“L’opera è donna” allo Sferisterio 2014
di Alberto Pellegrino
1 Lug 2014 - Musica classica, News classica
Macerata. La direzione artistica di Macerata Opera Festival ha scelto per il 50° anniversario della Stagione Lirica il tema L’opera è donna che riprende in parte l’edizione del 2012 delle tre Eroine (Violetta, Mimì e Carmen). Quest’anno si punta con maggiore decisione sul tema della femminilità con due protagoniste assolute della scena lirica come Aida e Tosca, con l’ennesimo ritorno della Violetta ormai configurata come icona mitologica dalla scenografia di Svoboba e dalla regia di Brockhaus. A completamento di questo progetto si sono scelte tre interpreti di sicuro valore (Fiorenza Cedolins per Aida, Susanna Branchini per Tosca, Jessica Nuccio per Traviata). Nello stesso tempo la guida dell’Orchestra Filarmonica Marchigiana è affidata a tre direttori d’orchestra donna: l’inglese Julia Jones che ha diretto importanti formazioni italiane ed europee; la giovane sudcoreana Eun Sun Kim che in pochi anni ha vissuto esperienze musicali di rilievo, prima come direttore assistente dell’Orchestra del Teatro Reale di Madrid, poi come primo direttore dell’Orchestra Sinfonica della stessa città; l’italiana Speranza Scappucci che, dopo il diploma presso il Conservatorio di Roma, si è specializzata negli Stati Uniti, dove ha lavorato a lungo per poi ritornare a dirigere in Italia e in Europa, avendo al suo attivo un vasto repertorio tra cui occupano un posto importate alcune opere verdiane.
La stagione si apre il 18 luglio con Aida di Giuseppe Verdi per la regia del direttore artistico di Macerata Opera Festival Francesco Micheli, che si presenta al pubblico dello Sferisterio dopo i successi riportati con Bohème alla Fenice di Venezia e Otello nel Cortile del Palazzo Ducale. Composta nel 1871 su libretto di Antonio Ghislanzoni, Aida rappresenta un ulteriore svolta del Verdi “maturo” che si cimenta con le esigenze spettacolari del grand-opéra e un certo gusto per l’esotismo che appare del tutto inedito nel panorama verdiano. Il compositore introduce nell’opera una grande varietà di atteggiamenti, perché certe esplosioni di scenografia musicale si alternano a momenti d’intima finezza psicologica, con passaggi di pieno fascino teatrale dalle grandi scene collettive alla solitudine dei personaggi principali (soprattutto Aida, Amneris e Amonastro). Radames appare, al contrario, un personaggio abbastanza anonimo anche se reso celebre dalla romanza Celeste Aida di chiara intonazione popolaresca; il personaggio si riscatta nel finale dove perde la sua voce di “guerriero” per assumere delle tinte più intime. Di grande rilevanza sono invece il duetto tra Aida e Amneris e il successivo terzetto con Radames per arrivare all’aria Numi pietà, nella quale emergono tutta la pienezza sentimentale e la passionalità di Aida. La Marcia trionfale, le parate sfarzose e le danze, che sono gli elementi maggiormente messi in discussione dalla critica, non riescono a sminuire la nobiltà e l’unità di stile, la ricchezza di fantasia e la pienezza musicale di ogni parte di questo melodramma dominato da una grandiosa drammaticità, ma che ha dato “noie infinite e disillusioni artistiche grandissime”, come dice lo stesso Verdi, accusato di essere ormai succube della moda wagneriana, anche se poi l’opera avrà un suo percorso trionfale in tutto il mondo.
La seconda opera in cartellone (19 luglio) è Tosca, il capolavoro assoluto di Giacomo Puccini, composto tra il 1896 e il 1899 sullo splendido libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, tratto dall’omonimo dramma di Victorien Sardou. Lo spettacolo va in scena con la regia di Franco Ripa di Meana che, dopo un inizio come attore, ha al suo attivo importanti allestimenti in diversi teatri italiani, tra cui una Tosca che nel 2009 ha inaugurato la stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma alle Terme di Caracalla. Si tratta di un’opera-chiave nella produzione pucciniana, che gode di un successo che non accenna a dare segni di stanchezza, proprio per la stretta connessione tra forma e contenuti. In questo caso il compositore abbandona ogni tematica sentimentale di altri suoi personaggi afflitti da una mirabile sofferenza, elimina ogni traccia “lagrimevole”; cancella definitivamente la presenza dell’eroe “verdiano, perché Cavaradossi, prima con la sua voglia di godere, poi con il suo disperato addio alla vita, è più vicino a un personaggio dannunziano. In Tosca troviamo una partitura perfetta unita a un grande gusto teatrale, tagliata su misura su un affascinante personaggio femminile interpretato sulla scena di prosa dalla “divina” Sarah Bernhardt. Il teatro pucciniano, influenzato dal dramma borghese di fine Ottocento e dalla musica di Massenet, rifiuta ormai le situazioni commoventi o strazianti dominate dalle passioni ma punta su una drammaticità caratterizzata da una forte compenetrazione tra voce e orchestra, su un bisogno di recitazione musicale tesa a esprimere in pieno tutti i valori della poetica di Puccini. Tale poetica si basa sulla ricerca d’immagini e di memorie che si rivelano illusorie, secondo il culto tipico del decadentismo, liberando l’opera da ogni segno di provincialismo e conferendole la meravigliosa morbosità dell’artificio al riparo da ogni tentazione verista. Nell’opera pucciniana manca il senso della gloria, della passione, della implacabile forza della malvagità, malgrado l’autore porti per la prima volta sulla scena un personaggio crudele e abietto come Scarpia, cui Puccini conferisce una sua grandiosità. La forza di questo protagonista si manifesta non tanto attraverso i sentimenti negativi, ma con i comportamenti declamati ed esposti senza alcun pudore, che toccano il loro culmine nella profanazione di Sant’Andrea della Valle, quando Scarpia, in quella specie di “messa nera, esprime la sua voglia di possesso nei confronti di Tosca. Gioacchino Lanza Tommasi arriva giustamente a sostenere che “Scarpia e la sua libido sullo sfondo processionale del Te Deum di vittoria sono il più voluttuoso affresco del floreale italiano, una carnalità del sacro che procura pur oggi al pubblico la liceità del satanismo, il piacere di una immedesimazione proibita”.
Come terza opera in cartellone ritorna ancora una volta (20 luglio) La Traviata di Giuseppe Verdi nella ormai celebre e consacrata messa in scena di Josef Svoboda e Henning Brockhaus, che ha debuttato nel 1992. Il personaggio di Violetta è rimasto immortale nonostante sia passato attraverso mille tempeste e interpretazioni. Dopo il fiasco della prima veneziana nel 1853, si andò accreditando la tesi, avvalorata dallo storico Alessandro Luzio, che Verdi per questo personaggio si fosse ispirato all’ex cantante Giuseppina Strepponi, divenuta la sua compagna di vita dopo la morte della prima moglie Margherita Barezzi. Oggi alcuni storici, guidati da Julian Budden, sostengono che questa ipotesi sia del tutto infondata, mentre Philip Gossett assume una posizione intermedia, sostenendo che nessuna creazione artistica può del tutto prescindere dal vissuto dell’autore: “La forza della Violetta verdiana non può essere considerata del tutto avulsa dalla vita del musicista, ma, d’altra parte, il compositore non può nemmeno aver concepito Violetta come trasposizione artistica di Giuseppina Strepponi”.
La nascita di Violetta ha avuto un lungo travaglio determinato anche dal passaggio dalla realtà alla creazione artistica. Un recente saggio di Julie Kavanagh (La ragazza delle camelie, Einaudi, 2014), basato sulla vecchia biografia di Romain Vienne La verité sur la dame aux camélias, aiuta a comprendere meglio la storia reale di questo personaggio che nasce in un villaggio della Normandia con il nome di Alphonsine Plessis e che a soli 12 anni viene avviata dal padre alla prostituzione. Dopo poco tempo la ragazza, consapevole della sua notevole bellezza, fugge a Parigi, dove esercita la professione sui marciapiedi intorno alla chiesa di Notre-Dame-de-Lorette. Ben preso però, grazie a un forte temperamento e a una brillante intelligenza, la ragazzina semianalfabeta si trasforma in una splendida giovane capace di attirare nel suo salotto aristocratici, giornalisti, intellettuali, politici e imprenditori di prestigio, diventando una cortigiana ricercata e apprezzata dal bel mondo, perché rappresenta l’eccesso, il capriccio, la sregolatezza rispetto alla morale corrente. La giovane, che nel frattempo aveva preso il nome di Maria Duplessis, dilapida in pochi anni le ricchezze accumulate e muore in povertà prematuramente stroncata dalla tisi. La sua scomparsa costituisce un evento per un’intera metropoli come Parigi, tanto che nel 1847 Charles Dickens scrive: “Da diversi giorni i quotidiani hanno trascurato le questioni politiche, artistiche ed economiche. Ogni argomento impallidisce al cospetto di un incidente assai più importante: la morte romantica di una gloria del demi-monde, la bella famosa Marie Duplessis”.
Alessandro Dumas figlio, colpito da questa vicenda, scrive in pochi giorni il suo romanzo La dame aux camélias (dove Marie diventa Marguerite Gautier) che viene portato sulle scene sotto forma di dramma e interpretato da grandi attrici come Sarah Bernhardt ed Eleonora Duse. Giuseppe Verdi ha l’occasione di assistere a Parigi a una di queste rappresentazioni teatrali e ne rimane come folgorato, per cui in poco tempo compone la sua Traviata, uno dei massimi capolavori del melodramma. Il cammino da Alphonsine-Marie-Marguerete-Violetta è stato lungo e, se Dumas figlio ha conferito dignità e consistenza letteraria al personaggio, Giuseppe Verdi gli ha donato l’immortalità come giustamente sostiene Marcel Proust a proposito della Traviata: “E’ un’opera che va diritta al mio cuore. Verdi ha dato alla Signora delle camelie lo stile che le mancava”.
(Le immagini a corredo dell’articolo sono storiche e non si riferiscono alla stagione lirica dello Sferisterio 2014)