“Flauto magico” di Mozart all’Opéra de Paris Bastille
di Alma Torretta
12 Nov 2024 - Commenti classica
Parigi, un prato verde per il “Flauto magico” di Mozart. All’Opéra de Paris Bastille successo dell’allestimento di Robert Carsen, sul podio la direttrice ucraina Oksana Lyniv, ottime le voci.
(Foto Charles Duprat / OnP)
Questo è il secondo allestimento che Robert Carsen ha dedicato al Flauto Magico di Mozart e per comprenderlo appieno è utile un’affermazione dello stesso regista canadese: nella sua prima messa in scena Carsen non aveva notato quante volte la parola morte è presente nel libretto di Emanuel Schikaneder ma poi, tornado a lavorare sull’opera, gli era apparsa chiara la sua centralità nel racconto. Ecco perché la scena si apre con il principe Tamino in una fossa di sepoltura, le tre dame sono vestite a lutto in nero con veletta, le prove iniziatiche si svolgeranno tra le bare, ecc. Ma non è affatto una messa in scena lugubre, anzi è particolarmente gioiosa, Carsen è riuscito a creare un perfetto equilibrio tra luce ed ombra, tra amore e morte, e alla fine sono la luce, l’amore, la gioia a prevalere.
Lo spettacolo si apre quindi con l’immagine di un bellissimo bosco e di un prato splendenti di verde, in fondo c’è una fossa in corso di scavo, oppure riaperta, ed è lì che il principe Tamino rischia di essere morso mortalmente dal serpente, ma arrivano a salvarlo le dame, divertentissime, con pistola, malgrado l’aspetto a prima vista lugubre.
La regia gioca molto sui contrasti e nel mostrare la realtà diversa da come appare a prima vista, non ci sono espliciti simboli massoni ma il percorso iniziatico è tutto iscritto e mostrato nella natura, il bosco è il tempio con le sue quattro stagioni, le foglie cadano ma poi gli uccelli ripopolano gli alberi, ci ricordano l’eterno ciclo di trasformazione.
Le bellissime scene sono di Michael Levine, semplici, eleganti, di grande efficacia, animate dai bei video di Martin Eidenberger, con le sapienti luci dello stesso Carsen e Peter van Praet. Inaspettata e di grande suggestione la scena che apre il secondo tempo, ci si ritrova dall’altra parte, sotto le fosse del cimitero, con lunghe scale che collegano i due mondi, l’esterno e l’interno, il mondo dei vivi e quello dei morti. Ma Carsen rimescola le carte anche tra il bene e il male, stravolge il manicheismo del libretto di Schikaneder, veste in nero sia Sarastro che la Regina della Notte che, infine, guidano insieme i giovani Tamino e Pamina sul cammino della virtù.
Nei costumi, di Petra Reinhardt, dominano il bianco e il nero: il bianco è sin dall’inizio il colore di Tamino e Pamina e poi anche degli iniziati, che prima però sono pure neri e velati. Papageno è invece presentato come un giovane d’oggi con zaino in spalla e borsa frigo, un po’ ridicola, invece che la prevista cesta, per tenervi gli uccelli. I costumi appaiono oggi l’elemento più debole di un allestimento, creato nel 2013 per il Festival di Baden-Baden, dopo già un primo Flauto magico firmato da Carsen nel 1994 per Aix-en-Provence, che mantiene invece nel complesso scenico e registico tutta la sua freschezza e carica innovante.
In questo lavoro Carsen gioca anche con la sala e la fossa orchestrale, due passerelle laterali collegano palcoscenico e sala, molte entrate di personaggi sono fatte dal lato del pubblico. Anche la fossa orchestrale è coinvolta perché è da là che arrivano gli strumenti per Tamino e Papageno, il flauto magico e il glockenspiel (strumento a lamelle rettangolari che suonano come campanelle). E quando abbiamo assistito allo spettacolo, nella fossa orchestrale è finito il pallone con cui giocano i tre ragazzini sul prato, vestiti di tutto punto come piccoli calciatori, pallone che infine da qualcuno da giù ha rimandato in palcoscenico.
Sul podio la direttrice d’orchestra ucraina Oksana Lyniv, dal 2022 direttrice del Teatro Comunale di Bologna, assistente di Kirill Petrenko alla Bayerische Staatsoper di Monaco e prima donna a dirigere l’orchestra del Festival di Bayreuth nel 2021 per Il vascello fantasma. Malgrado questo curriculum, la Lyniv è soltanto alla sua seconda direzione a Parigi, per la prima volta alla testa dell’Orchestra dell’Opera di Parigi in un’opera, dopo averla diretta in una serie di concerti di Čajkovskij. La sua è stata una lettura della partitura molto precisa, quasi puntigliosa, un po’ fredda, molto cadenzata, quasi militare, ma applaudita dal pubblico.
Grande successo poi pure per gli interpreti vocali: il tenore Pavol Breslik è tornato nel ruolo di Tamino che ha già cantato alla creazione nel 2014 e poi nella ripresa del 2017, e si sente che lo conosce bene e lo interpreta con grande naturalezza; una bella sorpresa poi il giovane soprano tedesco Nikola Hillebrand, dalla voce morbida e piena, nel ruolo di Pamina e la sua famosa aria “Ach, ich fühl’s” è uno dei momenti più commoventi di tutto lo spettacolo; molto brava anche il soprano di coloratura polacco Aleksandra Olczyk nel ruolo della Regina della Notte con l’ancora più celebre sua aria eseguita con grande sicurezza e precisione. Nei panni di Sarastro è sufficiente poi il basso Jean Teitgen, anche se la sua voce non è particolarmente profonda, così come il tenore Mathias Vidal è un buon Monostatos. Un’altra bella sorpresa è il giovane baritono russo Mikhail Timoshenko come Papageno, dal bel timbro brunito, artista formatisi all’Accademia dell’Opéra de Paris come la sua Papagena, il giovane soprano Ilanah Lobel-Torres. Le tre brave dame sono Margarita Polonskaya, Marie-Andrée Bouchard-Lesieur e Claudia Huckle. Pure tutti gli altri interpreti sono all’altezza, così come il coro preparato dal maestro Alessandro Di Stefano. Applausi entusiasti, con il pubblico in piedi, alla fine.
All’Opéra de Paris Bastille sino al 23 novembre.