Due mostre a Roma per Giorgio Galli
di Flavia Orsati
8 Gen 2025 - Arti Visive
Giorgio Galli raddoppia: due personali a Roma, sul paesaggio e sul destino, alla Casa dell’Architettura e presso la Kayros Contemporary Art.
La notte in cui stavo riflettendo sulla natura di Dio, ho percepito un’immagine. C. G. Jung – Il Libro Rosso
Giorgio Galli è un artista visuale che vive e lavora tra Genzano e Roma. La sua concezione dell’arte è incentrata sulla ripresa dell’antico in dialogo con il moderno, specie con i grandi maestri dell’Informale, nazionale ed internazionale.
Durante il periodo festivo, sono state aperte sue due mostre, a Roma: la prima, dal titolo Amor Fati, visitabile fino al 7 gennaio presso la Casa dell’Architettura, e la seconda, dal titolo Paesaggi dell’anima, visitabile fino al 26 gennaio, presso la Kayros Contemporary Art.
Amor Fati si mostra come una selezione di opere realizzate con oggetti e materiali di recupero che, travalicando la loro mera funzione di significante, si fanno dei veri e propri emblemi di linguaggi noetici, arcaici ed ancestrali. La mostra si ispira a numerosi viaggi realizzati dall’artista nel continente africano, dove si è, ancora, a contatto con una natura primigenia, ferina per certi versi, colma di sacro e di terrifico, che parla agli uomini manifestando il suo lato simbolico. Analizzando con lo sguardo le opere, emerge come l’amore del destino non sia una passiva accettazione, bensì consapevolezza di essere parte di un tutto, di un tempo che scorre e passa circolare, tra corsi e ricorsi, dove sta all’uomo cogliere la scintilla divina ed eternarla in momenti di gioia e bellezza. Il segno, in piena tradizione informale, con riferimenti all’arte di Antoni Tàpies, ci guida sicuramente in questo viaggio.
Con Paesaggi dell’anima, invece, abbiamo una ricerca, un movimento, non tanto – o non solo – nello spazio, quanto nel tempo. Il pensiero volge idealmente, ed è lo stesso artista a suggerirlo, all’Italia del Grand Tour, dove pittori come Turner prima, Courbet e Corot poi, hanno contemplato, al limite dell’estasi, le rovine e i paesaggi di un’Italia mitica, millenaria, nutrita ancora dell’afflato di Roma Antica. Questi artisti devono essersi trovati immersi in scenari dove, da un momento all’altro, ci si sarebbe potuto aspettare di incontrare delle ninfe danzanti o un corteo di satiri, all’ombra di avite tombe e templi diruti. La zona dei Castelli Romani, dove Galli vive, è costellata di laghi, di acque, di boschi e luoghi sacri a Diana. Come evidenzia egli stesso, da sempre il sacro ed il divino si sono manifestati tramite la luce. Ed è proprio questa luce, assoluta, abbacinante, ad “impressionare” gli intellettuali del Grand Tour. Dalla memoria di questa esperienza, prende le mosse la ricerca di paesaggi che siano paesaggi dell’anima, come scomposizione iconografica di forme e, soprattutto, sensazioni, a partire da dati immanenti e da un classico studio della natura en plein air. Nelle tele, di quanto si imprime nella retina, resta il dato animico, emozionale e metafisico, in un lucreziano universo formale di colori che esplodono, travalicando la nozione stessa di paesaggio, che diventa non più soggetto del quadro, ma oggetto da cui partire. Il soggetto, stavolta, è l’Io, quell’io demiurgico e metafisico dell’artista che si libra aereo tra mondi, libero di muoversi coscientemente tra tradizione e modernità, aprendo sguardi su una dimensione altra, tutta spirituale.
Sebbene la ricerca figurativa delle due esposizioni sia differente, il nucleo concettuale alla base è simile: un invito, e un tentativo, di pervenire all’elemento primordiale insito in ciascuno di noi, a quel magma incandescente ed indifferenziato da cui nacque, nella notte dei tempi, il mondo. Quel che Galli ricerca sono sempre, alla fine, paesaggi dell’anima: punti luminali in cui, prendendo le mosse dalla poeticità del dato naturale, esso si mescola con Mnemosyne, dea della memoria e madre delle Muse, che esprime, oltre al fattore mnestico, la cultura e l’immaginazione. Ecco che, allora, si ricreano nuovi cosmi, al di là di tempo e spazio, a volte pesanti, a volte lievi, astratti eppure intimamente concreti, poiché in grado di manifestare le visioni interiori.
Il paesaggio, nell’artista, diviene il luogo del gesto e della rammemorazione, che si ricollega, inevitabilmente, al concetto di rito e di salvezza. Gli engrammi che affiorano, infatti, sono simili a presenze psichiche e, in certi casi, totemiche, accompagnate, specie nelle opere esposte presso la Casa dell’Architettura, a volte dalle parole. Tuttavia, la parola, il suono, sono insiti anche nel paesaggio, nell’armonia della musica e delle sfere celesti che, con il loro movimento, hanno creato il mondo.
Ciò che emerge, in ultima analisi, da opere di tale intensità, è lo spirito del profondo, quello spirito che, junghianamente, opera al di là della contingenza limitata dello spirito del tempo, insito in qualsiasi esperienza contingente, oggetto fisico e anche materiale, compresi i più semplici e quotidiani, come pastelli e gessetti, carbone e cenere. Con mezzi simili, l’artista esprime veri e propri viaggi, nel mondo, esteriore ed interiore, e nel tempo, funzionali al ritrovamento di lacerti dell’anima e al ricordo di luoghi mai visti, sublimati ed eternati sulla tela, grazie alla potente azione che il simbolo opera sull’uomo. Il processo avviene, all’ennesima potenza, se tali luoghi sono quelli dell’infanzia, carichi di un’aura che rievoca una vita vissuta nell’infanzia, quando la morte non esisteva, e c’erano solo i colori e le stagioni, come per gli dei che, in tempi remoti, quelle terre le avevano abitate. L’occhio del fanciullo, e la sua potenza, sta proprio nel rifarsi alle immagini primordiali, quelle che Gaston Bachelard chiamava “immaginazione della materia”, che consiste nel basare la propria espressione, oltre che sui quattro elementi canonici, sulla terra. Tali immagini immaginate si presentano più come intima sublimazione di archetipi che, come raffigurazione della realtà, quale naturale risultato del dinamismo dialettico e non-oppositivo della psiche. Il processo artistico ed inconscio, quindi, procede per analogie, ritrovando il divino nel paesaggio, cosa che gli antichi erano soliti fare. Scrive, ad esempio, Seneca: “Se ti troverai davanti a un bosco fitto di alberi secolari, di altezza insolita, dove la densità dei rami, che si intrecciano l’uno con l’altro, impedisce l’altezza del cielo, l’altezza smisurata di quella selva, il mistero del luogo, lo stupore destato da un’ombra tanto densa e continua in uno spazio aperto ti testimonieranno la presenza di un Dio”. Quel Dio appartiene ai campi di forze e ai globi nebulosi si scontrano con vento e pioggia, con il sole e l’azzurro assoluto di un cielo d’estate, come scruta le energie esogene ed endogene della storia che lasciano, gestualmente, tracce di sangue sulla croce e parole nere su muri eretti dagli uomini.
Può sembrare, a tratti, difficile cogliere a fondo e una volta per tutte, le sfumature di tali luoghi della vita interiore; ma, come ricorda sempre Carl Gustav Jung, “le parole che oscillano tra non senso e senso superiore sono le più antiche e le più vere”. Lo stesso vale per le immagini.
Didascalie delle opere esposte alla Kayros Contemporary Art
Fig. 1 – I sogni negati non lasciano tracce, 2008, carbone, cenere, tempera, olio, pastelli, gessetti, cenere vulcanica, gesso alabastrino, vetroresina, carta, tavola, fil di ferro, faesite su collage, 100×80 cm, tamburato.
Fig 2 – Zamman, 1979, 1999, cenere, carbone, pastelli, tempera, olio, tempera acrilica su stoffa, 96×60 cm, tamburato.
Fig. 3 – Crateri di fuoco di sangue sul corpo della terra, 2012, cenere, carbone, tempera, gessetti, pastelli, grafite, cementite, gesso alabastrino, combustione, foto, vetro, vetroresina, stoffa, fil di ferro, carta, 100×80 cm, tamburato.
Fig 4 – Roma 16 ottobre, 1998, tempera, olio, pastelli, cenere, gesso alabastrino, tempera acrilica, spago, collage, 80×60 cm, tavola.
Fig. 5 – Achtung, Sie veriassen jetzt West – Berlin, 2013, cenere, carbone, pastelli, tempera, gessetti, fil di ferro, cartoncino su collage, 100×80 cm, tamburato.
Fig. 6 – La reliquea della santa, 2014, cenere, tempera, tempera acrilica, pastelli, gessetti, fil di ferro, vetro su collage, 80×60 cm, tamburato.
Fig. 7 – Ai martiri di Piazza S. Giovanni (Roma), 2000, olio, tempera cementite, tempera acrilica, col a cera, spago, matite colorate, grafite, cenere, carbone su tela e stoffa, 69×59 cm, tavola.
Fig. 8 – VARAIISSERG, 2002, tempera, pastelli, cenere, tempera acrilica, cementite su tela, 69×59 cm, tavola.
Fig. 9 – Sogni spezzati, 1999, carbone, tempera, grafite, olio su tavola, 96×60 cm, tamburato.
Fig. 10 – 94331, Il passato che non passa, 1998, olio, pastelli, tempera, tempera acrilica, matite colorate, filo su tela e stoffa, 69×59 cm, tavola.