Intervista a Gianfranco Caliendo, già voce e chitarrista de Il Giardino dei Semplici, sul suo nuovo interessante progetto
a cura di Vincenzo Pasquali
19 Giu 2021 - Commenti live!
Abbiamo intervistato Gianfranco Caliendo storico frontman, voce principale e chitarrista de Il Giardino dei Semplici fino al 2012 e abbiamo parlato diffusamente con lui della situazione musicale italiana attuale, e dei suoi progetti futuri; quasi una “storia della musica pop” dagli anni ’70 ad oggi.
Presentando Gianfranco Caliendo e prima di farvi leggere l’interessantissima intervista che ci ha rilasciato, vi diamo qualche dato quantitativo e qualche nota biografica su di lui: frontman, voce principale, chitarrista e autore de Il Giardino dei Semplici dal 1974 al 2012. Alcuni risultati conseguiti con il Giardino: 38 anni di carriera; 4 milioni di copie vendute; 2000 concerti; 14 albums pubblicati; 1 Festival di Sanremo e 3 Festivalbar; dozzine di partecipazioni a trasmissioni televisive Rai e Mediaset. Molteplici sono le sue attività musicali “dietro le quinte”, che hanno affiancato la sua figura da palco: compositore per altri interpreti; produttore; arrangiatore; vocal coach. Fondatore dell’Accademia Caliendo, fucina di giovani talenti dal 1998 e punto di riferimento nell’insegnamento del canto moderno a Napoli. Nel 2001, Gianfranco firma il successo sanremese Turuturu, che arriverà a vendere nel mondo 1.200.000 copie attraverso varie versioni. Molte sono le firme illustri con cui il musicista ha collaborato: Totò Savio; Claudio Cavallaro; Paolo Limiti; Luigi Albertelli e tanti altri… Nel 2021, saranno lanciati sul mercato la sua autobiografia e il terzo album del nuovo corso artistico, stavolta in compagnia del suo nuovo gruppo: Miele Band.
Anime
Gianfranco nasce a Firenze, nel 1956, da genitori napoletani. Nipote del compianto chitarrista Eduardo Caliendo, docente al Conservatorio di Avellino e ideatore della Collana Napoletana di Roberto Murolo, per la quale suona e arrangia in tutti i dischi. Gianfranco comincia a muovere i primi passi nella musica a 8 anni, con la Calace regalatagli dallo zio. Anche il nonno Ettore era un valente mandolinista. Nel 1974 fonda, con Gianni Averardi, il gruppo che caratterizzerà tutta la sua carriera: Il Giardino dei Semplici. Nella band, egli è voce solista, chitarrista e autore della maggioranza dei brani inediti. Tra i successi del gruppo, si ricordano M’innamorai, Miele, Tu, ca nun chiagne, Vai del binomio Bigazzi – Savio e, ancora, Concerto in La Minore, Napoli Napoli, Tu, tu, tu, Silvie, Carnevale da buttare, …E amiamoci e tante altre… scritte dallo stesso Gianfranco. Parallelamente, svolge attività di produttore discografico, editore ed insegnante di canto, per cui pubblica il libro Voci di dentro, saggio di tecnica vocale moderna. Nel 2001, sua figlia Giada Caliendo segna un grande successo internazionale grazie a Turuturu, scritta dal padre e presentata al Festival di Sanremo. In quattro versioni, vende circa un milione e mezzo di CD nel mondo. Dal 2012, fuoriesce dal gruppo e intraprende una carriera solistica, proponendo nuovi brani di ottimo spessore artistico e il suo consueto repertorio rielaborato. Ad affiancarlo, è sovente la sua compagna cantautrice Flora Contento, con la quale scrive, tra le altre: Memorie di un pazzo; Non si fa (con il rapper Ciccio Merolla) e Cia’ guagliò, dedicata a Pino Daniele. Si ricordano inoltre due brani “all-star”: Radio Amore, con la partecipazione di Tonino Cripezzi dei Camaleonti, Francesca Alotta, Stefano Artiaco, Daniele Montenero dei Romans, Pietro Barbella dei Santo California e Gianni Minuti dei Daniel Sentacruz; infine, Amore azzurro, inno per la squadra del Napoli, con Gianni Donzelli degli Audio 2, Tony Cicco della Formula 3, i fratelli Artesi, Antonello Rondi, Patrizio Oliva e Monica Sarnelli. Nel 2015 festeggia i suoi quarant’anni di carriera discografica con un gran concerto al Palapartenope e un doppio CD: “Quarantena”. L’anno successivo, la coppia Contento/Caliendo scrive La musica italiana, interpretata dai frontmen di tutti i maggiori gruppi anni ‘70. Il 2016 è l’anno del lancio dell’album “Amanapoli”, tutto in vernacolo e condiviso con la sua compagna di viaggio Flora, e parallelamente nasce la Miele Band, che lo accompagnerà in tutti i suoi concerti. Il 4 aprile del 2019, al Teatro Mediterraneo di Napoli, Gianfranco propone il concerto Anime, per presentare il nuovo singolo cantato in coppia con Nick Luciani dei Cugini di Campagna. Nel 2020, nonostante il rinvio per il lockdown, scrive e mette in scena il musical Fatti Santo, al Teatro Troisi di Napoli, per 4 giorni. Tra i protagonisti: Antonello Rondi, Gigi Attrice, Bruno Cuomo e la stessa Flora Contento, coautrice di tutte le canzoni. Nello stesso anno compone e diffonde il singolo Io resto a casa. Attualmente, è impegnato nella realizzazione di un disco con la Miele Band, e nella pubblicazione del suo libro autobiografico: Memorie di un Capellone – Luci ed ombre di un successo anni 70 (IacobelliEditore).
Memorie di un pazzo
INTERVISTA:
D. Gianfranco Caliendo, frontman, voce solista, chitarrista e autore del gruppo pop Il Giardino dei Semplici con il quale ha trascorso 38 anni di carriera (1974-2012), 14 albums, 4 milioni di copie vendute, 2000 concerti… una carriera incredibile ripresa da solista e riprogettata con tante novità di cui parleremo più avanti. Ci racconti i momenti più importanti della sua formazione musicale e dell’avventura con Il Giardino dei Semplici.
R. È sempre difficile riassumere un percorso di carriera così, ahimè, lungo… però cercherò di “puntare i riflettori” sulle tappe più importanti. Comincio a suonare la chitarra molto presto… per un “vizietto” di famiglia che vede mio nonno Ettore mandolinista dell’Accademia Calace e mio zio, Eduardo Caliendo, tra i più grandi chitarristi ed insegnanti italiani, docente al conservatorio di Avellino e noto per aver arrangiato e suonato l’intera collana di canzoni classiche Napoletana di Roberto Murolo. A 18 anni, incontro Gianni Averardi in un negozio di strumenti musicali… e lui mi propone di far parte di un progetto “eccellente”, perché voluto e “disegnato” da due grandi autori della musica leggera italiana e internazionale: Totò Savio e Giancarlo Bigazzi. Il primo disco M’innamorai, partecipante al Festivalbar di quell’anno, ha subito un notevole successo e, a gennaio, dopo ben sette mesi dalla sua uscita, entra nelle prime otto canzoni della Hit Parade di Luttazzi. Il primo disco d’oro (un milione di copie vendute) arriva poco dopo, grazie a Tu, ca nun chiagne. Poi segnalo Vai (Festivalbar 1976), Miele (Festival di Sanremo 1977) e Concerto in La Minore (Festivalbar 1978), che segna anche il mio esordio come autore dei singoli (all’epoca, 45 giri) del Giardino dei Semplici; infine, l’album “cult”, tutto in lingua napoletana, B/N (Bianco e nero), con tutti i brani inediti scritti da me e Gianni, che diede una svolta alla nostra musica.
D. Nato a Firenze da genitori napoletani. I suoi concerti trasudano napoletanità. Magistrali le sue interpretazioni di brani “storici” napoletani e di autori a lei cari come Pino Daniele, Eduardo De Crescenzo… Ci parli del suo rapporto con la cultura musicale napoletana.
R. Hai ragione, la mia napoletanità ha avuto uno strano “rimbalzo” con Firenze, la mia città natale. Intanto, per uno strano destino, Giancarlo Bigazzi era un fiorentino d.o.c, e il nome Il Giardino dei Semplici è stato suggerito da lui, prendendo in prestito la denominazione dell’orto botanico della “nostra” città. Però è innegabile che sono cresciuto musicalmente in una casa, quella di zio Eduardo, frequentata da tanti grandi napoletani, tra cui Roberto Murolo, Sergio Bruni, Fausto Cigliano, e poi i suoi allievi eccellenti Eugenio ed Eduardo Bennato, Mauro Di Domenico, Corrado Sfogli, Patrizio Trampetti, Fausta Vetere e tanti altri ancora. Quindi, era naturale che mi si annidasse dentro la napoletanità. Poi, negli anni ‘90, fui invitato dal mio amico Maurizio Fontana della Masar Edizioni, a curare i testi di una pubblicazione in edicola sulla canzone napoletana: Cantanapoli. In questa circostanza, diventai un assiduo frequentatore di biblioteche e di antiche librerie. In particolare, andavo a studiare nella biblioteca Lucchesi-Palli, sita nel Palazzo Reale, dove era custodita tutta la libreria personale del poeta Salvatore Di Giacomo. In quel periodo, grazie alla conoscenza approfondita dei grandi protagonisti della canzone napoletana, ebbi la netta sensazione che noi napoletani viviamo su di un territorio che è stato musicalmente, culturalmente e artisticamente, all’apice del pianeta, e che questo primato andava rispettato, alimentato e assolutamente diffuso e tramandato.
D. So che sta per uscire un suo libro, Memorie di un Capellone; come mai ha sentito il bisogno di scrivere la sua storia? O c’è dell’altro? Sicuramente avrà materiale infinito da raccontare, sul clima incredibile e contraddittorio degli anni ‘70.
R. Sì, sì… è vero, il materiale era davvero infinito da raccontare, e se fossi andato a briglia sciolta, oltre le 200 pagine del libro… avrei mandato in rovina il mio editore e promotore del progetto, Francesco Coniglio, per IacobelliEditore. In effetti, la mia è una storia “semplice”, che comincia dal “sogno” di un adolescente che si avvera nel giro di pochissimo tempo e poi continua, per oltre 45 anni, tra difficoltà, ostacoli da superare, gioie, soddisfazioni, incomprensioni e dolori. Il tutto è raccontato minuziosamente a partire dall’irripetibile scenario degli anni ‘70, il decennio della creatività, della protesta, della ricerca musicale e letteraria, e delle mie personali “vittorie” e sconfitte. Ho avuto una grande mano da parte di mio figlio Tiziano, che revisionava, smussava e verificava ogni passaggio del mio racconto. Quando lui è nato, io avevo appena 21 anni, e sapevo che un giorno avremmo lavorato “a braccetto” come due… fratelli.
D. Con grande piacere ho ascoltato qualche brano che si allontana dalla sua produzione diciamo più “leggera”; penso ad Anime, Memorie di un pazzo o la più recente Io resto a casa. Testi profondi, poesie, che arrivano immediatamente al cuore e alla mente trasportati da una vena melodica inesauribile. Ci parli di questa sua vena cantautoriale che promette ancora tante emozioni.
R. Ti ringrazio della stima che hai nei miei confronti… effettivamente, la mia vena cantautoriale l’ho sempre conservata, pur essendo membro di una band nella quale, pur essendone il frontman, avevo sempre l’istinto della condivisione, e quasi ogni mia composizione era “pensata” per essere cantata in gruppo. Nonostante ciò, già nel primissimo album Il Giardino dei Semplici del 1976, quello con le foglie in copertina, compaiono due brani scritti a soli 16 anni e cantati interamente dal “cantautore” Gianfranco: Piazza Medaglie d’Oro e Donna di mille anni. Riguardo gli anni successivi cito, tra le tante, alcune composizioni riuscite particolarmente bene, scritte e cantate da me, come Le favole di Andersen, Pulicenella va… ed Eduardo. Quando sono stato costretto ad uscire dal gruppo, naturalmente la mia vena di cantautore ha avuto grandi spazi, ma c’è stato un incontro che è da considerare fondamentale per tutte le canzoni inedite pubblicate da Memorie di un pazzo in poi. Infatti, la maggioranza dei “testi” che vanno in profondità, sono stati frutto di colei che condivide con me la mia vita artistica e, negli ultimi nove anni, sfociata anche in un dolce rapporto sentimentale: Flora Contento. Insieme, penso che abbiamo scritto delle grandi canzoni che, proiettate negli anni in cui valeva la pena produrre buona musica, sarebbero diventate grandi successi. Ne menziono solo alcune, oltre al già citato brano di esordio al cantautorato: Cia’ guagliò, dedicata al grande Pino Daniele; La musica Italiana, cantata con altri cinque frontmen dei gruppi più famosi degli anni ‘70; Anime, condivisa con Nick Luciani e tante altre ancora, tra cui ‘E mmane sporche, interpretata dal percussionista Christian Brucale, L’attore, interpretata da Massimo Masiello e Natale senza ‘e te, cantata dalla stessa Flora. Poi, tutte le canzoni del musical Fatti Santo, un lavoro di cui risentirete parlare presto, e altre pronte ad uscire sul mercato appena ci sarà lo “Sblocco Covid”.
D. Che ne pensa della situazione attuale della musica pop e rock? La facilità con cui, attraverso le moderne tecnologie a portata di tasca di ognuno, moltissimi si autoproducono, si improvvisano autori anche in età giovanissima, se da una parte ha reso più “democratica” la produzione e distribuzione musicale, dall’altra, per così dire, hanno dato a tutti la licenza d’autore spesso discutibile…
R. Ahia… questa domanda mi mette sempre un po’ in difficoltà, perché ho molte cose da dire contro il sistema e il livello della discografia attuale, e rischio sempre di apparire antipatico. Nel 2015, io e Flora scrivemmo Non si fa, con l’intervento del grande percussionista e rapper Ciccio Merolla. Questo brano denunciava apertamente la modalità in cui venivano proposti i nuovi progetti musicali attraverso i talent. In effetti, veniva sottolineato che i giovani talenti venivano “usati” e “maltrattati” solo a favore dello show business, senza minimamente pensare al loro spessore artistico, né alle loro possibilità future. Così, da quasi vent’anni, assistiamo alla sfilata di tanti personaggi, chi coi capelli rosa, chi col “cocco” alla Little Tony, chi con i tatuaggi fin sopra le orecchie, chi con una storia da “Quarto Grado” alle spalle, che vengono spinti esclusivamente in virtù dell’audience televisiva. Diciamo la verità, in questo contesto, dei grandi come Pino Daniele, De André, De Gregori, Dalla, ecc. non avrebbero mai potuto trovare spazi. Ecco perché, da vent’anni, non vediamo “nascere” grandi exploit cantautorali, né geni creativi musicali, né grossi interpreti. Indubbiamente, anche la facilità di autoproduzione ha determinato un abbattimento quasi totale della professionalità. Io lo tocco con mano da produttore discografico, editore e arrangiatore, che sono “mestieri” che negli ultimi anni vivono grandi difficoltà. Pur non essendo assolutamente prevenuto sulla produzione dei giovanissimi (sia per similitudini alle mie origini e sia perché vivo tra i tanti giovani che frequentano la mia scuola di canto), devo ammettere con sincerità che trovo soltanto in rarissime occasioni qualcosa di interessante e che, purtroppo, il livello medio artistico è calato vertiginosamente.
D. Napoli: una città che ha dato da sempre e dà a tutt’oggi alla musica un contributo importantissimo. Qual è la situazione attuale della produzione musicale?
R. Come ho già accennato… se si alza il “Coperchio Napoli”, è inevitabile che si sprigioni un’energia artistica che, potenzialmente, ha una marcia in più su tutti gli altri contesti nazionali. Io credo fermamente in questo. Al di là dell’epoca d’oro di inizio Novecento e del Neapolitan Power degli anni ‘80, in cui ci sono stati degli exploit irripetibili, io penso che il potenziale dei musicisti napoletani sia sempre altissimo. Personalmente, attribuisco la carenza di napoletani nelle classifiche nazionali ed internazionali ad un fatto politico. Probabilmente, la Napoli che fa cultura ad alto livello non è molto favorita dalle poltrone che contano. Però, c’è anche da dire che, sempre nell’ultimo ventennio, dalle nostre parti c’è stata una grande confusione mediatica che ha valorizzato alcuni artisti che un tempo erano nel “sottobosco” cittadino; artisti che avevano grandi consensi e guadagni, ma erano pressoché sconosciuti al resto della nazione. Oggi, in pratica, sono proprio questi napoletani ad avere un posto in classifica, o meglio, ad avere milioni di visualizzazioni e un vasto pubblico affezionato. Penso che questo abbia dato, attualmente, un’immagine “distorta” del nostro livello culturale e artistico. Menomale che “reggono” i nostri Enzo Gragnaniello, Enzo Avitabile, Peppe Servillo, Ciccio Merolla, e pochi altri che ancora producono musica senza essere “schiavi” della commercializzazione.
D. Ci può anticipare qualcosa sui suoi progetti in cantiere che credo siano imminenti? Libro, disco, videoclip…
R. L’ondata di pandemia che ci ha investiti, e che ha fatto quasi annegare il nostro settore, credo che in compenso abbia introdotto nelle nostre menti un valore aggiunto: la voglia di ripartenza. Già dal primo lockdown di marzo dello scorso anno, mi sono ritrovato in una condizione, per me, davvero insolita… dovendo intanto rinunciare ad un musical al quale avevo lavorato per un anno intero, costretto a casa senza poter né insegnare né andare a fare concerti. Allora ho deciso che il sistema migliore era quello di mettermi a scrivere. Così è prima nata la canzone Io resto a casa, in cui io e Flora raccontiamo il disagio di un artista obbligato a stare in casa. Poi, ho cominciato a scrivere dapprima un nuovo musical, per il quale a settembre effettueremo dei casting, e l’ho chiamato Tarantella – Storie d’amore e di camorra, dopodiché, durante il lockdown autunnale, avendo contratto il virus, obbligato alla quarantena, ho deciso di rispolverare il mio vecchio progetto di scrivere, come ben sai, un’autobiografia. Il titolo è venuto naturalmente, perché dopo il disco Memorie di un pazzo, mi pareva carino e significativo che il mio secondo libro (il primo, Voci di dentro, è una pubblicazione didattica di tecnica vocale moderna) si chiamasse Memorie di un Capellone. E non è finita qui… infatti, credo che la vera sorpresa per tutti coloro che mi seguono con affetto sarà il nuovo disco, che coinvolge i “ragazzi” della mia Miele Band, con la quale vado in giro a fare concerti. Nel disco saranno presenti tre inediti e varie riletture musicali della mia carriera recente e meno recente. La sorpresa è rappresentata dal fatto che il brano sul quale punteremo non è cantato soltanto da me, ma da tutta la band, e sono davvero soddisfatto di questa scelta. Non posso dirti il titolo perché svelerebbe troppe intenzioni, alle quali abbiamo lavorato per tutta la scorsa estate, in cui eravamo imbrigliati dall’impossibilità di andare in tour.
D. Grazie della chiacchierata, se vuole può lasciare un messaggio ai lettori di MusiCulturA on line.
R. Sinceramente, vorrei fare i complimenti a tutta la redazione di MusiCulturA, perché ho visto che si occupa di eventi culturali a 360 gradi, favorendo le iniziative interessanti dei giovani e dei… meno giovani come il sottoscritto. Il messaggio che vorrei lanciare a tutti i lettori è quello che: il futuro di tutti noi è molto legato al livello di attenzione che avremo per la cultura in generale, compreso naturalmente la musica. Il mondo non lo miglioriamo con il nuovo iPhone, né con i “Giga”… ma effettivamente lo miglioreremo attraverso maggiore coscienza, maggiore saggezza, maggiore educazione e rispetto per il prossimo. Tutto questo può avvenire solo rialzando il livello culturale del mondo. Quindi evviva MusiCulturA on line.
Io resto a casa
non solo racconta la storia artistica di Gianfranco Caliendo e la sua carriera nel gruppo de Il Giardino dei Semplici, ma descrive bene anche l’ambiente musicale italiano dell’epoca con tutte le contraddizioni dell’industria discografica. Gianfranco Caliendo, nato a Firenze nel 1956, e compositore e musicista. Comincia giovanissimo a suonare e nel ’74 incontra Gianni Averardi, che lo coinvolge nel progetto che caratterizzera la sua carriera: Il Giardino dei Semplici, che, con la produzione di Savio e Bigazzi, raggiungera rapidamente il successo. Ha composto e prodotto per altri musicisti, fondato uno studio di registrazione, un’etichetta discografica e una scuola di musica: l’Accademia Caliendo, dove insegna canto moderno. L’esperienza che lo ha contraddistinto, quella con il Giardino dei Semplici, e durata dal 1974 al 2012 e Gianfranco Caliendo e stato iconico frontman, voce solista, chitarrista e autore del gruppo pop prodotto da due grandi firme della musica italiana, Toto Savio e Giancarlo Bigazzi, anche membri degli Squallor.