Il gioco dell’imitazione
di Elena Bartolucci
23 Gen 2015 - Commenti cinema
Vista l’ottima campagna pubblicitaria mossa per promuovere l’uscita del film The Imitation Game del semi-sconosciuto regista norvegese Morten Tyldum, che vede tra i protagonisti principali Benedict Cumberbatch, Keira Knightley, Matthew Goode e Mark Strong, non se ne rimne particolarmente colpiti.
Dopo lunghi anni di silenzio da parte del regno britannico è arrivata sul grande schermo la storia di Alan Turing, precursore e padre dell’informatica nonché una delle menti matematiche più brillanti di inizio ‘900, che con il suo genio cambiò per sempre il corso della storia. Durante la Seconda Guerra Mondiale, infatti, fu affidato a lui e a un ristretto gruppo di linguisti e decrittatori il delicato compito di decodificare Enigma, il codice usato dai tedeschi per comunicare in segreto le proprie azioni militari. Volutamente cancellato dalla storia per via delle sue tendenze omosessuali, solo di recente sono stati resi noti i dettagli di come con il suo lavoro diede un apporto decisivo alla vittoria delle forze alleate contro Hitler, anticipando la fine della guerra e salvando milioni di vite. Morì suicida a soli 41 anni dopo esser stato processato e condannato a subire la castrazione chimica per la sua diversità.
La pellicola tenta di tracciare i momenti più significativi della vita di un eccentrico e visionario matematico dal carattere introverso, capace di decifrare i codici più difficili al mondo ma inadeguato nel comprendere i comportamenti più semplici delle persone al suo fianco.
Tratto dal libro “Alan Turing. Storia di un enigma” di Andrew Hodges, The Imitation Game non è un film così incisivo, ma può certamente vantare la partecipazione di bravissimi attori (anche se gli unici a brillare sono Cumberbatch e Strong) e di ottime ambientazioni scenografiche.
Sullo sfondo, invece, il film si concentra sull’intreccio di segreti che comportava lavorare per una missione segreta a quei tempi ma anche i segreti di natura personale legati all’essere diversi per la società inglese perbenista degli anni ’50 che riconosceva l’amare una persona del proprio sesso un delitto.
Peccato davvero per la poca brillantezza stilistica con cui si è deciso di affrontare questa storia. Nullo è valso scegliere di frammentare il racconto su tre livelli con continui flashback e flashforward, che ripercorrono la vita di Turing da adolescente, da adulto e negli ultimi anni della sua vita. Si esce incompleti nonostante la potenza della storia della genialità di un uomo, tenuta nascosta al mondo solo per ipocrisia.