Parole incatenate: un thriller dal sapore dolceamaro
di Elena Bartolucci
26 Gen 2014 - Commenti teatro
Porto S. Elpidio (FM) – Martedì 14 Gennaio 2014, il pubblico del Teatro delle Api ha assistito alla messa in scena piena di follia di Parole Incatenate, grazie alla bravura di due noti attori come Claudia Pandolfi e Francesco Montanari, guidati dalla sapiente regia di Luciano Melchionna.
La scena prende vita in un cinema abbandonato, dove per i primi minuti dello spettacolo anche lo spettatore, come la vittima imbavagliata presente sul palco, assistono inermi al diario di uno psicopatico (Montanari), che racconta le sue sensazioni e i suoi pensieri riguardo l’uccisione della sua prima vittima.
In apparenza un uomo qualunque, un tempo uno studente brillante, che lavora presso il Ministero dell’Agricoltura, ma che è profondamente annoiato e stufo della sua vita. Da quando ha divorziato, è tornato a vivere con la madre e forse è stato questo improvviso cambiamento nella sua vita a farlo trasformare in un mostro, così diventando metafora della sua inquietudine interiore. Suo malgrado ha scoperto che non è poi così difficile uccidere una persona: donna, uomo o bambino non fa differenza e per l’esattezza ha già ucciso diciotto individui, uno al mese e sempre nello stesso giorno.
Si scoprirà solo più tardi che la donna, che sta spaventando a morte e che si appresta a diventare la sua prossima vittima, non è altro che Laura (Pandolfi), una giovane psichiatra e la sua ex-moglie. Viene costretta a rivangare molti brutti ricordi e persino a un macabro e perverso gioco ovvero quello delle parole incatenate, dove non è permesso barare e tanto meno sbagliare.
Diventa uno scambio di battute serrato che tiene col fiato sospeso per tutto il corso del racconto e, come una scatola cinese, annulla qualsiasi convinzione lo spettatore sia riuscito a creare nella propria mente, sconvolgendolo con continui colpi di scena.
La verità e la finzione sono lo stesso volto di una medaglia, che non fanno mai dare per scontato quanto è stato messo in chiaro sin dall’inizio. Il maniaco non prende solo in giro la sua vittima, ma anche il pubblico, che non sa più in cosa credere. Quando si assiste, infatti, a un reale capovolgimento di prospettiva e il personaggio di Laura sembra prendere coraggio, perché sente di non dover più aver paura dell’ex in quanto crede di aver scoperto che è tutta una messa in scena, tutto cambierà di nuovo. Proprio come le era stato promesso sin dall’inizio, sarebbe stata uccisa quando meno se lo aspettasse: forse l’unica verità detta in mezzo a quel fiume di bugie e false calunnie.
Le interpretazioni dei due protagonisti in scena hanno inizialmente stentato a decollare, ma poi sono riuscite a prendere vigore grazie al climax di emozioni sviscerate dal racconto.
La Pandolfi, in particolare, ha mostrato una voce più afona del normale e in alcuni momenti iniziali era piuttosto tirata nella sua recitazione; al contrario di Montanari che si è dimostrato alquanto credibile nei tratti più profondi e brutali dello psicopatico.
Parole incatenate non può definirsi semplicemente un thriller ma una storia che delinea in modo sottile e complesso la contorta mente di un uomo comune, che nasconde non solo bugie e storie non dette, ma anche lati oscuri e celati per tanto tempo.
Non è certo uno spettacolo semplice e tanto meno adatto ai comuni ammiratori dei due popolari attori in scena, viste le sue caratteristiche noir e anticonvenzionali, che usano un linguaggio a tratti scurrile e dai riferimenti sessuali piuttosto forti.
L’adattamento in italiano è di Pino Tierno, che ha anche saputo mantenere l’ironia e il sarcasmo del testo originale, che è stato scritto dall’autore catalano Jordi Galceran, uno degli autori e drammaturghi europei contemporanei più rappresentati al mondo, che riscosse sin dalla prima volta che fu portato in scena un notevole successo vista la forza dirompente e spiazzante dell’intreccio narrativo.
Le scene fatiscenti ma di un ottimo gusto realistico sono di Alessandro Chiti e i costumi di Michela Marino. Una menzione speciale va fatta per l’ottimo disegno luci di Camilla Piccioni, che ha saputo delineare con precisione tagliente le giuste atmosfere, creando un pathos crescente grazie anche all’ausilio delle musiche originali di Gianluca Attanaglio.