Un “Segreto di Susanna” di alta qualità


Anna Indipendente

24 Ago 2013 - Commenti classica

Paola QuagliataJESI (AN) – È la vera opera da camera, quella che si è vista a Jesi tra maggio e luglio nel cartellone della Rassegna “Concerto a Palazzo”, al cui interno i suoi appuntamenti specifici sono stati giustamente raggruppati e identificati come Festival dell’Opera da camera: “vera” non solo per l’alta qualità artistica delle sue produzioni, ma perché proposta nel modo migliore in cui tale particolare tipo di teatro in musica dovrebbe essere declinato per sua natura d’arte e anche per fedeltà al tipo di fruizione riferita alla sua stessa concezione compositiva. Gli spettacoli del Festival si caratterizzano infatti per una rara scelta di proposta che assume essa stessa un preciso stimolo culturale: i luoghi di rappresentazione delle produzioni sceniche non sono teatri, ma i “saloni della musica” dei più bei palazzi storici di Jesi, riportando in tal modo l’uso antico di assistere a spettacoli in ambienti raffinati come i palazzi stessi e in un’atmosfera di assoluta intimità con gli artisti come può avvenire solo in condizioni “di sala” -di “camera”, per l’appunto- affatto diverse da quelle di qualsiasi teatro istituzionale. Un recupero delle condizioni di fruizione d’arte e di condivisione sociale dell’evento che rimanda all’epoca pre-istituzionale del teatro d’opera, quando al suo nascere come fenomeno espressivo nei primi anni del ‘600 non esisteva ancora lo spazio teatrale deputato come lo conosciamo oggi, ma il suo luogo esecutivo era all’interno dei palazzi aristocratici: con necessità sceniche adeguate alla logistica della sala e per platee contenute, selezionate e accomunate nel privilegio del contatto diretto tra spettatori e interpreti. Una caratteristica importantissima, questa, che connota il Festival jesino come esperienza artistica e produttiva unica nel suo genere, pertanto di interesse e attenzione nazionale: considerando che le poche altre istituzioni che in giro per la penisola propongono questo genere in miniatura, lo fanno quasi sempre con magniloquenza espressiva e profusione di allestimento come se si trattasse di grand-opéra, snaturandone così lo spirito stesso della composizione. Prodotto dalla Fondazione “Alessandro Lanari” con il sostegno di Comune di Jesi, Provincia di Ancona e vari sponsor privati, il Festival –direttore artistico Gianni Gualdoni– si è articolato tra diversi palazzi antichi con appuntamenti concertistici e scenici, toccando l’apice anche logistico proprio nella parte strettamente operistica: il meraviglioso scrigno rococò di Palazzo Pianetti ha visto infatti rappresentare per la prima volta a Jesi il delizioso intermezzo Pimpinone di Tomaso Albinoni, mentre il raffinato Palazzo Colocci ha chiuso il Festival venerdì 19 luglio con una chicca novecentesca, Il segreto di Susanna di Ermanno Wolf-Ferrari, evento nell’evento perché appositamente per l’occasione è stato aperto al pubblico il piano nobile di Palazzo Colocci altrimenti non visitabile. Debuttata a Monaco di Baviera nel dicembre del 1909, l’opera era stata in scena a Jesi una sola volta, nel corso della Stagione lirica del Teatro “Pergolesi” del 1923 con il celebre baritono Benvenuto Franci: merito culturale del Festival è pertanto l’averla riproposta al pubblico del territorio dopo 90 anni di assenza, bissando in tal modo la rarità produttiva già mostrata con la prima assoluta locale di Pimpinone. Il segreto di Susanna è unLocandina de "Il segreto di Susanna" delicato capolavoro di teatro da camera che erige a modello La serva padrona di Pergolesi, ma la cui scrittura di stretta relazione fra testo, musica e gesto teatrale ne fa, secondo il celebre direttore Felix Mottl che ne diresse la prima, «l’opera più wagneriana che io conosca». Wolf-Ferrari (1876-1948) è un compositore di valore, per lungo tempo colpevolmente dimenticato sebbene importante nel panorama compositivo italiano del Novecento: ugualmente distaccato dalle avanguardie militanti come da esiti veristi, nel corso di un’intensa attività di scrittura ha trovato una sua nuova moderna e autonoma cifra espressiva; insieme alle opere su argomento goldoniano, -qui proposta nella versione per pianoforte, brillante e quanto mai intima, particolarmente adatta al luogo di rappresentazione- è un altro capitolo del lavoro dell’autore per il recupero e rilancio delle forme di nobile divertimento dell’antico “spirito italiano” del teatro, in questo caso attraverso una vicenda di ambientazione moderna. “Gil” e “Susanna” sono una coppia di giovani aristocratici appena sposati, il cui matrimonio è però messo in fibrillazione dalla gelosia di lui che teme di avere un rivale nel cuore della bella moglie; alla fine, dopo divertenti malintesi e confronti anche sanguigni con la consorte, scoprirà che Susanna cova sì un segreto, che non è però un amante bensì “il vizio” del fumo: a cui a sua volta, per amore di lei, Gil si adeguerà facendosi egli stesso fumatore. In scena, nella perfetta ambientazione “naturale” del Palazzo, una coppia di artisti di grande Carlo Moriniqualità e prestigioso nome –Paola Quagliata e Carlo Morini– che ha offerto un’interpretazione raffinata e convincente, scenicamente impeccabile e musicalmente in ruolo per entrambi, a proprio agio sia nei momenti di aperta cantabilità che nelle pagine di più difficile scrittura della partitura, che riserva passaggi di notevole difficoltà vocale. Assai incisivo Morini soprattutto nei momenti di concitazione in cui trova sfogo la tensione della gelosia, con un timbro brillante e una qualità vocale che unisce potenza e ampia tavolozza di colori espressivi; notevole la sensibilità musicale di Quagliata, sia nella dinamica incalzante del dialogo che nei momenti di delicato effluvio melodico che la partitura riserva al soprano in vari momenti di raccoglimento e intimità espressiva. Di grande efficacia la regia di Gianni Gualdoni, tanto asciutta nel racconto scenico quanto ricca e fluida nello svolgimento di un’azione che il libretto rende a volte complicata e di non facile gestione. Tutto sembrava “naturale”, quasi si guardasse da vicino un momento di vera vita privata all’interno di una coppia reale e concreta: e questo, forse, per tale tipo di opera è il miglior complimento che si possa fare ad un progetto registico. Un pubblico motivato ha gremito la sala e tributato agli artisti un consenso convinto, fatto di numerose insistenti chiamate a fine spettacolo. Menzione d’obbligo a Jacopo Mancini, adattissimo attore nei panni di “Sante”, a Giuliana Gualdoni per i costumi di notevole eleganza e raffinatezza, a Silvia Ercolani nel difficile ruolo di concertazione al pianoforte.

Il pubblico

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