“L’elisir d’amore” bellissimo al Teatro Regio di Parma


di Roberta Rocchetti

27 Mar 2024 - Commenti classica

L’opera di Donizetti andata in scena al Teatro Regio di Parma è stato un pieno successo. Dalla regia di Daniele Menghini alla direzione musicale Sesto Quatrini, alle splendide voci di Francesco Meli, Nina Minasyan, Lodovico Filippo Ravizza e Roberto DeCandia, tutto ha contribuito ad uno spettacolo esemplare.

(Fotografie di Roberto Ricci)

Se ci chiedessero in quale mondo ideale vorremmo vivere per quello che ci riguarda diremmo che quello creato al Teatro Regio di Parma da Daniele Menghini per L’Elisir D’Amore di Gaetano Donizetti e a cui abbiamo assistito nel pomeriggio di domenica 24 marzo si piazzerebbe decisamente in pole position.

Ci è piaciuto moltissimo il lavoro di Menghini, coadiuvato dai bellissimi costumi di Nika Campisi e dalle scene di Davide Signorini illuminate dalle luci di Gianni Bertoli.

Tutto sembra crearsi da un desiderio di Nemorino che, come Pigmalione, sogna che la marionetta con le sembianze di Adina che ha costruito con le sue mani possa prendere vita e quando succede insieme a lei prende vita anche un popolo di personaggi onirici e fiabeschi, personaggi fatti uscire dalle pagine odorose di pino di Collodi, alcuni tal quali, altri curiosamente mescolati, come il grillo parlante che è in parte anche strega e in parte fata turchina,  silenziosa e inquietante attraversa imperiosa il palco rosicchiando voluttuosamente una gamba di burattino. Ma si vedono anche re farlocchi dalle corone sbilenche, un bellissimo pingue Cupido, ballerine e manichini imparruccati, Giannetta è una bambolina con tanto di gancio in testa pronta per essere appesa.

 Poi burattini che sono alter ego dei protagonisti e burattinai (in questo caso Daniela e Giordano Ferrari della famiglia omonima che da generazioni tira i fili che danno vita a queste affascinanti creature e a cui Parma ha dedicato un museo a pochi passi dal teatro che vi consigliamo caldamente di visitare).

Sul palco in un turbinio da Luna Park si aggira tutto quello che è la radice della nostra cultura di narrazione popolare, spesso orale, le fondamenta stesse del teatro, protagonisti ed antagonisti tutti guidati da un’enorme mano: il Fato.

A volte in presenza di regie che richiedono un così alto numero di soggetti in scena che agiscono contemporaneamente in quadri diversi abbiamo lamentato una certa dispersione dell’attenzione rispetto alla narrazione principale, ma questa volta tutto ci è sembrato incastrato perfettamente in un meccanismo volutamente sovraccarico, nel quale ogni elemento aveva la sua bizzarra ragione d’essere, ingranaggio di un orologio felicemente impazzito ma preciso.

Sul versante vocale diverse piacevoli conferme e altrettanto piacevoli scoperte, partiamo dal Nemorino di Francesco Meli che ritorna nei territori donizettiani dopo diverse avventure in quelli verdiani. Si sente il mestiere, Meli domina un ruolo che gli è vocalmente congeniale senza difficoltà e raggiunge lo zenit con Una furtiva lagrima che tira giù il teatro obbligandolo ad un bis generosamente concesso.

Garbata e corretta l’Adina di Nina Minasyan, il soprano armeno possiede una voce non di grandissima potenza, tanto che durante il primo atto è sembrata a tratti essere sovrastata dall’orchestra ma ha un timbro piacevole e agilità ben studiate.

Una bella scoperta dicevamo il Belcore di Lodovico Filippo Ravizza sciolto in scena, vocalmente stentoreo, timbro brunito e gagliardo come si conviene al soldato donnaiolo, avremo modo di applaudirlo in futuro.

Abbiamo lasciato per ultimo Dulcamara, ma certo last but not least come dicono gli inglesi, e proprio perché per certi versi riteniamo il simpatico e furbissimo ciarlatano il vero protagonista dell’opera e mai come in questo caso dove un Roberto De Candia in stato di grazia ha offerto un personaggio memorabile, dall’aspetto rubato ad una delle marionette dei Ferrari, quel Bargnocla (Bernoccolo) che svetta in una delle teche del museo, ha trascinato il pubblico in una interpretazione scoppiettante, vocalmente indefettibile, dal livello interpretativo eccelso.

De Candia è Dulcamara.

La direzione di Sesto Quatrini che ha guidato l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna è apparsa ligia alle disposizioni di Donizetti pur con qualche licenza poetica per sottolineare o enfatizzare spicchi di drammaturgia secondo la visione del direttore, abbiamo trovato la sua direzione sobria e funzionale alle caratterizzazioni vocali dei protagonisti.

Chiude il cast la buona Giannetta di Yulia Tkachenko e il sempre ottimo Coro del Teatro Regio di Parma guidato da Martino Faggiani.

Concludendo, per quello che ci riguarda questo è quello che vorremmo trovare a teatro, magia, bellezza, fiaba, (non sempre necessariamente in opere a lieto fine), sogno.

Certo non sempre è possibile, non sempre chi “fa teatro” vuole esprimere questi concetti, non sempre il pubblico lo desidera, ma quando come in questo caso le volontà si incontrano nascono alchimie (a proposito di elisir) che restano per molto tempo a propagare buone vibrazioni nei luoghi e nelle anime che hanno assistito al felice esperimento.

E come Donizetti ci dice attraverso Dulcamara “Prediletti dalle stelle io vi lascio un gran tesoro”.

Gliene saremo sempre grati. Superfluo sottolineare il grande successo di pubblico che ha salutato la carovana a fine spettacolo.

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