La Fondazione Mast di Bologna propone un alfabeto visivo dell’industria, del lavoro e della tecnologia


di Alberto Pellegrino

5 Feb 2022 - Arti Visive

“The Mast Collection. Un alfabeto visivo dell’industria, del lavoro e della tecnologia” è il titolo della Mostra che sarà inaugurata l’11 febbraio al MAST di Bologna e resterà aperta fino al 22 maggio 2022. PROROGATA FINO AL 28 AGOSTO 2022.

HENRI CARTIER-BRESSON – Gli ultimi giorni del Kuomintang (crollo del mercato)

La Fondazione MAST di Bologna propone una Mostra di opere della sua Collezione intitolata The Mast Collection. Un alfabeto visivo dell’industria, del lavoro e della tecnologia, nella quale sono esposte circa 500 immagini tra fotografie, album e video di 200 grandi artisti italiani e internazionali, ma anche di fotografi poco noti o addirittura anonimi; inoltre sono stati inclusi gli artisti finalisti del Mast Phozaography Grant on Industry and Work. Questo insieme di opere sono la testimonianza visiva della storia del mondo industriale e del lavoro, riuscendo a condensare gli ultimi 200 anni di storia ricchi di avvenimenti, a volte talmente drammatici da rasentare la follia, a volte così intensi e coinvolgenti da riuscire a raccontare la nostra quotidianità, sollecitando la nostra memoria storica e la nostra sensibilità emotiva e culturale.

Le caratteristiche e le finalità della mostra

È stato possibile allestire questa esposizione, dall’11 febbraio al 22 maggio 2022, grazie alla Collezione MAST che è l’unico centro di riferimento della fotografia dell’industria e del lavoro esistente nel mondo. Essa raccoglie oltre 6000 immagini e video di celebri artisti, una vasta selezione di album fotografici e diverse opere di autori sconosciuti o anonimi. La Fondazione Mast ha creato agli inizi degli anni Duemila questa collezione appositamente dedicata alla fotografia dell’industria e del lavoro con l’acquisizione di immagini da case d’asta, collezioni private, gallerie d’arte, direttamente da fotografi e artisti, una raccolta che andata ad aggiungersi a un fondo già esistente di filmati, negativi su vetro e su pellicola, fotografie, album, cataloghi che partono dai primi del Novecento, tutto materiale promozionale e documentaristico proveniente dalle imprese del Gruppo industriale. Alla nuova raccolta, formata da opere comprese tra il secondo Ottocento e il XX secolo, appartengono le opere selezionate ed esposte sulla base del loro valore con un approccio metodologico molto accurato affidato a Urs Stahel.

Tra gli artisti presenti vanno in particolare segnalati: Paola Agosti, Richard Avedon, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Margaret Bourke-White, Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Walker Evans, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Mimmo Jodice, André Kertesz, Josef Koudelka, Dorotohea Lange, Erich Lessing, Herbert List, Nino Migliori, Tina Modotti, Ugo Mulas, Walter Niedermayr, Sebastião Salgado, August Sanders, W. Eugene Smith, Edward Steichen, Edward Weston.

A causa della sua complessità la mostra è stata strutturata in 53 capitoli dedicati ad altrettante tematiche secondo un progetto espositivo che segue il codice alfabetico che si snoda sulle pareti di tre spazi espositivi: la PhotoGallery, il Foyer e il Livello Zero. Questa particolare strutturazione permette di dare rilievo un sistema concettuale che parte dalla A di Abandoned e Architecture per arrivare fino alla W di Water e Wealth. Solo le fotografie, che risalgono al XIX secolo, sono state esposte in una specifica sezione dedicata alle fasi iniziali della industrializzazione e all’evoluzione storica della fotografia, proprio perché il medium fotografico è nato come un prodotto della industrializzazione ed è rapidamente diventato il documento più incisivo di questa rivoluzione economica, sociale e culturale per il fatto che riesce a fondere memoria e analisi interpretativa.

Per questa ambivalenza della fotografia, nella mostra è stata esposta una serie di ritratti di lavoratori, dirigenti, disoccupati e migranti, insieme ad altre immagini che documentano il progresso tecnologico dell’industria e della fotografia fino agli attuali dispositivi digitali ultra leggeri, capaci di stampare e documentare il mondo attraverso immagini digitali e stampa 3D, per cui dall’industria e dalla fotografia moderne si arriva all’alta tecnologia, alle reti generative delle immagini e alla post-modernità, nella quale si passa dalla semplice copia della realtà alle immagini generate dall’intelligenza artificiale.

SEBASTIAO SALGADO – Pozzo petrolifero, Burhan, Kuwait

Il punto del curatore della mostra Urs Stahel

“L’alfabeto nasce per mettere insieme incroci tra lo sguardo lontano e quello vicino, testi e momenti dello scatto, portando l’attenzione all’interno delle opere. Lo stesso accade con le immagini e i fotografi coinvolti, per cui questi 53 capitoli rappresentano altrettante isole tematiche nelle quali convivono vecchi e giovani, ricchi e poveri, sani e malati, aree industriali o villaggi operai. Costituiscono il punto di incontro delle percezioni, degli atteggiamenti e dei progetti più disparati. La fotografia documentaria incontra l’arte concettuale, gli antichi processi di sviluppo e di stampa su diverse tipologie di carta fotografica, come le stampe all’albumina, si confrontano con le ultime novità in fatto di stampe digitali e inkjet; le immagini dominate dal bianco e nero più profondo si affiancano a rappresentazioni visive dai colori vivaci. I paesaggi cupi caratteristici della industria pesante contrastano con gli scintillanti impianti high-tech, il duro lavoro manuale e la maestria artigianale trovano il loro contrappunto negli universi digitali, nella elaborazione automatizzata dei dati. Alle manifestazioni di protesta contro il mercato e il crac finanziario si affiancano le testimonianze visive del fenomeno migratorio e del lavoro d’ufficio”.

TTO STEINERT – Saarland, paesaggio industriale

Il particolare rapporto tra fotografia e Fondazione Mast

La Fondazione assume un particolare profilo culturale perché, pur essendo impegnata nel welfare sociale e aziendale, è stata pensata fin dalla sua nascita in modo che al suo interno possano incontrarsi e incrociarsi le varie arti e i processi di formazione educativa. In questa ottica si è collocata la creazione del Dipartimento di fotografia che ha la finalità di rappresentare il processo d’industrializzazione della società attraverso la documentazione non solo dell’evoluzione delle attività produttive ma anche della cultura del lavoro e del messaggio sociale che essa trasmette attraverso immagini capaci di rappresentare l’impegno, la fatica, lo sfruttamento e la dignità del lavoro umano.

Per raggiungere questo obiettivo è stato scelto il medium fotografico ritenuto il più efficace per documentare i vari aspetti delle attività produttive e lavorative in ogni luogo del pianeta. In particolare si è tenuto presente che un’opera fotografica assume un significato ed è correttamente compresa quando l’osservatore è nella condizione di sapere quale fotografo è stato incaricato di riprendere un determinato soggetto; per quale scopo e per quale destinazione d’uso è stata progettato un singolo scatto o una serie di scatti; se è possibile collocare l’immagine in un preciso  contesto, il quale viene determinato dalla conoscenza del periodo storico dello scatto, dalla sua locazione geografica che diventa di fondamentale importanza al pari delle condizioni sociali, economiche e culturali. La fotografia si propone di parlare un linguaggio universale ma, come tutti gli altri linguaggi, ha bisogno di essere contestualizzata e decodificata, sia da parte degli specialisti che la studiano, sia da parte del pubblico che la osserva in modo da “leggere” e riconoscere il messaggio contenuto in quel determinato scatto. Per esempio, una fotografia commissionata da un’azienda riprodurrà un edificio molto pulito e luminoso, mentre un fotografo documentarista, che sia riuscito a introdursi nello stesso luogo, potrebbe mostrare le precarie condizioni ambientali in cui sono costretti a lavorare gli operai. Sulla base di queste considerazioni la Fondazione ha fatto la scelta di creare un suo Dipartimento dedicato alla fotografia sociale di tipo documentale e storico, in modo da allestire un imponente archivio nel quale le immagini, non solo per la loro bellezza, siano dei documenti che contribuiscano a far comprendere meglio l’importanza che il lavoro ha nella vita di ogni essere umano fino a caratterizzare in modo significativo il suo spazio vitale.

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