John Zorn e le cacofonie armoniche


Silvio Sbrigata

28 Ott 2003 - Commenti live!

Milano – Non è un ossimoro: è una scelta stilistica, uno stile preciso, la sublimazione del rumore. L'assenza di regole compositive, almeno di quelle canoniche. Assistere ad un concerto di Zorn, non è cosa comune è, in certo senso, dare l'assenso ad una violenza. Una violenza che non produce danni, che non demolisce se non per edificare. La distruzione dei timpani, della mente: bisogna essere preparati ad accogliere una nuova idea di composizione, di musica di gruppo. E chi non hai mai avuto la fortuna di ascoltare la follia compositiva del sassofonista di New York, rimane davvero spiazzato fin dall'ingresso in teatro, riscontrando sul palco la presenza di un enorme gong e di una gigantesca grancassa. Il pubblico è quello delle grandi occasioni, con un teatro gremito fino all'inverosimile, al punto da costringere gli organizzatori a tenere aperte le porte del salone antistante la platea. Oltre 1500 persone in attesa dell'evento più importante della stagione autunnale (almeno al Manzoni). Zorn entra sul palco sorridente, con passo spedito e, quasi a sottolineare la sua innata eccentricità , con i pantaloni militari mimetici. Lo seguono a ruota i versatili musicisti che lo accompagnano e che costituiscono gli Electric Masada: Marc Ribot alla chitarra, Jamie Saft alle tastiere, Trevor Dunn al basso, Kenny Wollesen alla batteria ed il superlativo Cyro Baptista alle percussioni. La posizione mantenuta sul palco dal cinquantenne sassofonista per le due ore di spettacolo, è quella laterale rispetto al pubblico, in modo da potere avere un occhio verso i presenti e l'altro verso i suoi musicisti. Zorn ha, oltre che la perfetta padronanza tecnica del sax contralto, l'atteggiamento del direttore d'orchestra, pronto a seguire, cadenzare e dare lo start alle mirabolanti progressioni dei Masada. Ad eccezione di rari momenti nessuno di loro si esibisce da solo, ma nel loro divenire concertistico, ci sono cinque interminabili assoli perfettamente plasmati fra loro. Tutto ciò permette all'indomito Zorn, di proporre musica sempre sul filo della cacofonia, senza tuttavia risultare mai sgradevole. Caratterizzata da repentini cambiamenti di ritmo, che per dare qualche illustre riferimento, possono essere ricondotti al miglior Zappa di Là ther (eccezionale quadruplo lp del '96, pietra miliare per coloro che lo ascoltano), a Bregovic, con ammiccamenti al Gabriel de L'ultima tentazione di Cristo. E proprio come Zappa, anche John Zorn vanta un'impressionante produzione musicale (almeno 150 incisioni), e dal 95, per non dovere rendere conto alle pur giuste logiche economiche delle major, una propria etichetta musicale, la Tzadik. Ovviamente sul catalogo della Tzadik, oltre a trovare posto le infinite progressioni zorniane, è possibile reperire i progetti di musicisti che in qualche modo sono riconducibili allo stile inventato dal maestro Zorn, del quale lo stesso de facto è l'indubbio maà tre à penser. Sul palco tutti i musicisti presenti risultano strepitosi, ma oltre al pluricelebrato Ribottt, nota di merito per l'imponente Cyro Baptista, senza ombra di dubbio uno dei più creativi e straordinari percussionisti viventi. Per il pubblico, sempre pronto a sottolineare con un applauso o con i fischi all'americana i passaggi più travolgenti, non si può usare solo l'aggettivo estasiato, perchè non esaustivo. Basti dire che l'applauso finale è stato prolungato per cinque minuti. D'obbligo la standing ovation, giusta conclusione di una kermesse durata (purtroppo solamente) due ore. Appuntamento domenica 2 Novembre per Carla Bley, non con la big band, ma accompagnata dai Lost Chords.

(Silvio Sbrigata)


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