“Bohème” chiude alla grande il Macerata Opera Festival


di Roberta Rocchetti

13 Ago 2024 - Commenti classica

Successo pieno per tutti da parte di una platea gremita, per la “Bohème” di Puccini che chiude, allo Sferisterio, il Macerata Opera Festival 2024.

(Foto di Luna Simoncini)

Si parla spesso, nel mondo dell’opera, dell’atmosfera delle prime, quel brulicare di pubblico e formicolante attesa, le mises, le prime impressioni, le recensioni a caldo e tutto quello che orbita intorno ad un debutto.

Meno si parla delle ultime recite di una produzione, o addirittura come in questo caso dell’ultima recita in programma dell’intero festival e allora ci si trova davanti a qualcosa di energeticamente diverso, inedito.

Come quando si è abituati a percorrere quotidianamente un sentiero al mattino in direzione est – ovest e poi un giorno per combinazione si è obbligati a percorrerlo in senso inverso ed al tramonto, provando l’impressione di camminare su una strada mai vista, cambiano i suoni, i colori, gli odori, la prospettiva visiva, si può viaggiare non solo muovendosi nello spazio ma anche nel tempo.

Così questa Bohème che chiude il 60° Macerata Opera Festival ha il sapore malinconico e dolce dei saluti, dei sipari che tremolano e sembrano prendere una rincorsa prima di chiudersi, dell’estate che seppur ancora profumata di gioventù quasi impercettibilmente declina rendendo Mimì, la protagonista dell’opera pucciniana, quasi una personificazione di tutto questo.

La regia di Leo Muscato ripresa da Alessandra De Angelis poggia sulle scene di Federica Parolini e i cromaticamente vorticosi costumi di Silvia Aymonino con l’apporto delle luci di Alessandro Verazzi riprese da Ludovico Gobbi e porta la vicenda alla fine degli anni ’60 del ‘900, quando le lotte di classe erano parte dell’utopia sessantottina, in parte rimasta tale, in parte divenuta comunque artefice di cambiamenti epocali, seppur lontani e possiamo ben dirlo in questa nostra travagliata e bellica epoca, dagli obiettivi di Peace and Love.

Il primo quadro si apre infatti sulla fredda soffitta dei quattro ragazzi che tentano con poco successo di sbarcare il lunario grazie alle proprie doti artistiche, tra bidoni in cui bruciare carta per cercare di ottenere un po’ di tepore e mobili di recupero accatastati alla bell’e meglio sboccia l’amore tra la gaia fioraia e lo scrittore.

Una regia dinamica al punto giusto ed efficace quella di Muscato, mai confusionaria neanche nelle pur affollate scene d’insieme del Caffè Momus con cambi scena a vista che sono uno spettacolo nello spettacolo.

La struggente, perforante ed emotivamente corrosiva musica di Puccini aiuta a riportare in asse il senso del tragico anche quando emergono piccole ambiguità drammaturgiche, come quella che vede Mimì nell’ultimo quadro irrompere in soffitta sospinta alla ribalta di corsa dal personale medico e paramedico, protagonista di uno sdoppiamento spaziale che la trova già sul letto ospedaliero di morte con tanto di flebo e ossigeno, scena che porta seco un cinico, involontario e brevissimo lampo di comicità subito annegato nella tragicità della devastante scena finale resa in maniera realistica e toccante.

Sul versante vocale poniamo subito l’accento sul Rodolfo di Valerio Borgioni, abbiamo avuto il piacere di vederlo sul palcoscenico praticamente al debutto proprio in questo ruolo qualche anno fa appena ventiduenne e profetizzammo un avvenire luminoso per una voce che ha mantenuto ogni promessa. Un Rodolfo perfetto nel timbro elegante e fresco, nell’emissione squillante ma mai sguaiata o auto compiaciuta, nell’interpretazione sognante e ingenua ma passionale, il tutto su un volto senza tempo che sembra una maschera teatrale pronta ad adattarsi alle diverse emozioni.

Mariangela Sicilia è dal canto suo una Mimì cangiante e convincente, con una punta di giovanile e candida malizia nel primo e secondo quadro, matura e tragica negli altri due, la gioventù e la spensieratezza così come la disperazione prendono corpo e sfumano l’una nell’altra attraverso una vocalità duttile, con pianissimi calibrati, delicati e sospesi ma corposi, tanto da permeare con decisione le file di un teatro all’aperto.

Il Marcello di Mario Cassi è spavaldo, bonario, ironico, protettivo e scaltro, ottima resa interpretativa e vocale per il baritono aretino ormai in grande familiarità con un ruolo che domina perfettamente.

Anche il Colline di Riccardo Fassi piomba da una gioventù fricchettona e riccioluta ad una vita adulta e disincantata in maniera traumatica, impegnando quella zimarra simbolo di spensieratezza e rende perfettamente l’idea di come a volte privarsi di qualcosa non sempre significa alleggerirsi e lo fa con una voce ferma, sicura, con gravi vibranti e attraversati da folate di dolore gelido.

Spavaldo, agile e pieno di indistruttibile gioventù lo Schaunard rock star di Vincenzo Nizzardo,

alla travolgente e tenera Musetta ha prestato corpo e voce Daniela Cappiello rendendo appieno la disarmata sensualità del personaggio.

Chiudono il cast Francesco Pittari come Benoit, Giacomo Medici come Alcindoro, Alessandro Pucci come Parpignol, i doganieri Davide Filipponi e Gianni Paci e il venditore di Andrea Ferranti.  

Valerio Galli, viareggino cresciuto a pane e Puccini ha grande dimestichezza col conterraneo compositore e si sente dalla direzione sicura, sciolta ed esperta, non teme niente e nessuno, soprattutto non teme di dare a Puccini quello che è di Puccini e non cerca improbabili letture revisionistiche in uno spartito che è emozione pura dall’inizio alla fine, genio compositivo ed emozione per essere precisi.

Lo sottolinea anche nell’intervista allegata al programma di sala, il sentimento, persino il sentimentalismo funziona se è ben fatto.

ĽOrchestra Filarmonica Marchigiana si è messa al servizio di Galli con la solita professionalità così come il Coro Lirico Marchigiano V. Bellini guidato da Martino Faggiani, stavolta coadiuvati dai belli e bravi Pueri Cantores D. Zamberletti seguiti da Luca Paolucci. Chiude l’apporto prezioso della Banda Salvadei.

Successo pieno per tutti da parte di una platea gremita, all’uscita si distribuivano già i programmi per il prossimo anno, che vedrà avvicendarsi, La Vedova Allegra, Macbeth e Rigoletto, a dimostrazione che dietro ogni fine germoglia un nuovo inizio.

La recensione si riferisce alla recita di domenica 11 agosto

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