Giacomelli cose mai viste
11 Ago 2013 - Libri
Cose mai viste di Mario Giacomelli. Può risultare spesso controproducente andare a rovistare nei cassetti di un grande artista di valore internazionale come Mario Giacomelli in cerca di ritrovamenti che potrebbero rivelarsi una scoperta critica e uno scoop mediatico. Una operazione del genere era già stata tentata, con l'assenso del Maestro, da Ken Damy agli inizi degli anni Novanta con la pubblicazione del volume Mario Giacomelli. Immagini inedite 1954/1992 (Edizioni del Museo Ken Damy, Brescia, 1993). Nell'opera erano riprodotte immagini che Giacomelli aveva ritenuto di non inserire in alcuni dei suoi famosi racconti. Pur trattandosi di inediti (quindi di opere ripescate), esse erano presentate seguendo un ben preciso percorso logico – narrativo sempre determinante in Giacomelli, tenendo conto di una altrettanto precisa collocazione temporale indispensabile per individuare il contesto storico-artistico, seguendo il più rigoroso rispetto dei generi: Nature morte e nudi; Non fatemi domande (1980-1983); Favola per un viaggio verso possibili significati interiori (1983-1984); Paesaggi. Storie di terra e Presa di coscienza sulla natura (1980-1983). Il mare dei miei ricordi (1984-1992); Io sono nessuno (1991-1992); Ritratto di un sogno. Immagini create senza motivazione apparente (1992). Nel 2005 la cinquantacinquesina edizione della Rassegna Internazionale d'Arte G. B. Salvi avviene l'incontro fra l'opera di Giacomelli e il pittore Enzo Cucchi che rende omaggio al grande fotografo senigagliese con una sezione di opere intitolata Cucchi dedica a Giacomelli. Si era trattato di un evento artistico importante, tanto che il patron della mostra di Sassoferrato Stefano Trojani aveva scritto che l'incontro delle fotografie di Giacomelli con le opere di Enzo Cucchi costituisce un momento speciale nella storia della nostra Rassegna Due grandi poeti dell'immagine sono tra noi con le loro storie, i loro voli; l'uno punta alla sintesi astratta, esalta la materia, esalta il ritmo del bianco e nero; l'altro punta al segno, illumina il segno con il colore . Lo Stesso Cucchi aveva scritto che l'opera di Giacomelli è un segno che segna , cioè un universo di segni entro il quale Giacomelli non ha mai avuto il problema delle proporzioni, che erano per lui il modo più normale di fare una foto, che era qualcosa in cui ospitare dei segni. Quando fotografava i paesaggi marchigiani era solo un voler cercare dei segni che restano (E. Cucchi). Anche in quella occasione le 50 opere esposte erano suddivise per generi nel rispetto della loro sequenzialità narrativa: Presa di coscienza sulla natura (1954-2000); Caroline Branson, da Spoon River (1971-1973); Motivo suggerito dal taglio dell'albero (1967-1969). Evidentemente Cucchi, entusiasmato da quella precedente esperienza, ha voluto inventarsi selezionatore e coordinatore di immagini giacomelliane nella mostra tenutasi nell'estate 2006 a Senigallia e nel volume pubblicato da Photology con il titolo Giacomelli cose mai viste. Se si ritorna al concetto che è sempre pericoloso mettere le mani su lavori che un grande fotografo ha evidentemente considerato degli scarti , ci si dovrebbe accorgere che molte immagini, indubbiamente di grande valore, rappresentano soltanto delle varianti di opere già pubblicate, mentre vi possono essere delle immagini che costituiscono soltanto dei tentativi malriusciti e che appaiono a volte di una imbarazzante banalità . Certamente il mondo complesso e poetico di Giacomelli è presente nel volume: la natura, i pretini, i vecchi, il mare dei suoi ricordi, Loreto Due, le giostre con i bambini, i mitici fili di ferro, gli stupendi e misteriosi ambienti urbani, l'ambigua presenza di animali e figure immerse nel paesaggio, la presenza stessa di Mario nel paesaggio fino alle ultime drammatiche e commoventi immagini della sua vita. Ma tutto appare decontestualizzato, privo di ogni ordine cronologico, collocato in modo arbitrario senza tenere in alcun conto la specificità dei generi fotografici e soprattutto quella sequenzialità narrativa che è uno degli aspetti fondamentali di uno dei più grandi fotografi del mondo, senza poi sottovalutare il fatto che alcune fotografie non si sarebbero mai dovute vedere e restare pudicamente nascoste negli archivi familiari.
Recensione di Alberto Pellegrino