Magistrale Andrea Pennacchi in “Una piccola Odissea” a Urbisaglia
di Alberto Pellegrino
24 Lug 2023 - Commenti teatro
La piccola Odissea scritta e interpretata da Andrea Pennacchi ha chiuso in bellezza la stagione all’Anfiteatro romano di Urbisaglia.
Il pubblico delle grandi occasioni ha affollato il 21 luglio l’Anfiteatro romano di Urbisaglia richiamato dallo spettacolo che ha chiuso la XXV edizione dei Teatri Antichi Uniti e che, con la sua qualità, ha riscattato la poco felice esperienza di una Apologia di Socrate che non ha convinto gli spettatori presenti nel precedente appuntamento.
Ben diverso lo spessore del terzo avvenimento teatrale che ha visto salire sul palco un autore-interprete come Andrea Pennacchi, il quale con Una piccola Odissea si è riallacciato a un’antica finalità del teatro: scavare nei ricordi e nei sentimenti umani per offrite a un attore l’occasione di diventare il protagonista di una storia avvincente, ma anche di rappresentare se stesso. Pennacchi, quando ha scritto questo racconto, ha imboccato un percorso narrativo, nel quale s’intrecciano le storie degli eroi omerici, l’intervento di alcune divinità della mitologia classica, le memorie personali di un autore che si affida alla forza della parola senza concedere nulla all’estetica e alla scenografia, ma la usa con il supporto di un sapiente dosaggio delle luci e l’accompagnamento di atmosfere musicali efficacemente composte da Giorgio Gobbo, eseguite dallo stesso Gobbo (chitarra classica), da Annamaria Moro (violoncello) e da Gianluca Segato (lap steel guitar).
Pennacchi parte sempre dal testo di Omero per rendere visivi, attraverso il parola e il gesto, il sogno e l’avventura, per trovare analogie con la vita reale di oggi (soprattutto l’orrore e l’inutile bestialità della guerra), ricorrendo a ricordi familiari che rendono più intimo il suo racconto e che, in qualche modo, umanizzano gli aspetti epici del poema omerico. Il narratore ricorre, a volte, a un linguaggio colorito da intonazioni venete, dalla rievocazione di personaggi legati alla sua regione, dall’uso di termini dialettali con il risultato di creare un pastiche linguistico capace di tenere avvinto il pubblico anche di altre regioni.
Grazie all’abilità interpretativa dell’attore padovano, l’avventura scritta da Omero prende corpo e si anima; le parole diventano rappresentazione visiva di un mare amato e odiato, della montuosa Itaca che appare da lontano come un miraggio per poi scomparire con le navi trascinate lontano dall’irato Poseidone. Il tema di fondo rimane sempre il nòstos, il viaggio e il ritorno in un continuo movimento circolare dove si rimescolano la voglia di avventura, il dolore e la speranza, la voglia di nuove scoperte che spesso si traduce in tragedia.
Pennacchi-Odisseo si nasconde sotto le mentite spoglie di un povero mendicate che non è riconosciuto nemmeno dal fido porcaro Eumeo e da suo figlio Telemaco (solo il vecchio cane Argo lo riconosce e muore d’emozione). Si mette a raccontare le imprese di Odisseo e dei suoi uomini che assaltano, uccidono e depredano prima la città di Troia poi le terre dei Ciconi alleati di troiani; fanno l’esperienza della droga presso i Lotofagi; incontrano il terribile ciclope Polifemo sconfitto dall’astuzia di Odisseo; sciupano l’otre dei venti donata da Eolo e aperta per vorace curiosità, per cui il mare ritorna e ribollire tempestoso; approdano sull’isola di Circe e assistono agli amori di Odisseo con la dea.
Il viaggio dell’eroe nell’Ade è un passaggio avvincente del racconto con le ombre che popolano il regno dei morti, con l’incontro della madre morta di dolore per la lontananza del figlio, con la profezia di Tiresia che svela a Odisseo il suo futuro. Quindi il viaggio riprende con il passaggio dinanzi all’isola delle Sirene, ma il loro canto affascinante è ascoltato solo da Odisseo legato all’albero della nave, mentre i suoi uomini hanno le orecchie tappate con la cera. Superati i mostri di Scilla e Cariddi, la nave arriva nell’isola del Sole, dove gli uomini divorano alcune vacche sacre e muoiono tutti, si salva solo Odisseo che naufraga sull’isola di Calipso.
Terminato il racconto, Odisseo riacquista (grazie alla dea Pallade) il suo aspetto e viene riconosciuto dai suoi. Ancora con le vesti di un mendicante entra nella reggia e viene oltraggiato dai Proci, ma alla fine con il suo terribile arco fa strage di tutti i principi e del loro capo Antinoo; ritorna in possesso del trono e ritrova finalmente Penelope. È il trionfo il Odisseo ed è la conclusione del nòstos, ma Pennacchi preferisce chiudere in calando: si ritorna nell’Ade, dove avviene l’incontro di due ombre evanescenti: sono Eurialo e Antinoo affratellati dalla cruda realtà della morte.
Cresciuto in una famiglia proletaria, Pennacchi confessa che l’Odissea l’ha sempre accompagnato fin dalle scuole medie, quando suo padre, che gestiva uno stand di libri nelle feste dell’Unità, gli aveva regalato una copia del libro. Da quel momento ha sempre avuto una grande desiderio, quello di raccontare questo “nucleo rovente” di avventure: “L’Odissea è stata definita: un racconto di racconti, una maestosa cattedrale di racconti e raccontatori, attraversata da rimandi ad altre storie, miti, in una fitta rete atta a catturare il lettore. Proprio il suo essere costruita mirabilmente per la lettura, però, la rende difficile da raccontare a teatro, ricca com’è. Abbiamo pensato di restituirne il sapore di racconto orale proponendone una versione a più voci, che dia il giusto peso anche alla ricca componente femminile e al ritorno vero e proprio. Pochi si ricordano, infatti, che gran parte della storia si svolge nell’arco di pochi giorni, tra la partenza di Odisseo da Ogigia e il suo trionfo contro i proci e il ricongiungimento con moglie, figlio e padre. Il resto della storia, la parte più conosciuta, è raccontata da aedi, dai suoi vecchi compagni, da Telemaco e Penelope, e da Odisseo stesso” (Andrea Pennacchi).