“L’arte della gioia”, un film di Valeria Golino
di Alberto Pellegrino
26 Giu 2024 - Commenti cinema
Pubblichiamo la recensione del film “L’arte della gioia” di Valeria Golino, tratto dal romanzo di Goliarda Sapienza.
Valeria Golino, dopo avere esordito nella regia con i due validi film Miele (2013) ed Euforia (2018), tenta ora la strada del serial televisivo con un’opera che per qualità estetica e contenutistica si alza al di sopra della media nazionale dei prodotti TV, paragonabile a Esterno notte (2022) di Marco Bellocchio e, per alcuni aspetti, a Briganti di Steve Sain Lager, Antonio La Fosse, Nicola Sorcinelli (2024).
Per questo esordio televisivo la Golino ha scelto L’arte della gioia, l’impegnativo e complesso romanzo “maledetto” di Goliarda Sapienza (1924-1996), apprezzata attrice degli anni Cinquanta-Sessanta, ma scrittrice di valore soprattutto per questo suo romanzo capolavoro, scritto tra il 1967 e il 1976, riscoperto e rivalutato solo nel 2008. Si tratta di un’opera vigorosa, irregolare, inclassificabile secondo i tradizionali canoni della narrativa italiana: una epopea popolare e aristocratica che mescola il genere storico, il feuilleton e il noir, l’analisi sociologica, psicologica e politica di un periodo storico che va dal 1909 fino al secondo dopoguerra. L’autrice racconta, senza falsi pudori, con un linguaggio a volte crudo, l’ascesa sociale di una ragazzina-giovane donna- matura aristocratica che usa qualsiasi mezzo anche al di fuori della morale corrente e dei tradizionali ruoli femminili radicati nella Sicilia del primo Novecento.
In questo romanzo di formazione a tinte gotiche, nel quale si contrappone la vita agreste con l’agiatezza e l’agiatezza della nobiltà, la protagonista sfrutta le logiche più convenzionali della società patriarcale per perseguire un disegno di libertà, per svincolarsi dall’oppressione di un’esistenza che altri hanno stabilito per lei, per una persona in grado di conquistare, anche in modo spietato e determinato, la propria indipendenza culturale, finanziaria e sessuale. Per questo e per un’altra serie di motivi l’opera non è stata accolta con favore negli anni Settanta ed è stata addirittura definita da un critico un mucchio di iniquità. “Col tempo, la critica più avveduta provvederà a mettere in luce gli aspetti stilistici e strutturali. Magari finirà con lo stabilire che Modesta è il personaggio femminile più vivo del nostro Novecento. Goliarda scriveva come leggeva, da lettrice, scriveva per i lettori più puri e lontani, con abbandono lucido e insieme passionale, affettuoso e sensuoso, attenta ai battiti cardiaci di un’opera, più che ai concetti e alle forme”, come sostiene Angelo Pellegrino, il marito di Goliarda, nella prefazione del volume pubblicato da Einaudi.
Le scelte della regia e della sceneggiatura
Valeria Golino ha scelto con coraggio quest’opera cinematografica-televisiva che per ora è andata nella sale di proiezione sotto la forma di un film diviso in due parti di oltre cinque ore e mezzo, prima di essere trasmesso in sei puntate da Sky e su NOW in streaming. L’opera è stata liberamente tratta dall’omonimo romanzo di Goliarda Sapienza avvalendosi della valida sceneggiatura di Luca Insfascelli, Francesca Marciano, Valia Santella e Stefano Sardo, con il contributo di Nicolangelo Gelormini (che ha diretto il quinto episodio), con l’efficace e raffinata fotografia di Luca Merlini, le bellissime scenografie di Luca Merlini, i magnifici costumi di Maria Rita Barbera e le affascinanti musiche dell’islandese Tóti Guðnason.
Il film si avvale di un cast d’eccezione per professionalità e grandi capacità interpretative a cominciare dalla giovane e sorprendente Tecla Insolia (un’affascinante e ambigua Modesta), al cui fianco troviamo Jasmine Trinca nelle vesti della tormentata Madre Superiora Leonora sempre in bilico tra spiritualità e sensualità; Alma Noce che interpreta Beatrice, la giovane figlia di Leonora e quindi la nipote della principessa Brandiforti; l’irreprensibile Guido Caprino nei panni del gabellotto Carmine; Lollo Franco nel ruolo tragicomico di Antonio il maggiordomo; Giovanni Calcagno che interpreta il giardiniere del convento; infine una “monumentale” Valeria Bruni Tedeschi, che “disegna” una irresistibile Principessa Gaia Brandiforti.
Delle quattro parti che compongono il fluviale romanzo di Goliarda Sapienza, la Golino ha saggiamente scelto la prima e seconda parte che vanno dall’infanzia di Modesta fino al suo insediamento nel palazzo principesco di Catania in un periodo storico che va dai primi anni del Novecento fino all’inizio e alla fine della prima guerra mondiale, quando la società anche in Sicilia è formata da un universo femminile, perché tutti gli uomini validi sono stati spediti al fronte da cui torneranno in una bara o segnati da gravi malattie e mutilazioni.
La narrazione si snoda tra colpi di scena, amori sfrenati con uomini e donne, stanze di palazzi che nascondono segreti “gotici”, omicidi seriali ed eredità su cui mettere le mani in un racconto intessuto da forti sensazioni, traumi violenti e improvvise dolcezze. Forse per la prima volta, in questi ultimi anni, siamo di fronte a un film che non accetta nessun dogma per la rappresentazione della donna, che adotta una “semplificazione” della Storia senza cadere mai nella superficialità o in false interpretazioni, senza forzature ideologiche, mentre la Grande Guerra è la protagonista che incombe sullo sfondo dell’intera vicenda, nella quale compare anche la terribile pandemia della “Spagnola”.
Nel film si fondono in modo efficace una narrazione dall’impianto drammaturgico classico con un linguaggio filmico ultramoderno segnato da un continuo chiaroscuro che determina il percorso della protagonista nella sua affascinante ambiguità e di tutti gli altri personaggi, un percorso nel quale s’inseriscono numerosi flashback che riguardano episodi decisivi dell’infanzia di Modesta (la violenza subita dal padre, la morte della capra, l’importante rapporto con il piccolo Tuzzu), seguiti da momenti cruciali della sua seconda vita, nella quale assumono una particolare importanza il ricorrente ma mai banale riferimento all’ombra che spesso accompagna l’incedere di Modesta; oppure la carrellata evocativa nel campo al bordo strada, dove appaiono i morti che la giovane si è lasciata dietro di sé nell’incendio della casa di famiglia dove perdono la vita la madre e la sorella disabile, nel convento, nella villa principesca.
Vita, opere e amori di Modesta
Il film racconta la vita drammatica e avventurosa, gli amori e le azioni violente di Modesta, nata in Sicilia il primo gennaio del 1900 da una famiglia povera, in una terra ancora più povera, animata fin dall’infanzia da un insaziabile desiderio di conoscenza, di amore e di libertà, per cui è pronta a compiere qualsiasi cosa pur di perseguire la felicità e il potere, senza doversi piegare alle regole di una società oppressiva e patriarcale di cui sembra prigioniera. Dopo aver subito una violenza sessuale da parte del padre a soli nove anni, un tragico incidente la lascia priva di una famiglia, per cui viene accolta in un convento e, grazie alla sua intelligenza e caparbietà, diventa la protetta della Madre Superiora. Il suo cammino la conduce poi alla villa della Principessa Brandiforti, dove si rende indispensabile e sempre più potente, perché viene accolta dalla principessa attratta dal fascino misterioso di questa giovane fino a nominarla amministratrice dei suoi beni e farla infine entrare a far parte della famiglia.
Questo incessante percorso di emancipazione si accompagna a una maturazione personale e sessuale che la portano ad avere rapporti con la giovane Beatrice, l’autista e il “gabellotto” di casa. Modesta varca continuamente e con disinvoltura il confine tra il lecito e l’illecito, a conquistare giorno dopo giorno il diritto al piacere e alla gioia, a costruire il suo futuro secondo un preciso disegno fondato su una insaziabile curiosità e una indomabile ambizione, equamente divisa tra sfrontatezza e dolcezza, caparbietà e disinvolta spregiudicatezza. Modesta riesce a capire le debolezze delle persone, le loro frustrazioni, i desideri più ambigui e segreti per trarne un vantaggio personale in un continuo balenare di luce e tenebre, candore e sussulti di desideri sessuali che esplodono con forza vertiginosa, sempre in bilico tra lecito e illecito, servendosi del corpo per il suo piacere e per la sua scalata sociale. La protagonista è al centro di un percorso d’emancipazione che ribalta o distrugge le regole tradizionali, che sovverte l’ordine di una società oppressiva, compiendo qualsiasi azione anche delittuosa con grazia femminile, senza mai pentirsi, senza mai guardare indietro ed è proprio questo lato oscuro e torbido del personaggio a renderlo affascinante e coinvolgente.