La "Medea" di Emma Dante ad Urbisaglia 2003


di Alberto Pellegrino

11 Ago 2013 - Senza categoria

Teatro: Commenti

La Stagione del Teatro Classico Antico di Urbisaglia 2003 si è aperta il 16 luglio nel segno della siciliana Emma Dante (36 anni) che ha firmato l'adattamento e la regia della Medea di Euripide, un evento nazionale prodotto dall'Associazione Marchigiana Attività Teatrale (Amat) e destinato al circuito teatrale italiano dagli inizi del 2004. Emma Dante è una regista ed autrice teatrale che appartiene a quella generazione emergente che comincia a dettare i tempi e i contenuti di una nuova stagione capace di dare linfa vitale alla stanca scena italiana. Emma viene da una lunga gavetta palermitana fatta di spettacoli tenuti nei pub, negli appartamenti, sulle terrazze, facendo quella che lei chiama con ironia il teatro a cappello , nel senso che al termine dello spettacolo veniva posto a terra un cappello per raccogliere le libere offerte degli spettatori. Attualmente la situazione è completamente cambiata grazie a due suoi spettacoli che sono entrati nei principali cartelloni di prosa italiani: mPalermu (2001) e Carnezzeria (2003). Sono piovuti gli apprezzamenti unanimi della critica, è stato registrato il consenso del pubblico più attento e sensibile alle novità , sono arrivati premi importanti come il Premio Scenario 2001 , il Premio Lo Straniero 2001 e soprattutto il Premio Ubu 2002 per le novità italiane.
Già si parla di uno stile Emma Dante determinato dalla forte carica umana impressa ai suoi spettacoli che nascono da una efficace miscela di tragedia e ironia, dalla capacità di trasmettere emozioni attraverso un uso scenico e drammaturgico di materiali poveri . Dai suoi spettacoli trasuda una violenza sotterranea che raramente esplode, una cattiveria dolce e delicata, una carica di amore e di rabbia che sfocia in rappresentazioni di tipo visionario, piene di energia fisica che si scarica nel piacere del gioco scenico. Fedele a questi presupposti, mPalermu è uno spaccato di vita tragico – ironico con cinque personaggi che conducono la loro esistenza nella Vucceria il quartiere del sottoproletariato palermitano e che sono invischiati in una serie di sketch surreali dove passano i problemi familiari e la morte, la miseria e i riti della domenica. Carnezzeria (Macelleria) continua su questo registro e racconta la festa di nozze di una ragazza che, con un bianco abito da sposa, attende un marito che non conosce e che i suoi tre fratelli hanno scelto per lei; la ragazza è visibilmente incinta per opre dei suoi fratelli che l'hanno sottoposta a ripetute violenze, le stesse che i tre maschi hanno subito durante l'infanzia dal loro padre. Ma tutto deve restare in famiglia: dopo un inutile tentativo di fuga, la ragazza sarà lasciata sola ad attendere l'ignoto sposo – promesso in silenzio come prigioniera di quel velo bianco che ricopre la sua omertà determinata a non compromettere il buon nome e la futura esistenza dei maschi.
Secondo questa ottica ora Emma Dante ha affrontato il teatro antico riversando in esso il suo estro creativo, il suo perfetto senso del ritmo per cui la stessa recitazione si trasforma in una specie di danza astratta, affidandosi alla straordinaria naturalezza di sei giovani attori (Gaetano Coltella, Luigi Di Giangi, Stefano Miglio, Alessio Piazza, Antonio Puccia, Francesco Villano), all'esperienza e alla bravura di due attori come Iaia Forte e Tommaso Ragno, alle suggestive musiche composte ed eseguite dal vivo dai due cantautori siciliani Enzo e Lorenzo Mancuso. Questa Medea è diventata così uno spettacolo vibrante di emozioni, fantasioso e coinvolgente, materiato di una sua religiosità laica anche se Emma Dante ha dichiarato di non essere una moralista e di non credere in Dio. I suoi spettacoli non possono lasciare indifferenti, perchè come lei ha detto in precedenza il suo teatro è fatto per farsi guardare interi. Per dimenticare l'urto, la rottura di ombre irregolari appiccicate alle pareti. Imbottire la propria anima perchè non voli via non appena la porta si spalanca. Inventare bugie per fottere il sentimento di insensatezza che ci coglie di fronte a ogni gesto .
L'azione drammaturgica si svolge all'interno di una Corinto stracciona fatta da una porta – chiesa sormontata da una croce e da cinque elementi – parete destinati via via a trasformarsi in abitazioni, confessionale, sala parto, trono del potere civile e religioso, parete domestica da dove si spia la realtà esterna in un gioco avvolgente di luci e di ombre. Il coro delle donne di Corinto (impersonate da maschi) dialoga con una Medea discinta che ha perduto la gioia di vivere e che trascina per la scena il suo rancore verso il traditore Giasone e il peso del suo ventre gonfio dei figli che gli ha dato Giasone e che lei vorrebbe uccidere prima di vederli venire alla luce, percuotendosi il ventre e contorcendosi al suolo come un animale ferito. Si assiste poi alla totale dissacrazione di Creonte, un re in mutande che esibisce il suo grasso corpo non insensibile alla scena di erotica seduzione con cui Medea lo affronta e disorienta. L'entrata in scena di Giasone nelle vesti di vanesio play boy ancora sensibile al fascino che sprigiona da Medea occupa l'ultima del primo tempo, che si chiude con una bella canzone d'amore dei Fratelli Mancuso.
Il secondo tempo si apre nel segno di queste case dove si srotola il gioco feroce della vita, di questi luoghi che sono case – chiesa – confessionale in un agitarsi di bianchi tendaggi, in un balenare di ombre e di lampadine domestiche, che segnano l'intreccio di superstizione e religiosità , di preghiere rituali e ossessioni sessuali, di una bufera dei sentimenti simboleggiata dal frenetico agitarsi di bianche tende ricamate. Le pareti domestiche mobili, fatte piccole finestre e di grate si chiudono in cerchio per trasformarsi in rudimentale sala parto che accoglie il rito orgiastico e collettivo del parto di Medea e delle donne di Corinto, che partoriscono, mimando una specie di Natività laica, ben cinque gemelli (non ci convince il commento musicale della canzone Son tutte belle le mamme del mondo non sufficientemente ironico e dissacratorio). E' al contrario addirittura esaltante il passaggio successivo, quando le pareti domestiche si allineano per ritornare miserabile quartiere popolare e su quattro pareti si consuma il rito borghese del fiocco che annuncia una nascita con il tormentone della quinta madre che non ha il chiodo per appendere il suo fiocco e che si placa solo quando arriveranno chiodo e martello. Ritorna Giasone a parlare di oro e potere, ad accogliere Medea che avanza danzando sulle note di un organo, avvolta in un candido abito da sposa per presentare al suo uomo i cinque nati (2 maschi e 3 femmine), che solleticano il suo orgoglio di padre, mentre risuonano nell'aria pianti infantili simili a belati di agnelli sacrificali. Dietro la parete – chiesa si consuma il rito del matrimonio con la figlia di Creonte fra lanci di riso scoppiettanti come fuochi d'artificio, mentre Giasone danza recando fra le braccia l'abito della nuova sposa che contiene un destino di morte. Un prete – messaggero racconta inorridito la terribile morte di Creonte e di sua figlia con Medea che subisce uno schizofrenico sdoppiamento: da un lato vede soddisfatto il suo odio di sposa tradita, dall'altro già sente lo strazio della madre che ha deciso di completare la punizione di Giasone con la soppressione dei loro figli. Allora Medea si racchiude con il sacerdote dietro la chiesa – parete per consumare il rito del battesimo preliminare dell'infanticidio collettivo fra spruzzi di acqua che ricordano nei loro ritmi il lancio del riso nuziale, mentre fuori, aggrappato con le unghie alla porta della chiesa, piange tutta la sua disperazione Giasone per i figli innocenti affogati dall'odio e dal tradimento, come gli rinfaccia una ormai placata Medea che spinge una bara – carrozzina con i corpi dei piccoli uccisi e quando Giasone l'accusa di essere una bestia priva di sentimenti, la donna risponde: Ti ho colpito al cuore, così ora anche tu soffri . Fra note di organo e il canto di una siciliana Ave Maria , il coro tesse fra le pareti delle case una dolorosa ragnatela di fili su cui vengono stesi al sole tanti panni di bambini, quasi a sottolineare le migliaia di infanticidi che si consumano nel mondo e sotto queste bianche anime sospese nel nulla un raggio di luce congela per sempre l'implacabile dolore di Giasone.

(Alberto Pellegrino)


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