Con “Traviata” si rinnova il successo del film-opera di Mario Martone
di Alberto Pellegrino
19 Apr 2021 - Commenti classica
È andata in onda, in prima serata, il 9 aprile su Rai3, La Traviata di Verdi, per la regia di Mario Martone che continua l’esperimento eccellentemente riuscito del film-opera. Una collaborazione tra Teatro dell’Opera di Roma, Rai Cultura e Centro di Produzione di Napoli; un tentativo riuscitissimo di portare a tutti un prodotto di alta qualità.
ph Fabrizio Sansoni
Dopo il successo del Barbiere di Siviglia (ne abbiamo parlato su queste pagine: https://www.musiculturaonline.it/un-affascinante-e-convincente-barbiere-di-siviglia-ha-debuttato-nel-teatro-dellopera-di-roma/) ritorna con La traviata di Verdi, ritorna in tv il film-opera che costituisce un nuovo linguaggio espressivo nato dalla fusione tra melodramma, cinema e televisione, una sperimentazione avviata dal regista Mario Martone e andata in scena in prima serata il 9 aprile 2021 su Rai3. È stata una scelta innovativa e di qualità ancora una volta apprezzata dal pubblico, dato che 967 mila spettatori hanno visto il film-opera con uno share del 3,9 per cento, con picco d’ascolto alle ore 21.33 di 1.420.000 telespettatori e uno share del 5,2 per cento. Questa sperimentazione di nuovi linguaggi è un’operazione difficile e complessa che vuole portare la musica “colta” in prima serata in una rete televisiva generalista, grazie alla collaborazione tra Teatro dell’Opera di Roma, Rai Cultura e Centro di Produzione di Napoli.
Il Teatro dell’Opera è stato trasformato in un set cinematografico, nel quale sono state effettuate 18 ore di riprese con l’impiego di nove telecamere e tutte le operazioni di montaggio. Mario Martone, che ha curato la regia e la scenografia, ha voluto continuare nel suo progetto che si propone di portare l’opera lirica fuori dalle rigide leggi delle convenzioni che tendono a museificarla: “Non è un film di un’opera, rimane teatro, ma realizzato con strumenti cinematografici – ha dichiarato Martone – È stata per un’invenzione, qualcosa che non immaginavo. È come se la platea tenesse presente lo schermo, ma anche il fatto che ci siano spettatori dall’altro lato”.
È stato lo stesso format già sperimentato per il Barbiere di Siviglia, ma questa volta l’operazione è stata più complessa e impegnativa, perché la Traviata ha una sua tragica dimensione senza il gioco, l’ironia, la “leggerezza” dell’opera rossiniana. Verdi, che non è solo una genio musicale, ma anche un grande autore di teatro che ha affrontato il rapporto d’amore dei due personaggio con furore laico, mettendo in evidenza le contraddizioni morali di una società francese del Secondo Impero attraversata da complessi rapporti di classe.
Martone, che è uno studioso dell’Ottocento come ha mostrato nei film dedicati a Leopardi (Il Giovane favoloso) e al Risorgimento (Noi credevamo), ha voluto usare mobili, oggetti e costumi d’epoca custoditi in teatro per ricreare le atmosfere del tempo di Verdi: “Vogliamo – ha detto – l’urgenza e la temperatura di una creazione nel momento in cui è stata concepita, da parte di un musicista sofferente e ribelle che non teme di dare scandalo. La sua più grande eroina è una prostituita, che però va contestualizzata e che, grazie al suo fascino, conquista una posizione nell’alta società, contro la morale borghese del suo tempo”.
Il maestro Daniele Gatti, che ha collaborato a questo progetto, ha sottolineato con la sua direzione, nel pieno rispetto della partitura, tutta la delicatezza e l’eleganza dei colori, dei suoni e delle voci di questa Traviata: “È una donna che sogna di diventare donna e madre. Ma viene rigettata da una società ipocrita che la giudica indegna, sostituendosi a Dio. È una mantenuta, però non le è concesso mantenere il suo uomo. E se scopre la gioia di essere amata, amando, i salotti non le consentono di redimersi”.
Martone ha usato tutti gli spazi del Teatro: i palchi si sono trasformati in salotti per gli incontri amorosi e le “scandalose” feste di Flora, il gioco degli specchi; sono diventati luoghi deputati dell’azione scenica le scale, i corridoi, i saloni come la Sala grigia dove si è svolto il ballo del primo atto; il palco reale è diventato il boudoir di una discinta Violetta che riceve i suoi facoltosi clienti disposti a lasciare sostanziosi compensi in denaro; il palcoscenico è il luogo deputato per eccellenza di Violetta con al centro un grande letto rosso dove lei canta “Sempre libera degg’io” mentre gli ospiti gettano sul letto i loro cappotti neri, dove si consuma il suo dramma finale.
La platea, coperta da una moquette grigio-nera, assume una particolare importanza, perché diventa un enorme piano-spettacolo nel quale prendono vita tutti i maggiori eventi dell’opera con la grande tavola imbandita per il banchetto del primo atto, per l’enorme tavolo ovale coperto di rosso per il balletto e colorato di verde per ospitare i giochi di società e diventare il luogo dello scontro tra Alfredo e il barone. Su tutto domina il monumentale lampadario del Teatro, il più grande d’Europa (3.30 di altezza, 6 metri di diametro, 27 mila cristalli di Boemia), che prima dominerà la scena a mezz’aria, poi scenderà ad altezza d’uomo per sottolineare le soffocanti atmosfere della mondanità.
Martone, come citazione cinematografica, colloca all’interno del tessuto teatrale dell’opera tre brevi inserti esterni: Alfredo corre in carrozza verso Parigi per bloccare la vendita di tutti i beni di Violetta e riscattare il suo onore; Il duello alla pistola tra Alfredo e il barone Douphol è collocato nelle Terme di Caracalla, luogo deputato del melodramma all’aperto; mentre Violetta è agli estremi, il Carnevale impazza con dame in costume e cavalieri in frac e mascherina nera. Un ulteriore richiamo al cinema si ha quando la regia inserisce, durante l’esecuzione di “Parigi o cara” e Violetta è agonizzante tra le braccia di Alfredo, dei rapidi flashback con i due amanti che danzano sotto il grande lampadario al tempo della loro felicità. Passaggi fondamentali dell’opera sono stati la scena del brindisi che, da dialogo intimo tra Violetta e Alfredo, si trasforma in una corale esplosione di voluttà. Bellissimo il duetto d’amore e l’assolo di Violetta (perfetta l’interpretazione del soprano Lisette Oropesa) che prima si nega, poi accende il desiderio e la speranza dell’innamorato, per poi esprimere tutta la sofferenza di una mantenuta che aspira però alla libertà e all’amore. Il tenore albanese di scuola italiana Saimir Pirgu fornisce una interpretazione romantica ma di spessore del personaggio di Alfredo, con passaggi di grande raffinatezza vocale. Molto intensa la scena del secondo atto con l’incontro di Giorgio Germont (l’esperto baritono Roberto Frontali) prima con Violetta poi con Alfredo, un personaggio sul quale pesa la dura condanna di Verdi che vede in lui riunirsi tutti i pregiudizi della società del tempo, lasciandogli solo un ravvedimento finale. Violetta indossa modesti abiti maschili a segnare il suo decisivo abbandona della vita precedente, ma a metà dell’atto (con un bel colpo di teatro) scendono dall’alto e dalle quinte le scene dipinte con alberi e altri elementi del giardino, crolla così il paradiso d’amore di Violetta e con esso il sogno di un futuro felice. Grande rilievo hanno le danze (curate dalla coreografa Michela Lucenti) con il balletto del Teatro dell’Opera, un ballo quasi orgiastico con trasparenti e coloratissimi abiti di scena: sotto la luce abbagliante del grande lampadario le zingarelle, vestite come odalische seminude, assumono con posture sensuali in mezzo a danzatori alticci a segnare atmosfere di decadenza morale. Un momento particolarmente toccante è la parte finale vissuta da Violetta in assoluta solitudine (“Addio del passato”) sul grande letto che è stato un tempio dell’amore prezzolato e dell’amore redento, per poi spirare sul bordo del palcoscenico dinanzi al muto deserto della platea, rimanendo fino in fondo fedele al suo mito di grande eroina romantica. E viene da chiedersi: Come è possibile non amare Violetta?