La scomparsa di Luca Ronconi lascia un vuoto incolmabile
di Alberto Pellegrino
25 Feb 2015 - Commenti teatro
Con Luca Ronconi scompare uno dei più grandi registi europei. Un regista che ha lasciato un’impronta innovatrice nel teatro nazionale e internazionale con una serie di spettacoli che hanno sempre mostrato straordinarie capacità di lettura nella interpretazione dei testi, grande fantasia e inventività nelle messe in scene, un eccezionale e sapiente dosaggio del repertorio tra teatro classico e teatro contemporaneo.
Luca Ronconi nasce per caso in Tunisia nel 1933, si diploma nel 1953 dopo avere frequentato il corso di recitazione nell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. L’anno successivo inizia l’attività di attore con i registi Luigi Squarzina, Orazio Costa, Giorgio De Lullo, Michelangelo Antonioni, ma sente che la sua vera vocazione è quella della regia, ricoprendo una serie di incarichi istituzionali: nel 1975-77 dirige la Sezione Teatro della Biennale di Venezia; nel 1977-79 fonda il Laboratorio di Progettazione Teatrale di Prato; nel 1989-1994 dirige il Teatro Stabile di Torino e nel 1994-98 il Teatro di Roma. Dopo la morte di Strehler viene chiamato dal Piccolo Teatro di Milano come direttore artistico per diventare poi regista stabile e consulente artistico, formando nel corso di tutti questi anni intere generazioni di attori ancora oggi in attività. Gli sono stati assegnati numerosi Premi e le lauree honoris causa dalle Università di Bologna (1999), Perugia (2003), Urbino (2006) e Venezia (2012).
Tra il 1966 e il 2014 Ronconi ha firmato la regia di una lunga serie di memorabili spettacoli fra i quali ci limitiamo a ricordare: l’Orestea di Eschilo, Le Baccanti di Euripide, Prometeo incatenato di Eschilo, Gli uccelli e le Rane di Aristofane per il teatro classico; Misura per misura, Riccardo III (con Vittorio Gassman e le scene di Mario Ceroli), Troilo e Cressida, Re Lear, Il mercante di Venezia di Shakespeare; La vita è sogno di Calderon de la Barca, Aminta di Torquato Tasso, Il Candelaio di Giordano Bruno, Centaura e Amore nello specchio di G. B. Andreini, La Tragedia del vendicatore di Turner (interpretata da 24 attrici per tutti i ruoli), Peccato che fosse una puttana di John Ford, Fedra di Racine, I due gemelli veneziani, Serva Amorosa e Il ventaglio di Goldoni, Mirra di Alfieri per il teatro classico moderno; I giganti della montagna, Questa sera si recita a soggetto e Sei personaggi in cerca di autore di Pirandello; L’anatra selvatica, John Gabriel Borkman, Spettri di Ibsen, Tre sorelle di Checov, Il pappagallo verde e La commedia della seduzione di Schnitzler, L’uccellino azzurro di Maeterlinck, Il sogno di Strindberg, La torre e L’uomo difficile di von Hofmannsthal, Strano interludio e Il lutto si addice ad Elettra di O’Neill, Dialoghi delle Carmelitane di Bernanos, Affabulazione, Pilade e Calderon di Paolini; infine le sue ultime regie del 2014 Danza Macabra di Strindberg e Lehman trilogy di Stefano Masini. Ronconi è stato anche uno straordinario regista di opere liriche e ha segnato con ben 11 presenze il Rossini Opera Festival di Pesaro con le memorabili regie di Armida, La Cenerentola, La donna del lago, Moise et Pharaon ou le passage de la Mer Rouge e Il viaggio a Reims.
Un discorso a parte meritano due spettacoli ronconiani che hanno segnato profondamente la storia del teatro di prosa. Nel 1969 per il festival dei Due Mondi di Spoleto, Ronconi mette in scena l’Orlando furioso di Ariosto con l’adattamento dello stesso Ronconi ed Edoardo Sanguineti e con la partecipazione degli attori Massimo Foschi, Ottavia Piccolo, Edmonda Aldini, Mariangela Melato, Liù Bosisio, Luigi Diberti e Duilio Del Prete. Lo spettacolo viene allestito nella Chiesa di San Nicolò e, per lasciare libero sfogo all’intreccio narrativo, è previsto un insieme di azioni simultanee che avvengono in luoghi diversi fra loro. Il pubblico, suddiviso in gruppi, può scegliere quale filone narrativo vuole seguire e si trova a partecipare all’azione teatrale, interagendo con gli attori e spostando gli elementi scenici predisposti da Uberto Bertacca. Per la prima volta viene abolita in Italia la separazione tra scena e pubblico che deve intervenire più volte se vuole prendere parte a tutto lo spettacolo e scena. Lo spettacolo ottiene un clamoroso successo di pubblico e di critica e sarà rappresentato fino al 1975 in tutto il mondo.
Nel 1974, in occasione del quinto centenario della nascita di Ludovico Ariosto, la Rai propone a Ronconi di trasformare l’Orlando furioso in uno sceneggiato televisivo, che va in scena nel 1975 in cinque puntate di 60 minuti ciascuna prima in bianco in nero, poi una seconda volta a colori; dello sceneggiato sarà fatta anche una versione cinematografica della durata di 113 minuti. I testi sono sempre di Ronconi e Sanguineti, solo che in questo caso viene meno l’idea della partecipazione diretta del pubblico; pertanto lo spettacolo, pensato per essere vissuto, diventa una semplice visione resa tuttavia splendida grazie alla fotografia di Vittorio Storaro e Arturo Zavattini, le splendide scenografie di Pierluigi Pizzi, le musiche di Giancarlo Chiaramello e la suggestione dei luoghi dove lo sceneggiato viene girato tutto in interni nel Palazzo Farnese di Caprarola, nelle Terme di Caracalla, nella chiesa di Santa Maria di Cosmedin a Roma, nel Teatro Farnese e nel Palazzo Ducale della Pilotta di Parma.
Ronconi tiene conto che nella versione televisiva dell’opera lo spettatore si colloca davanti allo spettacolo come se fosse un quadro e per questo organizza le riprese tenendo conto delle arti visive del Rinascimento. Nello stesso egli cerca di conservare per quanto sia possibile alcuni caratteri della versione teatrale, per cui sceglie una organizzazione frammentaria e simultanea delle scene, facendo leva sull’autonomia dei singoli episodi, per cui l’intero sceneggiato è suddiviso in blocchi narrativi autonomi, i quali comprendono varie storie che s’interrompono nel loro momento di massima tensione per essere poi riprese a una certa distanza secondo schemi che sono presenti anche nel poema ariostesco.
Alla rappresentazione prende parte un numero enorme di comparse e di attori fra i quali va segnalata la presenza di Massimo Foschi, Ottavia Piccolo, Luigi Diberti, Edmonda Aldini, Michele Placido, Ettore Manni, Marilù Tolo, Mariangela Melato, Vittorio Sanipoli, Maria Grazia Spina, Orazio Costa, Paola Gassman, Maria Fabbri, Vittorio Mezzogiorno, tutti interpreti che occuperanno un posto importante nel panorama del teatro di prosa italiano.
Nel 1991 lancia una sfida a se stesso mettendo in scena in prima mondiale nel Lingotto di Torino il dramma Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus. Questo sterminato poema teatrale trova la chiusura all’interno della fabbrica torinese alla vigilia della sua chiusura in una vera sala presse con macchine e costumi d’epoca, con la realizzazione di un tratto di ferrovia con una vera locomotiva e veri vagoni. Come per l’Orlando, questo spettacolo molto più tecnicizzato mobilita grandi masse di attori e di comparse; è suddiviso in sei azioni simultanee che possono essere visionate a scelta da un pubblico itinerante. Ronconi sceglie la chiave di lettura dell’ironia per rappresentare la satira feroce e il sarcasmo che caratterizzano il testo di Kraus, il quale scrive un atto di accusa contro la guerra e contro la manipolazione dell’opinione pubblica di fronte a un’immane catastrofe come la prima guerra mondiale.
Per Ronconi, uomo schivo e riservato, il teatro ha rappresentato la vita stessa come lui stesso ha dichiarato: “Ho imparato a conoscere il mondo attraverso il teatro. Da adolescente ero completamente chiuso su me stesso. Poi facendo il regista, non l’attore, ho imparato a conoscere gli altri e me stesso”. Egli rimarrà una pietra miliare del teatro europeo del secondo Novecento.