“L’Anfitrione” di Plauto al Teatro Romano di Ascoli Piceno


di Flavia Orsati

24 Lug 2021 - Commenti teatro

Torna in scena, ancora una volta dopo oltre due millenni, l’Anfitrione di Plauto ad Ascoli Piceno nell’ambito della rassegna TAU (Teatri Antichi Uniti).

 Sì, sono io, io quell'Anfitrione che ha per servo
Sosia, il quale diventa Mercurio quando ce n'è
bisogno. Abito al piano superiore, io, e ogni
tanto ridivento Giove, se ne ho voglia. Ma
appena arrivo a questo luogo, ecco che
cambio d'abito e divento Anfitrione. Ora sono
qui per riguardo a voi, perché la commedia
non rimanga a mezzo. Ma vengo pure in aiuto
di Alcmena, povera innocente, che suo marito
accusa di adulterio. Sarei ben colpevole se la
colpa, che ho commesso io, ricadesse su di lei
che non ha colpa. Adesso fingerò, come prima,
di essere Anfitrione, e spargerò nella casa
tutto il peggior scompiglio. Dopo, però, farò
che tutto venga in chiaro e che Alcmena riceva
il mio soccorso, sicché senza dolore dia alla
luce, con unico parto, il figlio di suo marito e
il figlio mio. A Mercurio ho dato l'ordine di
starmi vicino, se mai avessi ordini per lui.
Adesso mi rivolgo a lei, Alcmena.
 Giove, Amphitruo (Plauto)

Uno spettacolo dal sapore poco ortodosso e alquanto irriverente, come del resto la commedia latina si prefiggeva di essere. Questo l’Anfitrione della XXIII edizione del TAU (Teatri Antichi Uniti) in scena presso il Teatro Romano di Ascoli Piceno il 22 e 23 luglio, nella versione di Livio Galassi con Debora Caprioglio, Franco Oppini, Giorgia Guerra, Stefano Dilauro e Federico Nielli.

La trama dell’Anfitrione di Plauto, fabula palliata (ovvero commedia di ambientazione greca), è universalmente nota: si tratta di una delle tante divine beffe degli dei, stavolta operata da Giove, a danno dei poveri mortali. Il Padre degli Dei prende le vesti dell’ignaro Anfitrione, sostituendosi a lui nel talamo nuziale accanto alla fedele e morigerata moglie Alcmena, protetto dalla complicità del figlio Mercurio che ha assunto le sembianze del servo Sosia, lemma divenuto tanto celebre da dare origine, per antonomasia, a un nome comune. Il gioco, condotto con magistrale leggerezza nella commedia plautina, è quello in realtà profondo e inquietante del doppio, dell’Altro Sé e dello smarrimento di identità, che tanti risvolti avranno nella letteratura e nella psicanalisi otto-novecentesca. Qui, invece, attraverso esilaranti equivoci, la trama alla fine volge verso un lieto fine, risolta da Giove, deus-ex-machina proprio del teatro classico.

Plauto è uno dei primi commediografi ad affrontare, nella sua opera, il tema del doppio, dell’identità e della sua perdita, ponendolo tuttavia quale espediente comico, ovviamente utilizzando non caratterizzazioni o tipizzazioni psicologiche individuali ma maschere fisse, intessendo una relazione io/tu dai caratteri fortemente equivoci e basata su un fitto gioco pronominale.

Nella versione di Galassi, la trama è stata snellita a favore di una diretta e coinvolgente comunicatività, esasperando forse, a livello gestuale, le brillanti intuizioni plautine sulle maschere che, grazie alla tradizione della commedia dell’arte, hanno oltrepassato i secoli e sono giunte fino a noi. Del resto, obiettivo della commedia plautina non era sicuramente lo scavo psicologico, ma divertire e suscitare riso negli spettatori, essendo i suoi testi nati per una recitazione non alta ma destinata alla massa e caratterizzati anche dal doppio senso e dalla facile battuta. Entrando in medias res, sul palco è Mercurio a introdurre l’argomentum della commedia: Anfitrione è partito da Tebe per combattere la guerra contro i Teleboi, lasciando Alcmena a casa da sola con la fedele serva; frattanto, Giove si è invaghito della bella donna, mettendola incinta nonostante già lo fosse, ennesimo motivo latore del tema dello sdoppiamento identitario: la casta Alcmena, infatti, si trova a portare in grembo due gemelli, uno del marito e uno di Giove. Frattanto, il vero Anfitrione torna dalla guerra, scortato dal servo Sosia, in scena fortemente moderno e irriverente. A questo punto, avviene il primo vero incontro tra Sosia e Mercurio, il suo sosia, il quale, frastornato, corre a mettere a parte il padrone dell’incredibile notizia: nonostante egli sia al suo cospetto, è contemporaneamente a casa. Da qui, la catena di equivoci si espande: Anfitrione torna dalla moglie, ma viene a sapere che egli in realtà era già tornato e aveva giaciuto con lei, portandole in dono la coppa-trofeo di guerra del re Pterela, sconfitto. Il caos regna sovrano quando tutti i doppi si trovano sulla scena, con Alcmena e la serva Bromia totalmente in balia degli eventi. Alla fine, nel momento culmine dell’equivocità, arriva il riconoscimento o agnizione: è solo la rottura delle acque della donna, incinta, a ristabilire l’ordine. Alcmena infatti, in preda alle doglie, invoca l’aiuto degli dei, prima di Giunone, protettrice delle partorienti (che, a ben dire, lo nega) e poi del Sommo Giove, che invece la aiuta, facendole dare alla luce due maschi, senza dolori né gemiti, uno molto grande e incredibilmente forte, un altro meno, e intercedendo in suo favore con Anfitrione, svelandogli l’inganno perpetrato e scaricando dalla donna qualsiasi colpa. Facile capire quale dei due sia il figlio del Re degli Dei, il futuro Ercole!

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