“La fragile meraviglia. Un viaggio nella natura che cambia”. Le fotografie di Paolo Pellegrin


di Alberto Pellegrino

9 Giu 2022 - Arti Visive, Libri

Paolo Pellegrin è uno dei più noti fotoreporter internazionali della Magnus Photos e uno dei maestri della fotografia contemporanea. Ha raccolto nel volume La fragile meraviglia. Un viaggio nella natura che cambia, edito da Edizioni Gallerie d’Italia/Skira, una serie di immagini inedite cheracconta gli effetti dell’emergenza climatica e del riscaldamento globale.

Paolo Pellegrin (foto di Kathvn Cook)

La fragile meraviglia. Un viaggio nella natura che cambia. Si tratta di scatti che il fotografo Paolo Pellegrin ha realizzato in un viaggio intorno al mondo durato un anno, durante il quale ha voluto affrontare il tema dell’ecologia ed ha volutamente estromesso per la prima volta la presenza dell’uomo per lasciare il ruolo di protagonista assoluto alla bellezza, alla drammaticità, alla sacralità e alla grandiosità della natura.

Pellegrin ha fotografato i ghiacciai dell’Antartide, della Groenlandia, le zone vulcaniche dell’Islanda e dell’Etna in Italia, i paesaggi di Australia, Giappone e Messico, le foreste della Costa Rica, il deserto della Namibia, realizzando un reportage fotografico d’autore incentrato su una visione poetica della natura che si distacca dalla testimonianza fotografica di denuncia, pur collocando queste immagini in un contesto di stravolgimenti ambientali così profondi e pericolosi da apparire irreversibili.

La natura e le finalità di questo racconto fotografico

Dopo avere ultimamente fotografato la tragedia della guerra del Mosul tra curdi e miliziani dell’Isis, dopo essere stato in Ucraina e in particolare nella devastata città di Kharkiv, Pellegrin è stato mosso dall’assillo di un tempo che sta fuggendo e dalla consapevolezza che anche il cambiamento climatico è una forma di conflitto di cui è necessario prendere coscienza. Infatti, egli ha dichiarato che alla base di questo suo racconto fotograficoc’è sicuramente la consapevolezza di un tempo che ci sta sfuggendo di mano; tutti sappiamo che l’attività umana ha un effetto diretto sul clima, questo oggi è un fatto accertato e siamo coscienti anche che non abbiamo un tempo infinito per correggere questo andamento. Da qui nasce il lavoro che ho fatto sulla natura con l’idea, in qualche modo vicina al mio lavoro più conosciuto di fotoreporter, di testimoniare e raccontare questo tema che può essere letto come un conflitto, il grande conflitto del nostro tempo, forse più grande di tutti gli altri messi insieme… Non volevo però fare delle fotografie di denuncia del cambiamento climatico, in maniera didascalica, ho cercato piuttosto un approccio diverso per concentrarmi di più sulla meraviglia, sullo stupore e la bellezza che si provano di fronte alla natura estrema”.

Paolo Pellegrin ha lavorato sui quattro elementi di aria, acqua, terra e fuoco, andando anche alla ricerca delle forme più estreme come le tempeste del Mare del Nord o le eruzioni vulcaniche, meraviglie che rappresentano la potenza e la bellezza della natura, ma nello stesso tempo la fragilità degli ecosistemi danneggiati.

“È chiaro – dice ancora Pellegrin – che quello che ho fotografato oggi non sarà più quello fra un po’ di tempo, ma il senso ultimo del mio lavoro è rivolgere con la fotografia un invito all’altro, allo spettatore, fruitore, lettore che so potenzialmente esistere, instaurando un dialogo su questioni e problematiche sulle quali mi sono interrogato anch’io. C’è la bellezza nel nostro mondo ed è giusto celebrarla. In questa natura ho avuto la sensazione di cogliere un mistero, un senso del sacro, e questo voglio celebrarlo facendo delle fotografie che restituiscano per quanto possibile questi aspetti. Ma sappiamo che, se non ci saranno dei cambi di rotta significativi, perderemo specie animali, biodiversità, non solo gli iceberg e i mari che si alzano. Le migrazioni climatiche diventeranno un tema enorme da affrontare. Questo lavoro è quindi anche un monito, (perché) noi esseri umani siamo divini e diabolici. Creiamo e distruggiamo. Credo però fortemente nella capacità dell’uomo di trovare soluzioni”.

Un fotoreportage al di fuori degli schemi classici

Paolo Pellegrin ha abbandonato il fotoreportage classico, che lo ha reso famoso nel mondo, perché in questo suo lavoro non ha voluto parlare più di guerre, di sciagure, di avvenimenti legati alla cronaca del quotidiano, di eventi destinati a segnare la storia umana. Ha voluto invece rivolgere la sua attenzione all’ambiente naturale con uno sguardo che si rifà alla poetica del «sublime», in modo da evocare il fascino che emana la bellezza della natura ma anche il senso di angoscia derivante dal costante assedio agli ecosistemi. 

La sua fotografia si traduce in visioni di superfici e di paesaggi che celebrano la forza dirompente dell’elemento naturale, che provocano nell’osservatore una reazione ambivalente: da un lato si evidenza la bellezza di queste immagini; dall’altro si trasmette l’appello a riflettere sul ruolo che ognuno di noi ha nel rapporto con l’ambiente. La totale assenza della figura umana sollecita in chi guarda la meraviglia per la maestosità del mondo naturale, ma ricorda anche che l’uomo è responsabile di trasformazioni in gradi di provocare conseguenze irreversibili sulla vita della Terra. Fotografare un iceberg, un ghiacciaio, le foreste distrutte dagli incendi in Australia, le suggestive tempeste marine, i deserti africani, gli alberi scheletrici abbandonati alla solitudine del paesaggio significa nello stesso tempo rappresentare l’azione dell’uomo per porre l’accento sul suo rapporto con lo spazio nel quale abita e sulle sue responsabilità individuali e collettive, sulle politiche ecologiche nazionali, sulla scarsa efficacia degli accordi internazionali caratterizzati da una politica dei continui rinvii a un futuro più o meno lontano, mentre i problemi incombono e i tempi d’intervento appaiono sempre più ridotti.

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