  Questa visione ha trovato allora una naturale e feconda corrispondenza con la vasta schiera di architetti-scenografi del Cinquecento-Seicento (da Sebastiano Serlio a 3 -MusiculturaonlineGirolamo della Genga, dallo Scamozzi all’Aleotti, dal Bernini al pesarese Niccolò Sabbatini), tutti impegnati a portare sulla scena il “Gran Teatro del Mondo”. Il tema del theatrum mundi è logicamente ripreso dai grandi autori spagnoli del Siglo de Oro, a cominciare da Calderon de la Barca che nel 1635 scrive l’auto sacramental Il grande teatro del mondo, dove viene ripresa la grande metafora della vita intesa come spettacolo, nel quale si fondono e si confrontato tutte le classi sociali, tutte le virtù e tutti i peccati dell’uomo, trovando un seguito immediato nello straordinario teatro elisabettiano e nel teatro barocco francese, secondo la regola dettata dallo studioso mantovano Leone de Sommi: “Tutto il Mondo insieme altro non è che una scena e un teatro ove si fa di continuo spettacolo 15Musiculturaonlinedelle nostre azioni” (1556).
Questa anche troppo lunga digressione serve in un certo senso a giustificare quella impressione che si coglie osservando le foto di Cecchini, dove si vede chiaramente una forte tendenza scenografica a rappresentare il “Teatro del Mondo”, poiché nelle sue immagini sembrano trovare un punto non casuale di congiunzione architettura e geometria, scenografia e interpretazione cromatica, un uso del codice prossemico finalizzato a calibrare lo spazio e la luce per dare un giusto equilibrio al gioco dei vuoti e dei pieni.
A questo punto ci si può chiedere: ma in tutto questo l’uomo dov’è? Quella degli esseri umani è un’assenza apparente, che si risolve invece in una presenza reale da  “leggere” con gli occhi della mente, una presenza che attraversa tutta la serie dei trittici, a cominciare dal drammatico trittico d’apertura intitolato Prima della notte, dove un sole malato precipita dall’alto sui ruderi ancora intatti di Palmira, quella che era una Venezia senza mare alle pendici del deserto, un punto d’incontro delle civiltà greco-romane-orientale ora scomparso e 16Musiculturaonlinegiustamente l’autore rende omaggio alla città e all’archeologo siriano Kaled Al Hassad con i versi di un altro siriano, il poeta Kaled Al Nassiry: “Dietro alla finestra che s’affaccia sul mondo,/siede un uomo che cerca la propria memoria:/ma la memoria, ora, è colpita da manganelli e pallottole,/che memoria forata e tumefatta avremo!”.
Ancora la presenza umana si avverte pulsare dietro le rosate geometrie di Esposizione alla luce; in quell’Interior dove si percepisce la presenza di uno sguardo che sembra scavare e modellare lo spazio; in quegli elementi cromatici, architettonici e vegetali che segnano Collages e Linee di fuga. Particolarmente coinvolgente appare la montaliana Stanza sul mare, perché dietro quei riflessi vitrei si sente vibrare uno sguardo, un’anima sensibile al richiamo degli immensi spazi marini, per cui Sonia Antinori, attrice, regista e autrice d’importanti opere teatrali, così la commenta: “Ecco, in fondo io sono tutta qua. Tagliata a metà tra te, che vedo17Musiculturaonline dietro l’orizzonte, fantasma di spuma, gigante della distanza…e i miei gelidi sonni ben protetti…Perché tutte queste masse d’acqua si muovono. Le nubi. E anche noi. Noi che sembriamo così fermi: Noi ci muoviamo, continuamente…Vorrei fermarmi. restare. Ma scorro. E fuori è azzurro. E rosa. E nero. E anch’io sono azzurra e rosa e nera. E fa male, la mia immagine dentro questo specchio”.
La presenza umana si avverte con un peso ancora più pregnante ne L’appuntamento, dove dietro i vetri oscurati delle finestre si sente lo sguardo ansioso di chi sta in attesa, di chi muove con il suo invisibile passo, leggero come una folata di vento, una tenda bianca contro un pavimento rosso, di chi ascolta i passi invisibili di chi sta salendo la scalinata. Ancora più esplicita diventa la presenza dell’uomo nel trittico Closed, dove una parete punteggiata di bianche inferriate sembra trasformare un’abitazione in un carcere per l’uomo metropolitano, dove teli di platica argentata fanno da parete a un’anonima costruzione, dove una parete scrostata, coperta di rugginosi colori e di scritte bianche, denuncia il degrado di quella che un tempo era chiamata “la civiltà urbana”.
18MusiculturaonlineL’ultimo trittico, intitolato In Out – Sipario!, fornisce la chiave interpretativa di tutti gli altri racconti: la rappresentazione è finita, il sipario cala su una immensa metropoli, dove le case sono formicai segnati da una struggente uniformità, formicai da osservare, per sedare la drammaticità di quella visione, dietro il filtro di un vetro appannato, oppure dietro il morbido e ovattato involucro della nebbia.  Non è certo per caso che ancora Sonia Antinori commenta quest’ultimo trittico con tre bellissimi brani (il Coro del Popolo Asiatico, il Coro del Popolo Occidentale, il Coro delle particelle d’acqua) per ricordare che altri vivono “bagnati dalla luce nascente”, mentre noi occidentali viviamo compressi come particelle d’acqua in questo mondo globalizzato che “si strugge d’invidia e ci minaccia” e siamo costretti a guardare in solitudine, avvolti in un “silenzio che a poco a poco si fa maestoso”, come la vita ci passi davanti agli occhi.

N.B. Si può prendere visione di tutte le immagini dei trittici esposti nella mostra jesina di Franco Cecchini e delle foto dell’allestimento sul sito www.ugarage.it

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