A Liegi torna la “Lucia” firmata Mazzonis
di Alma Torretta
24 Nov 2021 - Commenti classica
All’Opera di Liegi versione con glassarmonica della Lucia di Lammermoor di Donizetti; voci adeguate alle difficoltà dei ruoli.
(© J. Berger – Opéra Royal de Wallonie-Liège)
All’Opera di Liegi è tornata in scena la Lucia di Lammermoor creata nel 2015 da Stefano Mazzonis di Pralafera, scomparso prematuramente lo scorso febbraio, e adesso ripresa da Gianni Santucci. Un allestimento nato con la volontà di essere fedele il più possibile all’idea originale di Donizetti dell’opera e quindi innanzitutto prevedendo l’uso della glassarmonica con le sue particolarissime sonorità “lunari” che nella scena della pazzia sembrano quasi trasportanti in un altro mondo, molto più etereo del reale, consentendo anche di godere appieno del dialogo tra glassarmonica e flauto che nelle versioni con solo flauto purtroppo si perde. La direzione dell’orchestra doveva essere affidata a Speranza Scappucci, impossibilità infine per un piccolo intervento urgente.
E all’inizio dello spettacolo, noi siamo stati alla seconda recita, il soprano Zuzana Marková ha fatto pure annunciare di non essere in perfetta forma ma di volere assicurare lo stesso lo spettacolo. Scrupolo eccessivo, perché poi ha cantato benissimo dimostrando ancora una volta di essere una delle migliori Lucie di oggi, solo un po’ cauta nei primi due atti, forse solo all’inizio un po’ dalla voce meno morbida del solito, per poi lasciarsi andare nel virtuosismo, con acuti luminosi e frasi accuratissime, in un’interpretazione molto vissuta, con occhi assai verosimilmente stralunati, assai commovente nella lunga scena “Il dolce suono” che ha strappato, meritatamente, forti applausi.
La direzione dell’orchestra, integrata dalla glassarmonica del tedesco Sacha Reckert, da parte del maestro Renato Balsadonna, al posto della Scappucci, è stata pure molto salda e accurata, con grande attenzione a ben supportare le voci sia dei solisti che del coro, com’era naturale aspettarsi per un grande maestro del coro quale è innanzitutto Balsadonna, negli ultimi anni impegnato anche in direzioni d’orchestra. Dissipati quindi presto i diversi dubbi iniziali, malgrado altre due sostituzioni a pochi giorni dalla prima sia per la parte di Arturo che di Normanno: il resto del cast si è dimostrato del tutto pure all’altezza. Sul baritono belga Lionel Lhote le aspettative non sono state deluse: il suo Enrico Ashton, il fratello manipolatore e senza scrupoli di Lucia, è deciso, tuona e intimorisce come deve, fraseggio preciso e dizione italiana perfetta, come sempre. Aspettative confermate pure, nella parte dell’ambiguo Raimondo, del basso Luca Dall’Amico, un professionista che è un valore sicuro, particolarmente godibile anche lui nel terzo atto nell’annunciare la follia di Lucia. La parte dell’innamorato è stata affidata poi al tenore francese Julien Behr, bella voce ma un po’ piccola per la parte, che dà il meglio di sé da un punto di vista dell’espressione e del belcanto nella celeberrima aria finale “Tu che a Dio spiegasti l’ali”, mentre nei primi due atti appare un po’ troppo rigido, manca di volume e d’impeto giovanile. Bel debutto invece a Liegi per il giovane tenore italiano Oreste Cosimo nei panni di Arturo, lo sposo imposto, parte piccola ma eseguita correttamente, mostrando voce luminosa e buona presenza scenica; molto bene anche il tenore Filippo Adami come Normanno, personaggio reso con grande cura; e la giovane mezzo belga Julie Bailly è infine una gradevole Alisa.
Purtroppo il coro canta con le mascherine e non si sente come dovrebbe. Quanto all’allestimento e ai movimenti della regia sono nati già un po’ troppo vecchie malgrado i bizzarri tocchi moderni nei colletti dei costumi, si salvano solo le belle luci dai toni blu di Franco Marri che rendono più eleganti le scene e meno trucida una storia con così tanti morti.