La prima volta dei Racconti di Hoffmann a Ferrara


Athos Tromboni

30 Gen 2001 - Commenti classica

FERRARA Era la prima volta che dal palcoscenico del Teatro comunale di Ferrara venivano proposti I racconti di Hoffmann di Jacques Offenbach. Ma ciò non ha stimolato la curiosità dei melomani locali, nonostante le buone frequentazioni alle due guide all'opera effettuate in città la vigilia della prima (una presso la roccaforte della lirica, al Circolo Frescobaldi, l'altra presso il Ridotto dello stesso Teatro comunale), e il teatro presentava ampi vuoti un platea e palchi. Nonostante ciò, l'accoglienza di questo capolavoro francese (proposto in lingua originale con sopratitoli in italiano) è stata favorevole da parte del pubblico: l'applauso non è però partito, dopo la ballata di Kleinzack, come ci si poteva aspettare perchè qui il tenore deve dare sfoggio di appropriata vocalità , soprattutto nello squarcio lirico della stessa aria, quando invoca accorato la donna amata (Ah! sa figure ètait charmante), nè è stato premiato nell'atto di Giulietta, quando il duetto tenore-soprano si fa spinto, wagneriano, eroico. Luca Lombardo, che vestiva i panni di Hoffmann, non ha deluso nè brillato particolarmente, limitandosi a offrire una prova professionale. L'applauso, invece, se l'è guadagnato Antonia Brown interpretando l'aria della bambola Olympia, un'aria fatta di asperità tecnico-vocali e seducente sotto il profilo belcantistico: la Brown l'ha eseguita in sol, come richiesto dalla revisione critica di Fritz Oeser, impiegata per questo allestimento. Ma l'apice interpretativo, la Brown, l'ha sfiorato con una delicatissima caratterizzazione scenica e vocale di Antonia e l'ha raggiunto con Giulietta, la cortigiana fatta di lussi e morale sfrenata, eros e thanatos, seduzione e provocazione. La sua vocalità , qui maggiormente a proprio agio che altrove, si è dimostrata pertinente, generosa, emozionante. Dopo la Brown vogliamo citare anche la bella interpretazione di Claudia Nicole Bandera (Nicklausse) la cui emissione brunita si impreziosisce di un raffinato impasto timbrico. Ottima la prova di Enrico Marrucci, nei quattro personaggi demoniaci (Lindorf, Coppèlius, Miracle, Depertutto), un bass-baritone che sa dare al proprio canto un'invidiabile gamma di sfumature. Buono il resto del cast, con Luca Dordolo (Andrès, Cochenille, Frantz, Pitichinaccio), Elsa Waage (la Voce), Antonio De Angelis (Nathanaà l, Spalanzani), Antonio Taschini (Herman, Schlèmil), Carmine Monaco (Luther, Crespel), Antonietta Daviso. Abbiamo parlato del cast, prima che dell'allestimento, perchè è proprio l'amalgama del cast che salva la produzione: il merito (oltre ai cantanti) va al direttore Roberto Tolomelli, sul podio dell'orchestra Città Lirica, concertatore assai attento e distillatore di leggerezze armoniche quasi mozartiane (nell'atto di Olympia) e di magmatiche impennate espressive degne di un direttore wagneriano (nell'atto di Giulietta). Adesso le note dolenti: l'allestimento è firmato da Sylvano Bussotti e dallo stesso regista, con Renzo Bussotti, per scene e costumi. L'allestimento non è bello. à ambientato in una piscina (ma, ci siamo chiesti, cosa c'entra l'acqua iperclorata con le liquidità richiamate dal libretto di Barbier e Carrè. Venezia, la birra, il vino, il riflesso, la trasparenza, cosa c'entrano col Settebello?) e non riesce a trasformare nè l'ambiente, nè (ancor peggio) la recitazione in qualcosa che somigli all'atmosfera inquietante che, dalla musica, passa alla drammaturgia. Insomma, una ciambella senza buco per l'eclettico regista-compositore-letterato. Una regia, la sua, che perde tutti i confronti con I racconti di Hoffmann visti negli ultimi venti anni. Brutte anche le scene. Coro (diretto da Stefano Visconti) non sempre preciso.
(Athos Tromboni)


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