La stagione teatrale all’Anfiteatro Romano di Urbisaglia
di Alberto Pellegrino
8 Lug 2022 - Approfondimenti teatro, News teatro
Per la stagione teatrale 2022, nell’ambito del TAU (Teatri Antichi Uniti), sono stati programmati importanti spettacoli nell’Anfiteatro Romano di Urbisaglia (MC): Il mercante di luce, Le Supplici, Lisistrata.
La Stagione teatrale del TAU (Teatri Antichi Uniti) allestita dall’Amat e dall’Amministrazione comunale nell’Anfiteatro romano di Urbisaglia, presenta quest’anno tre spettacoli di grande interesse artistico, perché uniscono la versione teatrale di un romanzo di un autore contemporaneo ma cultore del mondo classico, una tragedia di Euripide considerata uno dei capolavori del teatro greco, la più celebre commedia del grande Aristofane. La scelta di questi due testi risulta particolarmente felice dato il momento storico che stiamo vivendo, perché hanno come protagoniste delle donne sia nella tragedia che rappresenta gli orrori della guerra, sia nella commedia che esalta il valore della pace contro la stupidità della guerra.
“Il mercante di luce”
La stagione inizia il 12 luglio 2022 con Il mercante di luce, uno spettacolo tratto da un romanzo di Roberto Vecchioni, un autore che non ha bisogno di una particolare presentazione, perché è un poeta, un narratore, un docente universitario e soprattutto è uno dei cantautori più importanti e rappresentativi del panorama italiano, avendo composto canzoni nelle quali sono intimamente intrecciati temi esistenziali e personali con argomenti sociali e politici, i miti della storia, argomenti e personaggi tratti dalla letteratura o dal teatro.
Il romanzo è stato adattato per la scena dalla regista Ivana Ferri che si è spesso occupata di tematiche legate alla letteratura, curando la trasposizione teatrale di opere appartenenti a personaggi di primo piano della cultura italiana come Dacia Maraini, Vittorino Andreoli, Claudio Magris, Alda Merini. La Ferri ha già collaborato con Roberto Vecchioni per realizzare lo spettacolo “Sogna ragazzo sogna” e ora affronta questo nuovo tema basato sul delicato e poetico rapporto tra un padre docente universitario e un figlio afflitto dalla sindrome di Hutchinson Gilford Tangram, una malattia genetica molto rara, che colpisce un bambino su 4-8 milioni e che provoca un invecchiamento precoce e una rapida fine della vita che di solito ha una durata media di circa 20 anni. Le musiche dello spettacolo sono composte ed eseguite dal vivo da Massimo Germini, uno dei più quotati chitarristi italiani, un cultore della canzone d’autore e un fedele collaboratore di Roberto Vecchioni con il quale ha condiviso l’attività concertistica, le incisioni discografiche e l’insegnamento universitario. L’interprete della pièce è Ettore Bassi, un affermato attore di cinema, teatro e televisione che fa rivivere sulla scena con passione e con una particolare sensibilità il personaggio del protagonista.
Il Mercante di luce è il racconto del viaggio poetico di un padre e di un figlio attraverso parole piene di passione e di umanità, le quali sono l’atto d’amore di un padre per lasciare in dono al giovane Marco, prima che lasci questa terra, il significato più profondo dell’esistenza. Stefano Quondam è un grande professore di letteratura greca, i cui meriti non sono stati mai riconosciuti, un Don Chisciotte che non ha mai smesso di combattere una testarda battaglia contro la stupidità e l’omologazione. Quondam crede con tenacia che la bellezza sia una luce così potente da vincere il buio della mente, per cui cerca di trasmettere al figlio l’amore per la vita anche attraverso i sentimenti espressi da poetesse e poeti classici o contemporanei, dai grandi autori teatrali. Durante questo viaggio esistenziale, i due protagonisti scoprono la forza e la fragilità del loro legame sugellato dall’idea della Bellezza. Con un pathos degno della grande tragedia antica, i personaggi vengono finemente analizzati nella loro diversità e fragilità: il giovane Marco è costretto dal destino a costruirsi una realtà parallela fatta di momenti felici e piccole vittorie; il padre Stefano è rimasto prigioniero di un grande sogno mai realizzato, che ha distrutto la sua vita. Al termine del loro confronto, egli scopre che la cosa importante da lasciare al figlio è “un dono, il più grande possibile, oltre la felicità o l’infelicità, l’amore e il disamore, il destino e Dio, la casualità inspiegabile di nascere e morire. E il dono è l’orgoglio di essere uomini e di vivere con questa rivelazione: perché non importa quanto si vive, ma con quanta luce dentro.”
“Le Supplici” di Euripide
Euripide è considerato l’autore greco che ha maggiormente rinnovato la tragedia per la sua visione “laica” della vita, per aver creato grandi personaggi femminili, per avere tenuto sempre una posizione etico-politica a favore della pace e in difesa della democrazia, tanto da essere stato emarginato o addirittura respinto all’interno della polis. La sua “ideologia” pacifista appare evidente nelle tragedie collegate alla guerra di Troia, Andromaca, Ecuba, Le Troiane, Elena, nella quale sono presenti questi versi: “Pazzi tutti, che volete conquistare/La gloria con la guerra/e con gli assalti delle forti lance, pensando a torto di poter risolvere/i conflitti dei mortali. /Perché, se a decidere/è una gara di sangue/sempre la lotta prospererà tra gli uomini”.
Nelle Supplici (che va in scena il 21 luglio) le madri dei caduti in guerra, insieme ad Adrasto suocero di Polinice, implorano Etra, madre di Teseo, affinché il re di Atene interceda presso i Tebani per riavere i corpi dei caduti in battaglia. È stato Polinice a muovere guerra al fratello Eteocle che siede sul trono di Tebe (ancora la maledizione di Edipo incombe sulla sua stirpe). Polinice e altri sei eroi sono morti e i Tebani non vogliono restituire i loro cadaveri. In un primo momento Teseo rifiuta per prudenza di compiere questa missione, ma Etra gli fa cambiare idea. Un messo ateniese offre ai Tebani la pace in cambio della sepoltura dei morti, altrimenti ci sarà la guerra; nello stesso tempo un araldo tebano, a nome del nuovo re Creonte, dice a Teseo che deve scacciare Adrasto e che non potrà riavere i cadaveri con la forza. Il re decide allora di attaccare Tebe e un messo riferisce che ha riportato la vittoria: i cadaveri dei sette re avranno la loro sepoltura ad Eleusi, mentre i guerrieri caduti saranno sepolti alle falde del Monte Citerone. Mentre le donne piangono di dolore, Adrasto esorta a scegliere la pace invece della guerra: “Come siete stupidi, o mortali/che tendete l’arco al di là del bersaglio/e subite il giusto castigo di molte sventure, /ma non date ascolto a chi vi vuol bene, /e siete succubi di ciò che accade! /E voi città che potreste sottarvi alle sciagure grazie alla parola, /risolvete le situazioni non con i discorsi, ma con la guerra”.
La “Lisistrata” di Aristofane
Aristofane è il più grande commediografo dell’antichità e le undici commedie rimaste sono altrettanti capolavori. Autore democratico, progressista e pacifista, egli è stato anche un difensore del ruolo delle donne nella società soprattutto con tre commedie: Le donne che celebrano le Tesmoforie, Le donne nell’assemblea e Lisistrata, che va in scena il 31 luglio.
Questa pièce, che è oggi la più celebrata e rappresentata, sprigiona una carica “sovversiva” d’intelligenza e di comicità mai volgare e superficiale: “Di certo la commedia più femminista e moderna nella rivendicazione dei diritti femminili, a cominciare dal sesso…La grande modernità della commedia sta nella rappresentazione del desiderio sessuale femminile, dipinto come non certo inferiore a quello maschile, né più timido e casto” (Andrea Marcolongo). Sotto il profilo storico l’opera è stata influenzata dalla Guerra del Peloponneso (durata trenta anni) che ha causato lutti e distruzioni tra gli uomini, ma anche grandi dolori alle donne, per cui le mogli, le madri, le figlie, le sorelle sono stanche di ritrovarsi vedove oppure orfane e vogliono la pace.
Lisistrata, il cui nome significa in greco “colei che scioglie l’esercito”, è una donna che mostra per la prima volta come il talento femminile sia una combinazione di sapienza, abilità e pazienza. Stanca della guerra, questa eroina raduna nell’Acropoli tutte le donne di Atene e le convince ad attuare uno sciopero del sesso fino a quando gli uomini, stremati per la libido insoddisfatta, si degneranno di ascoltare le loro donne. Lisistrata riesce a convincere anche le donne di Sparta a praticare lo stesso tipo di sciopero. Privati dei loro piaceri fisici, Ateniesi e Spartani finiscono per trattare la pace. Lisistrata, prima riduce gli uomini in una ridicola sudditanza sessuale poi affronta il tema della guerra con parole che non hanno nulla da invidiare alla saggezza maschile: “Io sono una donna, è vero, ma il cervello che l’ho anch’io. Non sono mica priva di buon senso: Ho avuto la fortuna di ascoltare molti discorsi di mio padre e di colore che erano più vecchi di lui, e quindi ho potuto ricevere una buona educazione. Ora che sono riuscita ad avervi qui davanti a me, voglio rimproverarvi aspramente, Ateniesi e Spartani. E vedrete che le mie argomentazioni vi sembreranno giuste”.
Ad Atene le donne non hanno mai avuto un ruolo nella vita politica per mancanza di diritti ma anche perché condannate al silenzio. Lisistrata si ribella all’ingiusta condanna di essere private della parola, di non poter esprimere il loro parere sulla opportunità o meno di fare la guerra. Con la sua iniziativa, le donne non accettano di tacere, non accettano più la guerra, per cui gli uomini ora devono ascoltare in silenzio le istanze di pace delle donne. Questa nuova condizione sociale emerge soprattutto dal confronto dialettico tra Lisistrata e il probulo (un magistrato) che è stato inviato a trattare per conto degli uomini: sarà l’uomo a dover ascoltare in silenzio le ragioni che sanciscono la vittoria di Lisistrata. L’arringa della più celebre eroina del teatro comico rappresenta il rovesciamento dei costumi ateniesi: è una donna a sconfiggere un uomo con la propria eloquenza, essendosi appropriata dell’abilità oratoria tipica dei Sofisti e togliendo ai maschi un’arma che apparteneva solo a loro, senza mostrare nessun complesso d’inferiorità.