Intervista a Luca Meneghello e Michele Fazio
a cura della Redazione
29 Lug 2021 - Commenti live!
In occasione dell’uscita del disco “Crossover”, abbiamo intervistato il chitarrista Luca Meneghello e il pianista Michele Fazio
Luca Meneghello e Michele Fazio sono due fuori classe dei rispettivi strumenti, la chitarra ed il pianoforte. Insieme hanno dato vita al disco “Crossover”, recentemente pubblicato da Abeat Records. Li abbiamo incontrati per una chiacchierata “a quattro mani”.
D. Crossover si muove tra pianoforte e chitarra, i vostri due strumenti. In che modo questi due mondi ne creano uno solo?
R. Luca: La chitarra e il pianoforte sono due strumenti diversi ma complementari allo stesso tempo. La capacità dei due strumentisti risiede nel non accavallarsi mai dal punto di vista timbrico, piuttosto cercare di espandere le possibilità dell’altro strumento per crearne uno nuovo.
R. Michele: Far convivere insieme una chitarra elettrica e un pianoforte acustico sembra quasi una missione impossibile, invece è proprio quella distanza di suono che può fare la differenza. Con il supporto di due musicisti di talento come Alex Carreri e Martino Malacrida, la chitarra e il piano sono diventati un’entità che si muove e fluttua all’unisono, spesso suoniamo insieme i temi e quindi cerchiamo sempre di fondere il suono dei due strumenti il più possibile. La nostra intenzione era di scrivere dei pezzi insieme mantenendo ognuno il proprio stile, speriamo di esserci riusciti.
D. Il titolo esplicita il significato di questo lavoro, nel quale l’ascoltatore può perdersi in un viaggio musicale senza limiti o direzioni specifiche. Un concept quasi utopico in questo momento storico. Per voi la musica può rappresentare una via di fuga dalla realtà? In che modo?
R. Luca: L’idea di “Crossover” è quella di unire le nostre influenze musicali in un’unica, appunto. Per quanto mi riguarda la musica ha sempre rappresentato la possibilità di esprimere il mio mondo interiore, per cui più che una fuga dalla realtà direi un modo di portare una realtà interna verso l’esterno.
R. Michele: Credo che sia per me che per Luca la musica non sia una via di fuga ma la nostra vita stessa. Partendo da questa realtà “Crossover” è un nostro momento di libertà vera, perché abbiamo donato ognuno la propria identità cercando di fargli una vita propria. Gli spazi e le visioni di questo disco sono il frutto nel nostro desiderio di essere sempre curiosi verso quello che non si conosce e in questo momento storico complicato bisogna tenere sempre viva questa intenzione.
D. Cosa potete dirci invece del processo di genesi di “Crossover”? Ascoltandolo si percepisce molta ricerca, complessità, ovviamente tecnica, senza però mai risultare noioso…
R. Luca: Essendo musica con una buona parte di improvvisazione il segreto è fare in modo di non “schiacciare” le performances, cercando di lasciare scorrere le idee ed evitare di ripetere troppe volte le esecuzioni di ogni brano. Forse questo è il motivo per cui il disco non risulta troppo controllato.
R. Michele: La genesi di questo progetto è forse più semplice di quello che si può immaginare. Ci siamo accorti dopo varie esperienze musicali che avevamo condiviso insieme in altri ambiti che avevamo affinità che dovevamo approfondire. E allora ci vedevamo con una certa frequenza e scrivevamo insieme. Così è nato tutto, e tutto è avvenuto e si è evoluto spontaneamente.
D. Allarghiamo il discorso: cos’è per voi il Jazz? E cosa bisognerebbe fare per renderlo più vicino al pubblico nazional popolare?
R. Luca: Il jazz rappresenta una delle forme musicali con più libertà di espressione secondo me. Ho attinto molto da questo genere anche se fondamentalmente mi definisco un ”rockettaro” evoluto. L’idea del nazional popolare è molto legato alla provenienza, se vai a New York ti accorgerai che il jazz è ovunque, dal suono della lingua americana al traffico ai jazz clubs. Ho cercato di portare dagli States un po’ di quella creatività e devo dire che qui ha funzionato. Con Carlo Forti, gestore di Zio Live Music Club abbiamo creato una jam session all’americana che è stata accolta con entusiasmo soprattutto dalle nuove generazioni.
R. Michele: Cercherò di essere sintetico: il jazz per me da quando ero piccolo era la musica diversa che ti faceva riflettere ed immaginare. Il Jazz oggi secondo me deve abbracciare più contaminazioni possibili ma mantenere una sua identità e qualità e quella forza di libertà da tutto che è stato il suo filo conduttore da sempre. L’improvvisazione stessa è l’indicazione più evidente che la musica deve essere libera, la musica può essere un attimo solo. Pianificare è un metodo che può essere utile per costruire una macchina. Detto questo il Jazz non può naturalmente essere la musica per tutti ma non perché non tutti sono capaci, ma perché non tutti vorrebbero che la musica abbia un ruolo di introspezione e immaginazione, la musica per alcuni può essere un evento più leggero e noi dobbiamo avere rispetto di questo che ci piaccia o no.
D. Chiudiamo con una domanda più personale: dopo tanti anni di lavoro e musica, a che punto credete di trovarvi nella vostra carriera? C’è qualche cosa di nuovo che vorreste sperimentare e che ancora non avete avuto modo di fare?
R. Luca: Penso che questo momento storico ci imponga di tenere viva la creatività in tutte le sue sfaccettature. Mi piacerebbe creare un punto di incontro per musicisti di diversa estrazione dove suonare, ascoltare o semplicemente incontrarsi per stare insieme. In questo momento di isolazionismo è fondamentale stare uniti e creare una forza creativa che ci permetta di sentirci vivi e svegli.
R. Michele: Non si percepisce mai chiaramente dove è arrivata la tua carriera e a che punto è, ma posso dire che oggi conosco meglio di prima quale è la strada da seguire. Sperimentare è il compito e il lavoro che ogni musicista deve fare, per se stesso e per la musica. E chi come noi compone musica non può prescindere dal desiderio di affrontare territori nuovi e sempre diversi.