Milano-Chicago al Blue Note con Chicago Blues Night
di Giacomo Liverotti
26 Apr 2023 - Commenti live!
Da Milano a Chicago: andata-ritorno al Blue Note. Alex Usai e la sua Blues Band esplorano l’autentico linguaggio blues.
(Foto di Giacomo Liverotti)
Ricostruire l’atmosfera degli anni ’40 e ’50 a Chicago: questo è l’obiettivo della Chicago Blues Night al Blue Note, un appuntamento ormai fisso che una volta al mese vede esibirsi sul palco in via Borsieri, la Blues Band di Alex Usai. Il chitarrista milanese, dopo un percorso didattico improntato al jazz e la crescita sotto la protezione musicale del leggendario Franco Cerri, si accosta sempre più al blues, finendo a suonare per alcuni anni con l’armonicista Sugar Blue (l’autore del riff di “I Need You” dei Rolling Stones), e decide di specializzarsi proprio in questo genere, risaltando ad oggi sulla scena milanese dedicata al genere.
Dicevamo, dunque, dell’atmosfera. In effetti lo scopo della band non è quello di riprodurre fedelmente le incisioni del Chicago Blues degli anni ’50, suonare esattamente come sono stati incisi su disco i brani di Muddy Waters, Little Walter, Howlin’Wolf, ecc., quanto piuttosto far rivivere, all’interno di tutto un altro contesto, distante più di mezzo secolo, e qualche migliaio di chilometri, il mood e le vibrazioni della Windy City di quegli anni. L’energia dirompente, la sofferenza, il riscatto sociale e la sessualità a tratti brutale di quegli artisti, che vivevano ancora in pieno regime di apartheid ma che iniziavano a scardinare molti tabù sociali proprio grazie alla loro musica, sono il substrato su cui si muove il gruppo. L’autentico linguaggio blues della band, perciò, non vuole essere fedele solo a quegli anni, ma vuole, partendo da quel momento fondamentale per la nascita e l’affermazione del blues elettrico, abbracciare l’intero repertorio del secolo scorso, con cenni musicali a periodi anche molto posteriori. E del resto, lo spirito della “musica del diavolo” è proprio questo: improvvisazione e spontaneità. Due elementi che quando si uniscono grazie alla bravura di musicisti come quelli della Usai Blues Band, sono davvero imbattibili.
Come nelle migliori tradizioni blues, Usai è anche la voce principale della band, ma non l’unico cantante, perché anche i suoi compagni di palcoscenico si prendono in certi momenti la luce del riflettore: a partire da Alberto Gurrisi, tastierista torinese con cui Usai collabora da più di 15 anni, anche lui nella band di Sugar Blue, e che padroneggia l’organo hammond come pochi in Italia. Gurrisi e Usai si alternano negli assoli, regalando al pubblico dei fraseggi davvero esplosivi. A partire da Hocchie Coochie Man, storico standard blues inciso da Muddy Waters nel 1954, passando attraverso Little Walter, un brano dello stesso Sugar Blue-“Un piccolo omaggio a chi ci ha insegnato questo stile”- e anche alcuni pezzi originali composti da Usai, i due si passano la palla del solo, in una sorta di sfida in cui ciascuno cerca di stupire l’altro, come succede spesso tra musicisti. Ad uscirne vincitore è però il pubblico, che viene inondato dalle note dei due, mentre si caricano a vicenda e riescono ad entrare a pieno nel linguaggio blues, con una padronanza che solo i molti anni di esperienza, oltre all’indiscusso talento, possono permettere di raggiungere.
Infatti, i membri della band suonano insieme da più di 10 anni, e fin dal 2014 si è avviata la collaborazione con il Blue Note, che concedendo questo spazio al gruppo, dimostra le potenzialità e la reattività della scena blues milanese. Usai pesca dal repertorio blues storico ma va anche a reinterpretare brani più recenti come You Can Leave Your Hat On oppure All You Need Is Love, che viene riproposta in una chiave originale e cantata dal bassista Ivo Barbieri, in un arrangiamento sviluppato dalla band diversi anni fa e che, cosa mai scontata quando si presenta un brano dei Beatles, riesce a rinnovare senza stravolgere.
Poco prima della fine, tutti i musicisti scendono dal palco, lasciando la scena a Martino Malacrida (attualmente in tour con Elio per uno spettacolo dedicato a Enzo Jannacci). Il batterista si lancia in un solo veramente eccezionale, in cui mette in mostra tutta la sua tecnica ma soprattutto il suo gran gusto musicale, e che prepara il pubblico al gran finale, in cui Usai regala un’infuocata interpretazione di Johnny B.Goode, il brano simbolo di Chuck Berry che, come troppo spesso si dimentica, ha mosso i primi passi proprio a Chicago, alla scuola di quel Muddy Waters che, dopo alcuni anni di successo, avrebbe dovuto soccombere alla nascita del Rock ‘n’ Roll. “Solo un blues suonato più veloce”, lo definisce sprezzante nel film Cadillac Records, che ripercorre la nascita del blues di Chicago e la storia della Chess Records e del suo fondatore Leonard Chess. Filo conduttore della serata, la chitarra di Usai, i suoi assoli magnifici, conditi con sempre un pizzico di ironia, nel suo citare temi famosi e riff di altri artisti, nel suo omaggiare, per il bis, il più grande di tutti, Jimi Hendrix, con la sua Voodoo Child, a ricordare che anche lui, l’iniziatore della chitarra elettrica rock e di un’importanza mai del tutto quantificabile per le sorti della musica, sia stato per tutta la sua carriera, un chitarrista blues. Una strada lunga quasi un secolo, dunque, condensata in circa 90 minuti di revival, sì, ma con uno sguardo sempre spostato avanti e un’identità personale, costruita, come in tutte le migliori carriere musicali, sulle spalle dei giganti.