“Carmen”, l’accoppiata “cinema-melodramma” al Macerata Opera Festival
di Alberto Pellegrino
18 Ago 2023 - Commenti cinema, Commenti classica
Il mito di Carmen, donna libera e ribelle, nei film di Cecil De Mille e Charlie Chaplin, al Macerata Opera Festival, per l’accoppiata cinema-melodramma, con la proiezione dei due film nel Teatro Lauro Rossi.
(Foto di Marilena Imbrescia)
È presente anche quest’anno a “Macerata Opera Festival” l’intelligente accoppiata “cinema-melodramma”, che già aveva funzionato nella precedente edizione con Rapsodia satanica con musiche di Mascagni e Il circo, il film di Charlie Chaplin proiettato insieme ai Pagliacci di Leoncavallo. In questa stagione la scelta è caduta sulla Carmen di Bizet, seguita da Carmendanza di Antonio Gades e Carlos Saura (purtroppo non andata in scena per il maltempo) e Carmenfilm con la proiezione dell’11 agosto nel Teatro Lauro Rossi di due film.
La Carmen di Cecil De Mille
Per prima è stata proiettata la Carmen di Cecil De Mille (1915), che può essere considerata uno dei primi esempi di kolossal nella storia del cinema americano; basti pensare che per la sola sequenza della corrida nell’arena sono state impiegate ben 10 macchine da presa (sotto la supervisione della Society for the Prevention of Cruelty to Animals). Si tratta della quindicesima opera di una filmografia formata da 70 opere, della quale per molto tempo si era perduta ogni traccia per poi essere ritrovata e restaurata. Il film, ispirato alla novella di Prospero Mérimée, ha una colonna sonora realizzata da Hugo Riesenfeld sulle musiche di Bizet. Nel 1995 è stata restaurata dal M° Timothy Brock, che ha efficacemente diretto l’Orchestra Filarmonica Marchigiana. Il ruolo della bella gitana libera e volubile, della quale s’innamora Don Josè (l’attore Pedro de Cordoba), è stato affidato alla cantante Geraldine Farrar, prima donna del Teatro Metropolitan di New York, la quale ha cercato di entrare nel personaggio di Carmen con sguardi languidi e provocanti, con movenze alquanto stereotipate. Il New York Tribuna ha allora osannato la sua interpretazione giudicata “ammirevolmente adatta allo schermo e le sue espressioni facciali sono eccellenti”, mentre il Motion Picture Magazine ha giudicato il film come “il trionfo di superba recitazione e di magnificante scenografia, il più interessante esempio della nuova arte di photoplay”.
Oggi l’opera, pur tenendo conto della dovuta contestualizzazione storica, presenta notevoli limiti nella sceneggiatura, nei costumi, nella recitazione e soprattutto nelle tecniche di ripresa, visto che, sempre nel 1915 David Wark Griffith dirige il suo capolavoro Nascita di una nazione, seguito da almeno tre opere straordinarie come Intolerance (1916), Giglio infranto (1919) e America (1924). Griffith si afferma come il “regista”, cioè una figura professionale presente sul set per dirigere l’operatore alla macchina da presa. Griffith è inoltre considerato il primo “narratore invisibile” capace di raccontare al pubblico una storia di sole immagini, sostituendo il narratore presente in sala durante le proiezioni. Con lui nascono le diverse specializzazioni professionali (regista, operatore, sceneggiatore, fotografo, montatore, attori) e il cinema diventa un’arte collettiva. Griffith è anche l’inventore di un nuovo linguaggio cinematografico, perché per primo codifica una terminologia tecnica: la singola inquadratura, assimilabile a una parola; la scena intesa come insieme di inquadrature, assimilabile alla frase; la sequenza intesa come insieme di scene, assimilabile a un paragrafo.
Prima di lui esisteva già una “grammatica” del cinema costituita da soggettive, uso del carrello (Giovanni Pastrone), panoramiche, dissolvenze e primi piani, ma Griffith ha il merito di avere messo a punto un “sistema retorico narrativo” basato su un linguaggio universale tale da comprendere tutte tecniche precedenti, dando a ciascuna un significato e un uso precisi.
Infine, il primo piano diviene con Griffith lo strumento fondamentale per costruire psicologicamente un personaggio, in modo che i volti esprimano tutta una gamma di emozioni, non siano più lo specchio delle semplici fattezze, ma mostrino gli stati d’animo e l’anima dei personaggi. Il regista americano è stato anche il primo a impiegare il “montaggio narrativo”, usando sia il montaggio classico, sia il montaggio alternato e parallelo.
La Carmen di Charlie Chaplin
Il secondo film della serata è A Burlesque on Carmen, un piccolo capolavoro diretto e interpretato da Charlie Chaplin, al suo fianco la bella Edna Purviance interpreta Carmen. Si tratta della parodia della Carmen di Cecil De Mille, realizzata pochi mesi prima sempre nel 1915.Visto il successo di pubblico e di critica riscosso pochi mesi prima dal precedente film, Chaplin decide di realizzare una parodia dell’opera utilizzando le scenografie e i costumi usati da De Mille.
Chaplin, che aveva già realizzato dodici film, realizza questa breve opera film (31 minuti) che è uno delle meno conosciute del grande attore-regista che scrive la sceneggiatura e interpreta il personaggio del protagonista. Da parte sua Edna Purviance entra nel personaggio di Carmen con estrema disinvoltura senza cadere in quegli atteggiamenti e gesti stereotipati allora di moda. John Rabdo è un grottesco Escamillo e Leo White è Morales, l’ufficiale dei dragoni con cui Chaplin ingaggia un mitico e spassosissimo duello.
Il film ha una vita abbastanza travagliata, perché la casa di produzione Essanay lo rielabora con una versione più lunga (quattro rulli) chiamata Charlie Chaplin’s Burlesque on Carmen, nella quale sono stati aggiunti filmati scartati e nuove scene, inserendo una sotto-trama sul personaggio di uno zingaro interpretato da Ben Turpin. Chaplin ha sempre giudicato in modo negativo questa versione difettosa nel ritmo e nella continuità narrativa rispetto a quella serrata ed efficace della sua versione (di soli due rulli), ritenendo che essa tradiva la concezione iniziale dell’autore.
La storia inizia con l’affascinante Carmen, una zingara che viene assoldata per sedurre Darn Hosiery, il goffo ufficiale dei dragoni, incaricato di sorvegliare uno degli ingressi della città di Siviglia, per consentire ai contrabbandieri di passare indisturbati la dogana. Il loro capo prima cerca di corrompere l’ufficiale, che prende i soldi ma si rifiuta di far entrare le merci di contrabbando. Carmen invita l’ufficiale nella locanda di Lillas Pastia, dove lo seduce. La giovane lavora in una fabbrica di tabacco e, dopo una rissa con le sue compagne, viene arrestata dall’ufficiale che la lascia scappare. Nella locanda Darn Hosiery uccide un ufficiale, anch’egli innamorato della zingara, per cui è costretto a fuggire e ad unirsi alla banda dei contrabbandieri. Carmen incontra il famoso torero Escamillo, se ne innamora e lo accompagna ad una corrida (straordinario per comicità l’arrivo della coppia a Siviglia su di uno scassato carretto tirato da un cavallo e da un asino). Darn Hosiery aspetta la sua ex amante e, quando lei dice di non amarlo più, la uccide. A questo punto Chaplin inventa uno dei primi esempi di rottura della “quarta parete”, perché si rivolge al pubblico attraverso la cinepresa: i due personaggi risorgono miracolosamente e Chaplin mostra al pubblico il finto coltello di scena del finto femminicidio, sorridendo in macchina insieme alla sua attrice. Durante il restauro del 1999 eseguito da David Shepard, essendo perdute le musiche originali di Hugo Riesenfeld, la colonna sonora è stata composta da Robert Israel; una seconda colonna è stata commissionata a Timothy Brock dal Teatro de la Zarzuela de Madrid ed è stata pubblicata nel 2013 dalla Cineteca di Bologna. Il Maestro Brock si è basato sulla musica originale di Bizet senza sovrapporre ulteriore comicità musicale alla comicità cinematografica di Chaplin e ha preferito affidare gli effetti comici agli stilemi dell’orchestrazione tipica degli anni Venti. Con l’impiego del materiale ritmico e melodico di Bizet, ha voluto interpretare (direi con successo) lo spirito comico di Chaplin, dirigendo questa colonna sonora con grande energia e maestria alla guida della Filarmonica Marchigiana.