Attends, Attends, Attends… Pour mon père: prima italiana dello spettacolo di Jan Fabre
di Elena Bartolucci
22 Lug 2014 - Commenti danza, Danza
Civitanova Marche (MC). Dopo la prima italiana andata in scena sabato 19 luglio all’interno della cornice del primo “festival nel festival” di CivitanovaDanza, è stato replicato domenica 20 luglio al Teatro Annibal Caro l’attesissimo spettacolo Attends, Attends, Attends… Pour mon père, un nuovo assolo di danza che esplora l’arte del rinvio per Cédric Charron, eccezionale danzatore presente nei lavori dell’artista fiammingo Jan Fabre da più di un decennio.
Fabre è pittore, scultore, coreografo, performer teatrale nonché visual artist, che, con la sua compagnia Troubleyn, l’ensemble cosmopolita con cui lavora e che ha sede ad Anversa, ha inventato un linguaggio originale, una cifra stilistica immediatamente riconoscibile.
Charron e Fabre hanno collaborato nel 1999 in As long as the world needs a warrior’s soul, poi il danzatore si è anche esibito in altre produzioni del coreografo fiammingo come l’opera Tannhäuser e le produzioni teatrali Je suis sang, The Body Pianto, L’Histoire des larmes, Orgy of Tolerance e Prometheus – Landscape II.
Jan Fabre ama ispirarsi ai suoi “guerrieri della bellezza” e, infatti, nel corso degli anni ha creato diversi progetti tra cui assoli di danza e monologhi teatrali e un mix di entrambi.
Lo spettacolo cresce piano piano come il fumo che inizia a invadere e nascondere la platea nel completo buio, dove una leggera musica battente inizia a farsi sentire e un piccolo faro proietta una leggera luce calda che illumina i contorni del performer Charron al centro del palcoscenico. Vestito completamente di rosso, mima i movimenti di un rematore coadiuvato da un lungo palo-remo, finché, fermandosi, inizia a parlare col padre in uno scambio di pensieri a voce alta.
Togliendosi dalle tasche tintinnanti una delle prime monete, incomincia l’attesa per un viaggio da fare insieme. Il padre deve avere pazienza prima di commettere un ultimo salto e abbandonare il mondo dei viventi per passare dall’altra parte. Il danzatore, in realtà, assume i panni di un moderno Caronte, disposto a traghettare il proprio padre nell’aldilà, dove il tempo non ha limiti e la parola chiave diventa l’attesa o l’indugio di commettere qualsiasi scelta. “Il rinvio è seguace di tensione perché crea buchi nel tempo. C’è anche qualcosa di erotico nel rinvio: aprirsi a ciò che deve ancora venire. Ma non è ancora abbastanza.”
La danza inizia a prendere il via ma resta quasi frammentata, sgraziata e bloccata in una serie di micromovimenti, a tratti bestiali, come se il ballerino fosse incapace di controllare il proprio corpo.
La nebbia del fumo ancora imperversa sul palco e non appena svanisce in verticale, il performer torna a parlare con suo padre, esortandolo nell’attesa mentre si odono dei passi sul selciato. Il modo di danzare cambia ritmo e musica e i movimenti lentamente cambiano e si trasformano e acquisiscono maggiore eleganza solo nel finale.
Non si può nascondere come risultino più interessanti e affascinanti le parole recitate con grande passione rispetto al modo di danzare quasi extracorporeo proposto. Restano nebbiose alcune scelte troppo forti e dal significato alquanto confuso e slegato al racconto di questa particolare esibizione di apprezzabile teatro-danza.
Lodevole, invece, la scelta e l’uso sapiente delle luci che disegnano i profili del performer, creando esattamente un luogo-non-luogo che si sposa esattamente con l’idea di limbo sensoriale descritto.
La direzione e la coreografia portano la firma di Jan Fabre, la musica di Tom Tiest, la drammaturgia di Miet Martens, le luci di Jan Fabre e Geert Van der Auwera e i costumi di Jan Fabre e Andrea Kränzlin.
Lo spettacolo è una produzione Troubleyn / Jan Fabre con la co-produzione del Festival Montpellier Danse.