Danza macabra: il capolavoro di Strindberg a Macerata
di Alberto Pellegrino
20 Feb 2015 - Commenti teatro
Macerata (04.02.2015) – È arrivato al Teatro Lauro Rossi di Macerata, in esclusiva regionale, il dramma Danza macabra di August Strindberg scritto nel 1900, nel quale affronta ancora una volta lo scontro tra due coniugi impegnati in una feroce gara di malvagità, racchiusi nel mondo claustrofobico di un’isola del Nord semideserta, squassata dai venti e dalle onde di un mare tempestoso, sede della fortezza dove presta servizio il protagonista. Essa rappresenta l’ambientazione ideale per riflettere lo stato d’animo dei due interpreti che con diabolica perseveranza amano dilaniarsi a vicenda nel nome dell’odio e della crudeltà, sentimenti che tuttavia nascondono l’esistenza di un amore che sale dagli abissi dell’anima per assumere toni vampireschi, perché questo amore vive entrando nella vita degli altri per succhiarne il succo vitale dell’esistenza. Il Capitano Edgar è un ufficiale cinico e arrogante che sfoga sulla moglie il fallimento della sua carriera militare; sua moglie Alice è un’ex attrice che ha rinunciato al teatro per seguire un’illusoria vita di benessere e di successi mondani, per cui ora sfoga sul marito la sua delusione esistenziale con un sadico accanimento fatto anche di tradimenti e menzogne. L’arrivo del debole e insicuro cugino Kurt anima la scena, introducendo un ulteriore elemento di scontro di tutti contro tutti, legato da un infernale legame che solo la morte potrà sciogliere.
Luca Ronconi, che rimane il più geniale regista italiano, ha portato sulla scena questo testo per il Festival dei Due Mondi di Spoleto 2014 con un allestimento che si è rivelato subito un grande successo. Ronconi, contro il suo solito operare, ha rivisitato massicciamente il testo portandolo dalla normale durata di tre ore alla durata di un’ora e mezzo, tagliando via ben cinque personaggi. L’aspetto più “spiazzante” è, tuttavia, il fatto che Ronconi abbandoni i toni della tragedia per scegliere la chiave di lettura dell’ironia, del grottesco e della dissacrazione, per cui spesso il pubblico sorride e persino ride di gusto in un clima da Famiglia Addams, evidenziato al massimo dalle scene di Marco Rossi, dai costumi di Maurizio Galante, dalle luci di A. J. Weissbard e dal trucco degli attori con le loro facce dipinte di bianco.
Luci crepuscolari sottolineano la “danza” dei divani e degli altri mobili neri, che si muovono sulla scena, quando l’atmosfera si fa tempestosa, la terra trema, il vento e il mare ululano, mentre si tentano omicidi a colpi di sciabola e si annunciano finti divorzi con denunce alle autorità per delitti e maltrattamenti. Ronconi, per rappresentare al meglio questo inferno familiare, sceglie l’elemento drammaturgico del “vampirismo” (sulle orme del Nosferatu di Murnau e delle moderne saghe vampiresche) in un continuo scambio di morsi sul collo e sulle mani per sopperire alla mancanza di cibo, ma soprattutto per trasferire i sentimenti malvagi di ognuno dei protagonisti nel corpo dell’altro in una specie di Danza di Morte.
Straordinari momenti da clima beckettiano sono gli epici svenimenti del Capitano che, a causa della sua malattia cardiaca, precipita a terra immobile e con la bocca spalancata, mentre la moglie Alice spera che l’ultimo sia l’infarto veramente decisivo per liberarsi di 25 anni di matrimonio. La donna a sua volta si trasforma in una maliarda sadomaso impegnata nell’opera di seduzione con un corteggiamento a base di morsi sul collo del povero cugino che viene trattato come un animale domestico. Sarà l’estremo tentativo di sottomissione di questa virago domestica a far fuggire Kurt che cercherà di saziare la sua fame fisica e spirituale con un cibo più sano del sangue stantio della coppia infernale. A loro volta il Capitano e Alice si consolano della rinnovata condizione di solitudine, consapevoli di essere l’unico punto fermo di questa storia che avrà fine solo con la morte di entrambi, per essa si chiude con un inaspettato bacio sulla guancia a suggellare un momentaneo accordo di pace che darà ai due coniugi la possibilità di dedicarsi ai preparativi delle loro Nozze d’Argento come segno di un’improbabile conquista di normalità.
Straordinari i tre interpreti di questo inaspettato divertissement: Adriana Asti, attrice di consolidata esperienza e indiscussa bravura, esprime bene la natura mefistofelica del suo personaggio con improvvisi cambi di voce e d’intonazione che riflettono in pieno la condizioni di chi tiene in mano il bastone del comando in casa del Capitano; Giovanni Crippa, nei panni del cugino Kurt, governa con consumata abilità il suo passaggio da uomo timido e incapace a spregiudicato vampiro, che si ribella a una pretesa schiavitù fisica, morale e sessuale; la vera sorpresa è costituita da Giorgio Ferrara, finora noto come valente regista e attore impegnato, che nella divisa del Capitano mostra una smagliante forma fisica (nella danza e nelle numerose cadute) e un’insospettabile vena interpretativa di natura comica pienamente in linea con la lettura “grottesca” della regia.