La “Marchigianità” raccontata attraverso la settima arte


di Elena Bartolucci

6 Dic 2023 - Commenti cinema, Commenti teatro

Grazie a 5 cortometraggi, Lagrù ha tracciato una descrizione dettagliata di cosa significa essere marchigiani. Interventi di Piero Massimo Macchini, Riccardo Minnucci e Matteo Berdini.

Sant’Elpidio a mare (FM) – Sabato 2 dicembre, presso l’Auditorium Graziano Giusti del piccolo comune fermano, l’Associazione Lagrù ha proposto una nuova formula per aprirsi a nuovi orizzonti oltre al teatro e alla comicità.

Una formula decisamente interessante e fuori dagli schemi, rispetto a molte altre proposte culturali nella provincia, che ha fornito numerosi spunti per riflettere soprattutto sul concetto di Marchigianità.

La serata è stata patrocinata dalla Regione Marche, dato che è proprio grazie a un bando regionale per festival e rassegne cinematografiche che l’associazione ha vinto il budget per acquistare un nuovo schermo su cui ha proiettato alcuni cortometraggi: cinque filmati di diversa durata e stili completamente differenti hanno cercato di illustrare cosa significa essere marchigiani e non solo.

Piero Massimo Macchini ha abbandonato la sua immagine di one man show per una sera e ha usato la sua ben nota comicità per regalare alcuni sprazzi divertenti, spiegando, a modo suo, come i marchigiani tendono a mantenere un certo livello di serietà, perché non vogliono sfoggiare troppo la propria felicità. Preferiscono infatti far vedere che sono infelici “ma co’ li sordi”.

Quando la parola è passata a Riccardo Minnucci, il pubblico è stato guidato attraverso un piccolo vademecum per apprezzare al meglio la serata: sono stati snocciolati diversi riferimenti e aneddoti cinematografici di cui sono state fatte vedere velocemente alcune pillole in modo da dare qualche riferimento in più su come è stato rappresentato il marchigiano nel cinema. Difficile, se non quasi impossibile, sradicare uno stereotipo così radicalizzato sullo schermo. La nomea brutta legata alla figura del marchigiano è rimasta infatti ancorata al passato di un racconto di una regione utilizzata comunque come location di grandi classici del cinema neorealista (Ossessione di Luchino Visconti – 1942, ambientato ad Ancona).

Molte pellicole hanno tentato di raccontare le Marche e i suoi abitanti ma nessuno ci è mai riuscito per davvero. Spesso, infatti, i marchigiani vengono confusi con umbri o laziali di provincia e la stessa regione viene ritratta come un luogo di confine e confino (ad es. Un poliziotto scomodo di Stelvio Massi – 1978, ambientato a Civitanova Marche).

Il nome al plurale della regione descrive alla perfezione i numerosi e variegati accenti che la contraddistinguono. Peccato, però, che quasi mai siano stati interpretati da marchigiani doc o siano stati azzeccati con precisione i riferimenti alla città o alla provincia.

Ma per l’esattezza, come viene rappresentato il marchigiano al cinema? Quasi sempre si tratta di un personaggio sempliciotto e poco scafato nella vita (ad es. Straziami, ma di baci saziami di Dino Risi – 1968), che proviene principalmente da Ancona, Macerata, Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto. Vengono infatti tralasciate completamente tutte le varietà di dialetti delle comunità montane più interne o della parte più a nord che, da sempre suo malgrado, viene inevitabilmente agganciata alla Romagna. La percezione di veder rappresentata una persona zotica senza un vero e proprio spessore diventa con il passare del tempo la vera cifra comica della caratterizzazione del marchigiano.

Piero Massimo Macchini

Come giustamente spiegato da Macchini nel suo secondo intervento, il vero marchigiano si vergogna di esserlo e per questo accetta di esser rappresentato come una persona tonta, dal modo di parlare buffo, ossia quella cantilena musicale che unisce il dialetto stretto (quasi sempre maceratese) all’italiano.

Per sua natura, il marchigiano non vuole farsi conoscere al di fuori della propria terra ed è stato proprio attraverso il web (ad es. Il doppiatore marchigiano o Degrado postmezzadrile) e la libertà di esprimersi che ne è derivata, che è stato possibile invece sdoganare la simpatia legata alla paura dei marchigiani di farsi conoscere per quello che sono davvero.

Con l’ultimo intervento di Matteo Berdini, il pubblico è stato traghettato verso una visione più critica delle immagini e scelte registiche dei singoli cortometraggi di cui è stato dato un piccolo sunto con annessa spiegazione tecnica a livello narrativo prima di ciascuna proiezione:

  • Arturo di Stefano Teodori
    La storia scarna ma intensa di significati, giocata moltissimo sui primi piani e su lunghissimi silenzi, è legata alla vicenda di un uomo che perde il suo maiale Arturo.
  • Roots di Andrea Giancarli
    Più che un cortometraggio è un vero e proprio videoclip promozionale del territorio marchigiano. Grazie a tecniche elaborate che ricordano quasi quelle usate a livello pubblicitario, i classici stereotipi culinari e culturali vengono completamente svecchiati.
  • Mea vox di Marco Mondaini
    Si tratta dell’unico cortometraggio che esula dal discorso di identità marchigiana, ma che riesce comunque a raccontare uno spaccato culturale e ideologico in modo molto leggero.
  • Low budget, Attore Cane di Nicola Brunelli
    La storia non prende di petto la questione identitaria del marchigiano, ma lo stesso arco narrativo del racconto viene impostato come una barzelletta surreale.
  • Gli Ultimi saranno i Mimi di Matteo Berdini
    La storia cerca in modo ambizioso di prendere del materiale biografico e raccontarlo in chiave comica-drammatica. Un piccolo spaccato sul percorso di Piero Massimo Macchini fin da quando da bambino faceva il mimo a Natale per la famiglia e poi affermarsi da grande come comico entrando a far parte del mondo della tv nazionale, che però si trasformerà suo malgrado in una prigione. Un racconto familiare e fantastico al tempo stesso in grado di smuovere diverse emozioni puntando a valorizzare un prodotto nonché un personaggio decisamente glocal.

La freschezza, la particolarità e l’ironia, con cui ciascun regista è stato in grado di offrire un diverso spaccato culturale e linguistico per far emergere soprattutto la figura del marchigiano, hanno permesso a ciascuno degli astanti in sala di vedersi con occhi diversi in quanto appartenenti alla stessa regione di riferimento.

Il principale consiglio che è stato dato a inizio serata era proprio quello di vedere e apprezzare ogni corto senza presupposti o pregiudizi, perché, di fondo, non bisogna vergognarsi di essere marchigiani.

Auspicando che le successive date di questo spettacolo così sfaccettato e interessante possano registrare un maggior numero di persone in sala, vanno sposate a pieno le parole finali di Macchini sull’auspicio di portare di più le Marche in giro e far conoscere e apprezzare maggiormente il territorio, che merita di essere scoperto e valorizzato per quello che è veramente.

Qui sotto le altre date dello spettacolo:

Lagrù è un’associazione culturale e di promozione sociale, una fucina creativa che ama, promuove e coltiva l’arte, lo spettacolo e le molteplici forme d’espressione che guizzano nell’aria. Teatro stabile della risata, umorismo, letteratura, espressione teatrale, comicità, teatro di figura, improvvisazione, magia, visual comedy: un variopinto contenitore di allegria e leggerezza che spazia dalle rassegne ai singoli eventi, fino ad arrivare agli appuntamenti nazionali e internazionali, come il “Marche Comedy Record” o il festival “I Teatri del Mondo”.

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