Un affascinante e convincente “Barbiere di Siviglia” ha debuttato nel Teatro dell’Opera di Roma
di Alberto Pellegrino
9 Dic 2020 - Commenti classica
Il regista Mario Martone ha ambientato lo spettacolo, andato in scena il 5 dicembre 2020, in un Teatro Costanzi trasformato in un set cinematografico in allestimento, riuscendo a riempire di significati una sala senza pubblico e a dare ugualmente un senso compiuto al capolavoro rossiniano. La rappresentazione verrà di nuovo trasmessa da Rai Cultura su Rai3 il 31 dicembre 2020 e riproposta da Rai5 il 1° gennaio 2021.
Fotografie ©Yasuko Kageyama-Teatro dell’Opera di Roma
Un nuovo allestimento de Il barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini (1816) ha aperto la stagione lirica 2020-2021 del Teatro dell’Opera di Roma, con l’Orchestra e il Coro del Teatro rispettivamente diretti dal M° Daniele Gatti e dal M° Roberto Gabbiani. Il Maestro Gatti ha diretto l’opera con la consueta e necessaria vivacità richiesta dallo sparito rossiniano ma anche con la vigoria imposta da un teatro completamente vuoto e quindi con una sonorità diversa dal solito. La qualità dell’esecuzione è stata assicurata dall’alta professionalità del coro e dalla bravura di tutti i cantanti, a partire dai protagonisti fino alle parti minori: il tenore russo Ruzil Gatin (1987) è stato un Conte d’Almaviva dalla limpida vocalità e dalla efficace estensione melodica; il giovane baritono polacco Andrzej Filończyk (1994) ha interpretato un Figaro dall’emissione potente ma anche controllata fin nelle più intime sfumature; il giovane mezzosoprano russo Vasilisa Berzhanskaya (1993), più volte presente al Rossini Opera Festival, è stata una Rosina con un idoneo phisique du role, mostrando eleganza e tecnica vocale che le hanno permesso di superare brillantemente le difficoltà disseminate da Rossini lungo tutto lo spartito. Il baritono Alessandro Corbelli (1952), che è considerato uno dei massimi esponenti del bel canto italiano e un eccellente interprete rossiniano e mozartiano, ha cesellato il personaggio di Dottor Bartolo non solo con la consueta padronanza tecnica ma anche con una raffinata ironia e con un’eccezionale varietà di “coloriture” a cominciare dalla raffinatissima esecuzione dell’aria “Quando mi sei vicina amabile Rosina” in risposta alla sua pupilla che aveva cantato “L’inutile precauzione”. Non certo ultimo, il basso-baritono Alex Esposito (1975) è stato un Don Basilio elegante, ironico, pienamente padrone della vocalità del personaggio e della scena come del resto ci si aspetta a uno dei più brillanti interpreti mozartiani e rossiniani, anche lui più volte presente al Rossini Opera Festival di Pesaro. Il soprano Patrizia Biccirè, diplomata all’Accademia Rossiniana di Pesaro e specializzata nelle opere di Rossini, Mozart e Monteverdi, ha cantato con estrema eleganza e ironia la celebre aria di Berta del secondo atto “Il vecchietto cerca moglie”; infine il giovane basso-baritono Roberto Lorenzi è stato un credibile e disinvolto Fiorello.
Un piccolo capolavoro, che riteniamo rimarrà nella storia del melodramma, può essere considerata questa regia di Mario Martone che ha mantenuto la divisione in due atti dell’opera buffa, ha rispettato tutte le suggestioni musicali rossiniane e ha interpretato con fedeltà l’impianto drammaturgico del libretto di Cesare Sterbini tratto dalla omonima commedia di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais. La regia si è avvalsa inoltre degli eleganti ed essenziali costumi di Anna Biagiotti, del suggestivo progetto luci di Pasquale Mari che ha saputo evidenziare ed esaltare tutte le strutture architettoniche del Teatro dell’Opera.
Questa inedita messa in scena rappresenta una delle tante sfide giocate e vinte da Martone, che ha inventato un nuovo modo di fare del teatro musicale: l’idea è stata quella di registrare in un sala senza pubblico un’opera lirica che non doveva essere ripresa per la televisione, ma che è stata pensata e costruita per un pubblico seduto dinanzi agli schermi televisivi. Pertanto Martone ha eliminato la scenografia che è stata sostituita dall’intero teatro; ha abolito la separazione palcoscenico-platea, per cui ogni struttura e ogni angolo teatrali, dall’atrio all’ordine dei palchi, si sono trasformati nei luoghi deputati all’azione. Nel primo atto palcoscenico e la platea sono diventati una piazza di Siviglia, dove è arrivato il conte d’Almaviva, Fiorello e la banda dei suonatori; il palco imperiale si è illuminato per essere il balcone di Rosina sotto il quale il finto Lindoro ha cantato le due serenate; una vano d’uscita dalla platea è servito come apertura dalla quale Figaro ha indicato al conte la sua bottega; la platea e il palcoscenico si sono poi trasformati nella casa del Dottor Bartolo, attraversati da una fitta ragnatela di corde che hanno voluto rappresentare la prigione dove Rosina soffre le sue pene d’amore e subisce le angherie di un vecchio avido e bizzoso, simboliche catene dalle quali lei vuole liberarsi per conquistare la sua libertà e la sua dignità di donna.
Questo Barbiere di Siviglia ha aperto nuove strade teatrali, perché costituisce una svolta nel modo di concepire il teatro d’opera, anche se Martone parla di “pertinenza” cioè di una sostanziale fedeltà alle azioni narrate nel melodramma. L’idea di Martone è stata quella di fornire un’interpretazione della storia come se gli spettatori stessero leggendo un romanzo, oppure stessero assistendo all’allestimento di uno spettacolo in progress, durante il quale si è cercato di creare una nuova realtà teatrale, pur mantenendo il senso originario dell’opera. È stata una difficile scommessa che, secondo noi, Martone è riuscito a vincere insieme alla Rai, che ha messo a disposizione le sue attrezzature tecniche.
Il regista ha curato con precisione manicale la recitazione degli interpreti secondo le tecniche del teatro di prosa, sottolineando le caratteristiche psicologiche e fisiche dei personaggi, la loro dizione, la loro gestualità, persino per un personaggio muto come il servo Ambrogio (Paolo Musio) impegnato in efficaci “controscena”. Martone ha costretto Don Bartolo a un grande sforzo interpretativo, inchiodando il personaggio su una sedia a rotelle e facendolo scorrazzare per tutto il palco e la platea. Nello stesso tempo ha “smitizzato” la figura tradizionale di Don Basilio, togliendole l’abito talare per farne un uomo di bell’aspetto, intelligente, ironicamente ammiccante che esegue una raffinata cavatina della calunnia, indossando un costume, un mantello e un cappello elegantissimi.
Tutto il teatro è diventato un grande laboratorio, dove tutto avviene a vista a cominciare dai cambiamenti dei costumi dei personaggi da parte delle sarte e costumiste di scena; dove si assiste all’intervento diretto dei rumoristi secondo le antiche tecniche teatrali con l’uso dei cocci riversati in un recipiente quando Figaro rompe piatti e bicchieri di Don Bartolo, con la sublime scena del temporale quando si fa ricorso alla macchina del vento, alla vecchia lastra di lamiera per tuoni, all’effetto delle luci blu intermittenti per i lampi. Si è introdotto poi all’effetto “interno-esterno” con Figaro che canta la sua celebre cavatina correndo in motoretta per le vie di Roma con indosso una tuta di cuoio, un casco e una bacinella sotto il braccio per visitare i suoi clienti, per poi entrare in teatro impegnato a indossare il costume di scena e terminare la sua aria in platea. Durante il quintetto “Freddo e immobile come una statua”, con le guardie schierate sui palchi del primo ordine, si ha l’insert di una “Prima d’epoca”, quando il melodramma era un rito con le dame in abito da sera e gli uomini in frac o in smoking, con l’immancabile sfilata di celebrità dalla Magnani alla Callas, dalla Pampanini alla Lollobrigida. Ci sono state anche citazioni ironiche durante l’altro celebre sestetto “Siete giallo come un morto” che segna l’ingresso di Don Basilio arrivato a compromettere la presenza di Lindoro travestito da falso maestro di musica; a quel punto tutti i personaggi hanno indossato una mascherina nera per convincere Don Basilio di essere malato di scarlattina, per cui si è assistito a una spettacolare uscita del personaggio, il quale ha ammiccato furbescamente con il volto che spuntava in primo piano dalla tenda d’ingresso alla platea, inquadrato dall’occhio di bue secondo la tradizione del varietà. Efficace e convincente la scena conclusiva con Figaro e il Conte d’Almaviva che si sono calati per mezzo di una scala da un palco del secondo ordine facendosi luce con le pile per incontrare Rosina e mettere in atto la fuga d’amore. Mentre due macchinisti portavano via la scala, ecco arrivare il notaio per celebrare le nozze di Don Bartolo che entra in scena scortato dalle guardie, ma si finirà invece per celebrare il matrimonio tra Almaviva e Rosina che ha indossato a vista l’abito e il velo da sposa, dimostrando che quella del vecchio dottore è stata solo “una inutile precauzione”. Durante la scena finale tutti (cantanti, coristi e comparse) hanno allegramente tagliato le corde della casa-prigione, segnando così la definitiva liberazione dell’amabile Rosina.