MacerataOpera 2003 nel nome di Svoboda e… Massimo Ranieri
1 Lug 2003 - News classica
MacerataOpera 2003 – Arena Sferisterio
Con Katia Ricciarelli, nuovo Direttore Artistico, la 39. edizione di MacerataOpera si svolgerà dal 18 luglio al 13 agosto 2003. Continuando la sua tradizione di presentare opere contemporanee e poco rappresentate in apertura della stagione lirica allo Sferisterio, MacerataOpera, in collaborazione con il Festival Terra di Teatri promosso dalla Provincia di Macerata, propone al Teatro delle Pietre di Appignano El Cimarrà n (18, 20 e 21 luglio) di H.Werner Henze con la regia di Henning Brockhaus. Composta tra il dicembre 1969 e il gennaio 1970 all'Avana (Cuba), dopo la prima assoluta della VI sinfonia, l'opera nasce in un periodo di trasformazione del linguaggio musicale di Henze. Pur essendo un'opera dal carattere teatrale è stata concepita dall'autore come recital per voce (baritono) e tre musicisti (chitarra, flauto, percussioni), sviluppata in quindici scene all'interno delle quali il protagonista canta, declama e racconta la storia della sua vita. Il libretto è tratto dal racconto Autobiografia di uno schiavo di Miguel Barnet, da cui Hans Magnus Enzensberger ha operato una riduzione lasciando in pratica intatto il carattere linguistico. Direttore Daniele Belardinelli, ideazione e regia Henning Brockhaus, Zelotes Edmund Toliver (baritono), Gianluca Gentili (chitarra), Fausto Bombardieri (percussioni), Andrea Oliva (flauto), spazio scenico Benito Leonori, light designer Franco Ferrari.
La manifestazione rende omaggio a Josef Svoboda (1920-2002) presentando due opere esemplari del suo lavoro allo Sferisterio: La traviata (1992) e Lucia di Lammermoor (1993) con la regia di Henning Brockhaus.
La traviata (19, 27 luglio e 5, 8, 12 agosto), nata proprio per il singolare e difficilissimo spazio maceratese e poi adattata per molti teatri in Italia e all'estero, è stata realizzata secondo i canoni provocatori e fantastici del grande scenografo ceco che nel 1992 vinse proprio per questo allestimento il Premio Abbiati. Scorrono, nell'illuminante progetto scenico le immagini del salotto di Violetta, bordello di lusso dove si folleggia, tra vesti svolazzanti, nudi e champagne, i luoghi fioriti dell'amore e della rinuncia, fino al magico specchio, fulcro dell'intera messinscena, che riflette la realtà , va a caccia di interiorità , per piegarsi lentamente, alla fine, sul pubblico, e, abbracciandolo, renderlo partecipe e protagonista. Modello dello spazio come carne del dramma, della scenografia che inventa significati inattesi. Per questa nuova edizione dirige l'Orchestra Filarmonica Marchigiana Daniele Callegari, il Coro Lirico Vincenzo Bellini è diretto da Carlo Morganti. Nei ruoli principali: Eva Mei (Violetta), Giuseppe Sabbatini (Alfredo) Marco Vratogna (Giorgio Germont) costumi Mario Catalano, light designer Franco Ferrari, coreografia Juan de Torres.
Lucia di Lammermoor (26 luglio 3, 7, 10 agosto) è parimenti uno spettacolo di straordinaria eleganza ed espressività drammatica. Purezza di visione e ingegno risolvono il lungo e difficile palco dello Sferisterio. Un telo grezzo stropicciato e scabroso di 20 metri viene issato all'inizio dell'opera e vi rimane per tutta la sua durata mutando con il mutare dei sentimenti dei protagonisti. Ora parete rocciosa, rugoso e ferrigno, ora velo semitrasparente, ora schermo. Le proiezioni, solo su porzioni di telo, sono allusive: un incrocio di archi gotici, alcune sinistre ramificazioni frondose, onde marine che amplificano il suono dell'arpa, partner dell'ingresso di Lucia in scena. Una interpretazione (scenica) vibrante e senza sbavature, i fondali di ideale naturalezza restituiscono e amplificano la magia dell'arcano romanticismo donizettiano. Per questa edizione, dirige l'Orchestra Filarmonica Marchigiana Alain Guingal, il Coro Lirico Vincenzo Bellini è diretto da Carlo Morganti, la regia è di Henning Brockhaus. Nei ruoli principali cantano: Stefano Antonucci (Lord Asthon), Mariella Devia (Lucia), Aquiles Machado (Edgardo), costumi Pasquale Grossi, light designer Franco Ferrari.
L'omaggio a Svoboda comprende anche la masterclass di scenografia che si svolgerà dall'11 al 18 luglio presso l'Accademia di Belle Arti e lo Sferisterio di Macerata nel corso della quale sarà percorso il lavoro di Svoboda dagli anni '40 agli ultimi progetti approfondendo la sua influenza sulla visualità teatrale contemporanea.
Le nuove produzioni della stagione Cavalleria rusticana di Mascagni e Pagliacci di Leoncavallo (agosto 2, 6, 9,13) vedono debuttare nella regia lirica un artista eclettico come Massimo Ranieri che facendo tesoro di innumerevoli esperienze in cinema e in teatro e soprattutto guidato dal suo percorso personale, punta sul verismo dei caratteri e dei sentimenti descritti dal libretto e dalla musica per ritrovare suggestioni della sua memoria di uomo del sud, come certe processioni nei bassi napoletani o le sfide intrise d'odio nelle vie. La sua lettura tiene conto della cronaca vera e dei personaggi passionali delle pellicole di un certo cinema noir , reinventando il folclore come cornice alle tragedie e agli umori. Sensibile alla storia di Pagliacci in cui lo scambio/commistione tra attore e uomo, tra scena e vita, tra finzione e realtà sente vicino alla sua natura di attore, dedica lo spettacolo alla ricerca di un ulteriore disagio: quello di Enrico Caruso, alle prese con la sua ultima recita dell'opera a New York. Era una di quelle sere in cui nell'aria aleggiava la minaccia della mafia, Caruso era ansioso, disturbato sulla scena: un disagio, quindi, fuori del teatro e sul palcoscenico, dove la realtà si stava confondendo con l'invenzione . La direzione dell'Orchestra Filarmonica Marchigiana è di Piergiorgio Morandi, il Coro Lirico Vincenzo Bellini è diretto da Carlo Morganti. Di entrambe le opere le scene sono di Roberto Francia, i costumi di Nanà Cecchi, light designer Franco Ferrari, coreografia Giorgio De Bortoli. In Cavalleria rusticana cantano: Anna Maria Chiuri (Santuzza), Luis Lima (Turiddu), Marianna Rosa Cappellani (Lola), Alberto Mastromarino (Alfio) e Patricia Borromei (Lucia); in Pagliacci: Amarilli Nizza (Nedda), Nicola Martinucci (Canio), Alberto Mastromarino (Tonio).
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Uno e multiplo: “El Cimarron” racconta la sua storia tra pietre e sabbia.
Brockhaus e Belardinelli al lavoro per il recital di Henze in forma scenica
Non sarà Esteban Montejo (Cimarrà n) a raccontare la sua storia di schiavo fuggiasco nell'entroterra cubano, i riti, le usanze, le credenze popolari e la sua lotta per la sopravvivenza, ma tutti gli artisti sulla scena: il baritono Zelotes Edmund Toliver, che al personaggio darà voce e fisicità impressionante con i suoi due metri di altezza, e i musicisti Andrea Oliva (flauto), Gianluca Gentili (chitarra), Fausto Bombardieri (percussioni) ai quali il regista Henning Brockhaus ha richiesto gestualità scenica, interpretazione e partecipazione poichè la musica e il testo formano un unico evento che non può essere diviso in ruoli . Il racconto musico-teatrale che apre MacerataOpera 2003, nell'ambito di Terra di Teatri Festival, si svolgerà in una cornice a lungo pensata da Brockhaus ( il desiderio era quello di trovare un relitto della nostra storia industriale' come una vecchia fabbrica ) ed infine realizzata da Benito Leonori (curatore dello spazio scenico) che per l'occasione diventa Teatro delle Pietre ; uno spazio ad Appignano messo a disposizione dalla ditta Sielpa e Calamante srl. Entusiasti del progetto, Giuseppe ed Enrico Calamante, non solo lo hanno voluto nel proprio capannone, ma ne sono stati mecenati , fornendo pietre, sabbia e materiali vari e permettendo con il loro contributo economico che il capolavoro di Hans Werner Henze avesse tre recite, invece che una (18, 20 e 21 luglio).
La messinscena del Cimarrà n, che sarà diretta dal giovane Daniele Belardinelli, è la realizzazione di un progetto a lungo inseguito da Henning Brockhaus che, già negli anni '80, ne sognava la realizzazione insieme al suo maestro Giorgio Strehler. D'altronde, l'opera che Henze ha composto nel 1969-70 è rivoluzionaria quanto attuale, non solo nei suoi contenuti (la vita e la ribellione di E. Montejo, spinto dall'umano desiderio di libertà per sè e per i suoi compagni, sono tutt'oggi un esempio unico) ma anche – come afferma Belardinelli – nella musica: Henze oggi con la scomparsa di Luciano Berio e di Goffredo Petrassi, è uno dei massimi compositori viventi della sua generazione. à un compositore fuori da ogni conformismo e legge politica, un autentico innovatore e outsider. L'idea di partenza di Henze per la creazione di “El Cimarrà n” è un esperimento, un esercizio su una nuova forma di concerto. Egli vuole che la musica diventi “Sprache” -linguaggio- rinuncia alle concezioni puriste delle avanguardie degli anni Cinquanta-Sessanta e ricerca un linguaggio nella contaminazione, nell' impurità , nella moltiplicazione massimale dei dispositivi utilizzati: testo parlato-cantato, parti strumentali, urla, risa, strilli, aneliti, urla di gioia, e parti gestuali dell'esecuzione. Tutte le componenti seguono il principio di unificazione semantica al fine di rendere il testo intelligibile e chiaro, non c'è mai confusione, ma vitalità , forza, energia, partecipazione emotiva agli eventi, condivisione. Nel canto “Die Maschinen” -ad esempio- impersoneranno le macchine con movimenti automatici e stereotipati, il pezzo fu scritto pensando al celeberrimo episodio della catena di montaggio di “Tempi moderni” di Chaplin . Ogni interprete suona più strumenti; la partitura ha molti momenti d'improvvisazione, Henze indica soltanto le note: volume, fraseggio e ritmo devono essere inventati da loro stessi. Con i musicisti, sostiene ancora Belardinelli, bisogna creare un gruppo fortemente coeso, questa musica è ben lontana dalle prassi correnti del fare musica .
(per prenostazioni T. 0733 57 521, prezzo unico 20 euro.)
El Cimarrà n (SCHEDA) di Hans Werner Henze
Henze scrisse El Cimarrà n a Cuba tra il dicembre del 1969 e il gennaio 1970, subito dopo la creazione della Sesta Sinfonia a L'Avana; l'opera fu rappresentata per la prima volta al Festival di Aldeburgh nel giugno seguente. El Cimarrà n era la partitura più lunga di Henze dopo Die Bassariden (Le Bassaridi) del 1965 e illustrava meglio di qualsiasi altra composizione di quel periodo la significativa evoluzione del suo stile. In entrambi i casi si tratta di opere teatrali, nel senso più ampio del termine. Rispetto alla vasta tela sinfonica delle Bassaridi, El Cimarrà n si presenta come una sequenza lasca di episodi musicali più o meno aneddotici; cosicchè invece di grandi masse corali e orchestrali El Cimarrà n ci presenta una voce unica che parla tanto quanto canta, tre strumenti piuttosto discreti (chitarra, flauto e percussioni dolci) e, al posto di un pesante quadro allegorico, abbiamo una narrazione che il compositore lascia progredire in modo autonomo, anche se si sviluppa in seno ad un esplicito contesto politico. à da Biografà a de un cimarrà n del cubano Miguel Barnet che Hans Magnus Enzensberger attinse il testo per il lavoro di Henze. Nel 1963 Barnet aveva incontrato a L'Avana un nero di 104 anni di nome Esteban Montejo che aveva combattuto nella Guerra di indipendenza cubana (1895-98). Montejo gli aveva raccontato la storia della sua vita arricchita da molte osservazioni filosofiche: i suoi anni di schiavitù intorno al 1860, la sua esistenza da cimarrà n cioè di fuggiasco in lotta per la sopravvivenza nell'entroterra cubano, poi il ritorno al lavoro come schiavo liberato e la partecipazione alla rivolta contro gli Spagnoli. La vita di Montejo offriva non solamente un riassunto della storia della Rivoluzione cubana ma, su un piano più simbolico, per utilizzare l'espressione di Henze, una testimonianza del passato , in altre parole, la prova che alcune caratteristiche del Cubano comune avevano ineluttabilmente condotto allo sfruttamento del Paese, prima ad opera della Spagna, poi degli Stati Uniti mantenendo tuttavia le varie origini e le spinte propulsive della rivoluzione, le sue necessità e il suo vigore . Così Montejo dovrebbe rappresentare la terribile vulnerabilità della giovane nazione cubana, ma anche la sua integrità di fondo, l'onestà , l'autonomia, l'amore per i piaceri della vita, l'assenza di sete di potere se non, forse, nei casi di provocazione estrema, per prendere in mano il proprio destino. I 15 quadri o canti dell'opera di Henze si notano per il loro carattere informale. Il testo è trattato quasi interamente in stile recitato, ora parlato, ora Sprechgesang (parlato-cantato), in cui sono annotati i contorni ma non esattamente le misure, ora in libero arioso. Troviamo solo eccezionalmente una notazione puntuale (per esempio nel n.8 dove Henze offre un abile pastiche' della danza cubana Son). Il compositore rinuncia quindi al tipo di canto tradizionale a vantaggio di un utilizzo estremamente ricco e vario di tutte le risorse vocali disponibili, ivi compresa la risata, il fischio, il grido, l'urlo e tutta l'estensione vocale fino al falsetto. La sua idea era di far raccontare la storia dalla voce nel modo più intenso possibile, come un adulto leggerebbe una fiaba ad un bambino. E lo stesso dagli strumenti. Il flautista, armato di cinque flauti differenti (flauto, piccolo, flauto alto, flauto basso e ryuteki giapponese), deve allo stesso tempo suonare l'organetto, l'armonica a bocca e il fischietto e di tanto in tanto colpire qualche strumento a percussione, battere le mani, cantare e gridare. Nella partitura del flauto Henze fa appello ad una ampia gamma di effetti speciali specialmente accordi. Allo stesso modo allarga un po' l'estensione tecnica della chitarra, e anche il chitarrista suona il tamburo e la marimbula cubana. L'insieme delle percussioni propriamente detto è oggettivamente gigantesco e il percussionista deve poter contare su doti atletiche Nel racconto dell'evasione di Montejo (n.4), il chitarrista e il percussionista sono invitati ad improvvisare correndo il più rapidamente possibile tra i vari strumenti fischiando selvaggiamente . Tutto questo rende il racconto straordinariamente vivo, anche quando la musica è più rarefatta. Prevale un certo lirismo anche laddove Henze evita ogni scrittura lirica in senso tradizionale. Così, se si confrontano i mormorii della foresta del n.5 con la musica del bosco della precedente opera di Henze il Kà nig Hirsch (Re cervo), si può costatare come la nuova tecnica favorisca il realismo a scapito di un certo clima romantico impressionista. E pertanto non vi è nulla di frusto o disincantato nella foresta di El Cimarrà n. Gli alberi hanno sempre qualcosa di maestoso, come divinità , ma la loro magia è amicale e non minacciosa, è la magia che ognuno può avvertire camminando nei boschi, non la stregoneria atavica delle foreste incantate. Stesso virtuosismo Henze rivela descrivendo avvenimenti quali l'evasione (n.4) dove il cantante non interpreta solo il proprio ruolo ma anche quello del sorvegliante (che grida al megafono) e in cui rappresenta la bagarre che ne scaturisce. Si pensi allo stesso modo alla battaglia di Mal Tiempo (n.12), meraviglioso affresco miniatura della confusione dei combattimenti corpo a corpo. E infine l'ambiente: il caldo opprimente della piantagione di canna da zucchero, i ticchettii e i sibili della nuova raffineria di Ariosa (n.9), l'entrata trionfale a L'Avana dopo Mal Tiempo. Ascoltando questi episodi ci si dimentica quasi che Henze lavori soltanto con quattro interpreti e un ristretto ensemble di strumenti. La musica di El Cimarrà n è sempre estremamente evocatrice e non esce, o molto poco, dall'ambito della narrazione. Il compositore ha rinunciato in maniera chiara e deliberata alle tecniche raffinate della musica classica occidentale, inevitabilmente sempre associata nella sua essenza alla società decadente, artificiale e moribonda, della quale anch'egli fa parte e che ha corteggiato nella sua musica almeno fino alle Bassaridi. Se si vuol trovare un progetto musicale nel Cimarrà n, esso è esclusivamente lineare: si traduce con alcuni contorni melodici ricorrenti che funzionano quasi come modi in ogni movimento e, più in generale, nella predominanza di certi intervalli, innanzi tutto la quarta – giusta, eccedente e diminuita. La relazione tra le tessiture molto semplici (per esempio, la voce solista che recita o canta una o due note congiunte) e altre molto complesse, come quella che nasce dall'improvvisazione dei quattro esecutori, secondo un sistema di notazione grafica, riveste forse un'importanza ancora maggiore. Questa relazione obbedisce di fatto a una dialettica, senza differire in sostanza da quella del racconto – come a dire che non è condizionata da una necessità musicale interna. Secondo Henze, l'opera ha pochi riferimenti alla musica popolare cubana, fatta eccezione per il pastiche Son. Il più evidente è il ritmo di rumba doble nel n.13. Nel n.15 si trova una citazione della cerimonia cubana del Lukumi (il ritmico ostinato suonato dagli strumenti un minuto dopo l'inizio). Il n.10 sbeffeggia i preti in una parodia di cantus firmus dove l'accompagnamento di flauto e armonica assume andature d'organo. Il cantante è seduto al contrario sulla sedia e declama il testo come un sermone, accentuando in modo esagerato le parole chiave. E siffatta parodia risulta eccezionale perchè, nonostante i preconcetti, El Cimarrà n è un'opera amabile il cui charme più grande sta nel contatto diretto che ci offre con un essere umano caloroso e divertente, privo di affettazione e libero da ogni ideologia stereotipata.
Stephen Walsh
1996 Deutsche Grammophon GmbH, Hamburg (Traduzione adg-db)
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Da un'intervista a Massimo Ranieri (G.V.)
Cavalleria rusticana rappresenta uno spartiacque nell'evoluzione del melodramma italiano alla fine dell'Ottocento. Le corti e i drammi delle teste coronate lasciavano il posto ai sentimenti della gente più umile, al proletariato, al popolo verghiano. Per un uomo del sud, come me, i sentimenti, le passioni, la storia a fosche tinte ma anche la spontaneità del popolo, in scena e nella vita sono elementi molto famigliari. Leggendo il libretto dell'opera ho ricordato certe processioni in onore della Madonna a cui assistevo da ragazzo nei quartieri più poveri di Napoli. Negli occhi, nella memoria e nel cuore ho ancora le centinaia e centinaia di drappi, coperte e stoffe di tutti colori che la gente stendeva sui balconi e alle finestre: ecco una scena del genere, realizzata da Roberto Francia, sarà anche in “Cavalleria”. Ma non è il verismo iconografico che voglio mettere in scena. I miei riferimenti sono certi personaggi e certe immagini da film noir' degli Anni Venti (ai quali fa riferimento anche Nanà Cecchi con i suoi costumi): per uno spettacolo intriso di odio, di caratteri e di umori. Penso a quanto impressionò l'esordio in scena dell'opera di Mascagni, con quel suo senso di aria aperta , di Sicilia presa dal vivo, quasi di cinematografia ante litteram', con il suo clima folkloristico del tutto reinventato e la sensualità del canto, e tengo conto che ho a che fare con una storia autentica per raccontarla a mia volta pensando a come il vecchio cinema riusciva a portare in primo piano i sentimenti più forti.
Pagliacci, ispirata ad un fatto di cronaca vera, è un opera che come attore mi è molto vicina. Una storia che è teatro nel teatro e vita nel teatro: uno scambio/commistione tra attore e uomo, tra scena e vita, tra finzione e realtà : le maschere non sempre sono maschere, come Tonio/Taddeo, personaggio chiave della vicenda: una sorta di Jago, un deforme, uno che non riesce a farsi amare: un diverso. Il personaggio che per vendicarsi innesca il gioco al massacro. Per “Pagliacci” il mio percorso prende spunto dall'ultima volta che Enrico Caruso cantò “Pagliacci” al Metropolitan di New York, diventato il centro della sua attività operistica dal 1903 al 1920, il luogo dove per oltre 15 anni quest'interprete, considerato un faro per noi cantanti, mantenne il primato di tenore più acclamato del mondo. Era una di quelle sere in cui nell'aria aleggiava la minaccia della mafia, Caruso era ansioso, disturbato sulla scena: un disagio, quindi, fuori del teatro e sul palcoscenico, dove la realtà si stava confondendo con l'invenzione. Lo spettacolo vuol essere un omaggio a questo straordinario tenore a cui sono anche legato dal fatto che molti anni fa Luchino Visconti mi propose di interpretarlo in un film che poi non si realizzò.
Le due opere hanno in comune la vita reale, la tragedia, il sud. Sono accomunate da due storie d'amore che non possono essere vissute, dall'odio e dalle vendette, in questo paese dove regna il mutismo e l'omertà . Richiederanno, da parte dei cantanti, grande impegno interpretativo.
Il mio interesse per la regia lirica? Venti anni fa mi sarebbe sembrata una follia. Quando me lo proposero, prima Nicola Martinucci e poi Claudio Orazi, ex sovrintendente di MacerataOpera, ho sentito una campana con un suono diverso. Dopo anni e anni di cinema e teatro, ho pensato, combinando la mia meridionalità e le numerose esperienze teatrali, che “Cavalleria rusticana” e “Pagliacci” erano l'occasione giusta.
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Nel segno di Josef Svoboda
Masterclass di Scenografia
Macerata 11-18 luglio 2003
Associazione Sferisterio di Macerata
Accademia di Belle Arti di Macerata
Union des Thèà tres de l'Europe
Comune di Macerata
Provincia di Macerata
Regione Marche
ERSU Macerata
Fondazione Cassa di Risparmio
della provincia di Macerata
La masterclass si svolgerà presso l'Accademia di Belle Arti e lo Sferisterio di Macerata. Comprenderà attività teoriche, uno stage pratico e attività sperimentali. Incontri e lezioni si svolgeranno al mattino, pomeriggio e sera. à a numero chiuso e prevede un massimo di 20/25 stagisti. Al termine della frequenza verrà rilasciato un attestato di partecipazione e saranno riconosciuti 6 crediti formativi. Verranno selezionate le domande di iscrizione di studenti laureandi o neolaureati in discipline teatrali e scenografiche delle Accademie e delle Università italiane ed europee.
Docenti
Csaba Antal scenografo
Henning Brockhaus regista
Franco Ferrari light designer
Enrico Sampaolesi scenografo realizzatore
Rita Cinquegrana docente di Storia dello spettacolo
Comitato organizzatore / Accademia di Belle Arti
Anna Verducci direttore
Giorgio Marangoni docente di Pedagogia e didattica dell'arte
Massimo Puliani docente di Regia
Programma della masterclass
-Il percorso di lavoro dello scenografo Josef Svoboda (1920-2002) dagli anni '40 agli ultimi progetti: la sua influenza sulla visualità teatrale contemporanea.
-Josef Svoboda allo Sferisterio di Macerata: La traviata di Verdi (1992); La sonnambula di Bellini (1992); Lucia di Lammermoor di Donizetti (1993); Rigoletto di Verdi (1993); Attila di Verdi (1996).
-Si avrà la possibilità di partecipare ad alcune fasi degli allestimenti di La traviata e Lucia di Lammermoor in programma allo Sferisterio per la Stagione Lirica 2003.
–Intolleranza 2003. Sarà un omaggio creativo a partire da Intolleranza 1960 di Luigi Nono, rappresentata nel 1961 al Teatro La Fenice per la Biennale di Venezia (regia di Và clav Kasˇlik) e nel 1965 al The Opera Group di Boston (regia di Sarah Caldwell). Di entrambe le edizioni Svoboda concepì scene e luci: due allestimenti che, forse per la prima volta, hanno fatto convivere parola, musica, spazio, movimenti e proiezioni in un intensa unità pluridimensionale. Indagheremo quest opera tentando di ricostruirne in dettaglio spazio e proiezioni (edizione veneziana) e insieme cercheremo, attraverso una rilettura contemporanea del testo, di creare un luogo di riflessione per sviluppare le intenzioni della musica di Nono e le premesse visuali e poetiche di Svoboda. I partecipanti selezionati riceveranno la registrazione di Intolleranza 1960; gli stessi dovranno presentare, all'inizio, materiali ed esperienze personali sulla intolleranza come ricerche e documentazione sul tema (disegni, dialoghi, interviste, foto, animazioni digitali). I risultati dei lavori verranno raccolti in una documentazione finalizzata al progetto di una azione scenica.
Quota di frequenza
Euro 100 (da versare dopo la conferma dell'accettazione della domanda).
Sono compresi la docenza, l'assistenza tecnica, i principali materiali di consumo.
Verranno offerti pernottamento ed un pasto giornaliero.
Iscrizioni
La domanda deve essere inviata a: Accademia di Belle Arti, via Piave 9, I – 62100 Macerata
e pervenire entro il 15 giugno 2003
Organizzazione
Giuseppina Digrandi docente di Psicologia della forma – Accademia di Belle Arti di Macerata
Benito Leonori assistente scenografo