“Norma” al Macerata Opera Festival
di Alberto Pellegrino
29 Lug 2024 - Commenti classica
Allo Sferisterio, per il Macerata Opera Festival 2024, è andata in scena una edizione “intimista” della “Norma” di Vincenzo Bellini. Calorosa l’accoglienza del pubblico.
(Foto Luna Simoncini)
All’interno della 60° edizione di “Macerata Opera Festival 2024”, che ha una dominante impronta pucciniana, è stata inserita la Norma di Vincenzo Bellini, indiscusso capolavoro del melodramma e massima espressione del canto nella sua espressione lirica e tragica (anche se le nostre preferenze vanno ai Puritani), un’opera complessa sotto il profilo musicale e drammaturgico.
Il retroterra culturale del melodramma
Per scrivere quest’opera, composta in soli tre mesi tra il settembre e il novembre 1831, Bellini, con il suo librettista di fiducia Felice Romani, aveva scelto come punto di riferimento la tragedia Norma ou L’infanticide di Alexandre Soumet (1788-1845), che aveva debuttato a Parigi con grande successo nell’aprile dello stesso anno.
In questa opera teatrale la religione del popolo gallico era rappresentata con tinte cupe ed era fondata sulla venerazione per Irminsul, un dio bellicoso e assetato di sangue. Il suo culto era affidato ai Druidi guidati dalla sacerdotessa Norma che svolgeva un compito di mediazione tra la volontà del dio e il popolo. Nello stesso tempo l’autore sottoponeva la religione gallica a critiche di ordine razionale e morale con un linguaggio che riecheggiava una visione della religione di matrice illuministica. Inoltre, al personaggio di Pollione era affidata la rivendicazione del libero arbitrio e il diritto di godere dei piaceri della vita, quali la gloria e l’amore con una esplicita apologia della libertà dalle costrizioni della monogamia e della paganità libertina. Per bilanciare questa situazione, Soumet condanna sia la superstizione e la violenza della religione gallica, sia la religione dei romani caratterizzata dal politeismo e dal libertinaggio che viola la sacralità dei legami familiari e il culto della famiglia che, in quel momento storico, è uno dei fondativi valori morali e politici dell’arrembante borghesia francese.
Soumet, ancora legato alla cultura neoclassica, si oppone ai romantici che esaltano l’amore-passione contro l’apologia della famiglia vista come una istituzione sociale di estrazione borghese. A conferma delle sue tesi, egli introduce il cristianesimo, rappresentato dalla nutrice Clotilde ed esaltato dalla conversione di Adalgisa, considerato la religione della pace, della consolazione degli afflitti, della protezione degli affetti familiari in simbiosi ideologica con il saggio Génie du christianisme ou beautés de la religion chrétienne di François-René de Chateaubriand (1802).
La realizzazione dell’opera da parte di Bellini e Romani
Vincenzo Bellini, che aveva uno spiccato senso della teatralità, ha chiesto a Romani di eliminare lo scontro tra le religioni incentrato sul cristianesimo e di dare all’amore familiare una connotazione laica. Lo scontro si è pertanto concentrato tra il sanguinario e spietato dio Irminsul e l’Amore visto come una divinità rivale. Il libretto del melodramma viene spogliato di ogni contenuto ideologico, per mettere al centro della vicenda il tema sentimentale, mentre la religione gallica è considerata un rituale collettivo che vede nella natura e nella luna il suo culto catalizzante e un climax che si riassume nelle tre grandi scene rituali della preghiera di pace, dell’esortazione alla guerra e del conclusivo rituale di morte.
Romani attinge inoltre all’opera Martyrs di Chateaubriand, nella quale si narrano gli amori di una sacerdotessa druidica e un condottiero romano, mentre il nazionalismo francese viene sostituito da tre elementi dal forte impatto teatrale: la figura della sacerdotessa che infrange per amore i suoi voti (già trattato nella Vestale di Spontini); il tema dell’infanticidio praticato come vendetta amorosa che discendeva direttamente dalla Medea di Euripide; il motivo barbarico dei riti druidici che cominciavano a far parte dell’immaginario romantico. La trasformazione più radicale riguarda il finale: nella tragedia francese Norma compie l’infanticidio e, divorata dai rimorsi, si getta da una rupe; nell’opera belliniana l’eterna unione degli amanti trova la sua sublimazione nel comune sacrificio che segna il trionfo dell’Amore.
L’ultima scena è la parte più originale del libretto di Romani che inventa un finale del tutto nuovo rispetto al testo di Soumet: è il momento in cui Norma confessa pubblicamente la propria colpevolezza e si appresta a morire sul rogo, rivendicando il diritto a morire a fianco dell’uomo amato (“Un nume, un fato di te più forte/Ci vuole uniti in vita e in morte. /Sul rogo istesso che mi divora, /Sotterra ancora sarò con te”). L’apologia del perdono e l’esaltazione della passione amorosa aprono la strada a quel romanticismo che d’ora caratterizzerà la storia del melodramma almeno fino al 1870.
Il melodramma, nel suo debutto alla Scala, ha subito un clamoroso insuccesso a causa delle notevoli innovazioni rispetto ai canoni dell’opera tradizionale italiana: la principale critica è stata allora rivolta all’orchestrazione giudicata troppo povera ed elementare, ma in breve tempo Norma ottiene uno straordinario successo in tutta l’Europa proprio come espressione del canto puro a volte lirico e a volte tragico, per l’assoluta purezza e linearità della partitura nella quale la vena melodica si fonde con la passione più intima.
A questo proposito Riccardo Wagner ha affermato che “il poema raggiunge l’altezza tragica dei greci antichi, le forme chiuse dell’opera italiana, che al tempo stesso Bellini nobilita ed eleva, dando rilievo al carattere solenne e grandioso dell’insieme; tutte le passioni, che vengono così trasfigurate dal suo canto”.
La Norma dello Sferisterio
La direzione d’orchestra di Fabrizio Maria Carminati e la regia di Maria Mauti si sono trovati di fronte a dover scegliere tra un’accentuazione drammatica del testo o una sua “lettura” intimistica. È stata imboccata questa seconda strada con una messa in scena quasi cameristica con tre luoghi deputati che si spostano sull’immenso palcoscenico dell’Arena per sottolineare, attraverso una estrema semplificazione e stilizzazione dell’azione, il carattere tragico e i profondi sentimenti dei personaggi. Mentre le scene di massa sono segnate da atmosfere rarefatte e intrise di misticismo (si veda l’ingresso della grande sacerdotessa, la cerimonia della raccolta del sacro vischio, l’eterea preghiera lunare), si è voluto dare forma ed esaltare il mito di Norma in un continuo confronto con gli altri protagonisti con una dominante sottolineatura musicale e canora dei grandi duetti e terzetti dell’opera (il duetto Pollione e Adalgisa; Va’, crudele, al Dio spietato; Sola, furtiva, al tempio; il terzetto tra Norma, Adalgisa e Pollione; il duetto di Norma e Adalgisa con la splendida aria Mira, o Norma, ai tuoi ginocchi questi cari pargoletti; i duetti tra Norma e Pollione In mia man alfin tu sei e Qual cor tradisti, qual cor perdesti).
Lo spettacolo è stato valorizzato dalle belle e sofisticate luci di Peter van Paert, dai costumi di Nicoletta Ciccolini caratterizzati da una sobria armonia cromatica (forse l’unico possibile appunto è un impiego delle immagini appena accennato, che forse poteva essere utilizzato con maggiore efficacia).
Quanto agli interpreti va segnalata la valida presenza del Coro Bellini, l’efficace e passionale interpretazione del tenore Antonio Poli (Pollione) affiancato dal basso Riccardo Fassi (Oroveso). Discorso a parte meritano le due protagoniste femminili: il soprano Roberta Mantegna ha confermato le due doti canore e interpretative nel tratteggiare il personaggio di Adalgisa; al soprano marchigiano Maria Torbidoni, che a nostro avviso non è un soprano drammatico ma lirico, va riconosciuto il grande merito di aver fatto ricorso al suo notevole bagaglio tecnico-canoro per affrontare il personaggio di Norma, conferendole una sacrale presenza fisica, la passionalità di un amante, una vasta gamma di sentimenti che vanno da quelli materni a quelli di una donna dalla grande generosità e dignità nell’affrontare il supremo sacrificio della vita.
Un successo decretato dalla calorosa accoglienza del pubblico.
Davvero una bella lettura dell’opera…nobile e complessa